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L’avvenimento internazionale più importante di questi giorni, più importante di quanto sta avvenendo nella pallida, slombata e impotente Europa dove si fa il ponte isterico per il conflitto russo-ucraino spacciandolo per la prima guerra nel Vecchio continente dopo il Secondo conflitto mondiale come se la guerra alla Serbia del 1999 fosse stata una passeggiata turistica, è la vittoria in Brasile, sia pur di misura, di Luiz Ignácio Lula da Silva, il “presidente operaio”, contro Jair Bolsonaro. Perché dico che la vittoria di Lula supera per importanza tutti gli altri avvenimenti in corsa? Perché ha una valenza globale che interroga tutti i Paesi del pianeta. Infatti l’Amazzonia che copre il Brasile, ma non solo il Brasile, è il grande polmone del mondo da cui dipende la vita di tutto il resto. Bolsonaro aveva distrutto più di un terzo della Foresta amazzonica a favore dei garimpeiros, i cercatori d’oro, e soprattutto delle grandi fazendas, eliminando la biodiversità, vegetale, animale ma anche umana perché aveva costretto gli indigeni in aree sempre più ristrette fino a minacciarne l’esistenza.

Il programma di Lula è, se così si può dire, ecosocialista: deforestazione zero, lotta in favore, appunto, della biodiversità, lotta contro la fame, che coinvolge 33 milioni di brasiliani, e la povertà assoluta che riguarda 10 milioni di persone. Lula, grazie alla sollecitazione di una sua ex ministra, Marina Silva, ha in programma anche di dare un ministero ai “Popoli originari”.

Il programma di Lula si inserisce nel cosiddetto “socialismo bolivariano”, che è la forma che prende il socialismo in Sud America e che ebbe una grande spinta dall’elezione di Hugo Chávez in Venezuela nel 1999, e il “chavismo” coinvolse molti Paesi sudamericani, dalla Bolivia di Morales all’Uruguay di José Mujica  all’Ecuador di Rafael Correa e allo stesso Brasile di Dilma Rousseff.

Il “socialismo bolivariano” è sempre stato visto come fumo negli occhi dall’“amico americano”, che lo osteggia anche oggi là dove resiste ancora come nel Venezuela di Nicolás Maduro, definito invariabilmente dai media internazionali, italiani compresi, un “dittatore” mentre dittatore non è mai stato.

È curioso che i leader politici europei siano rimasti praticamente silenti davanti alla vittoria di Lula, solo l’ex premier spagnolo, il socialista José Zapatero, che ebbe il coraggio di ritirare le proprie forze militari dall’avventura americana in Iraq mentre il cattolicissimo Aznar ce le aveva mandate nonostante Karol Wojtyla avesse espresso la sua ferma condanna, ha dichiarato il suo entusiasmo per la vittoria di Lula.

Il socialismo, che non va confuso con il comunismo, quante volte bisognerà ricordare ancora questi elementari, coniuga una ragionevole uguaglianza sociale con il rispetto dei diritti civili, il comunismo li soffoca.

E noi che, nel nostro piccolo, siamo stati sempre dei socialisti libertari ci uniamo all’entusiasmo di Zapatero per la vittoria di Luiz Ignácio Lula da Silva.

Il Fatto Quotidiano, 2 novembre 2022