Ogni volta che viene pubblicato un articolo di Massimo Fini sul Fatto Quotidiano corro a leggerlo. Perché quasi sempre scrive cose che avrei voluto scrivere io e le scrive meglio di me. Perché Massimo Fini, lo sanno tutti, è bravissimo e non è mai scontato. Ma ieri ho letto il suo intervento sul Ponte sullo Stretto di Messina e mi sono detto: eccheccavolo, come si possono scrivere cose così generiche, errate e piene di luoghi comuni?
Sul Ponte sullo Stretto di Messina, caro Massimo, mi hai deluso.
Primo argomento di Fini: non si costruisce un ponte in un territorio ad alto rischio sismico, dove un secolo fa ci fu un terremoto che causò 120 mila morti. Dice Fini che non bisogna dare retta a coloro che assicurano che saranno usate tecniche antisismiche raffinatissime. Dice che un ponte così grande non può reggere un terremoto di una qualche intensità.
Non è vero. In Giappone dove convivono con terremoti molto più intensi e frequenti dei nostri ci sono tantissimi ponti che collegano le varie isole e che sono molto più lunghi del Ponte sullo Stretto di Messina. Il Ponte Akasshi Kaikyo è lungo quattro chilometri. Collega la città di Kobe all’isola di Awaji.
Iniziato a costruire nel 1988, le sue due torri resistettero al terremoto di Kobe che colpì la zona con una intensità di 6,8 gradi Richter e fece 6 mila vittime. I lavori ripresero dopo un mese. Fu inaugurato nel 1998. Allora era il ponte sospeso più lungo del mondo.
Dice Fini: “Poi ci sono gli imprevedibili che sempre assediano l’umano”. Ma gli imprevedibili per definizione non possono essere previsti. Per esempio non si può prevedere che un meteorite possa distruggere lo Stadio Olimpico durante un derby Roma-Lazio. Che facciamo, vietiamo il calcio?
Dice Fini, inesorabile: il Ponte Morandi fu costruito con tecniche avanzatissime. Ma la corrosione della salsedine lo ha fatto precipitare all’improvviso. Non è vero, non diamo la colpa alla salsedine altrimenti tutti i ponti costruiti sul mare sarebbero crollati da tempo. La colpa è di chi doveva occuparsi della manutenzione e dei controlli e non l’ha fatto.
E poi c’è la questione ambientale. Dice Fini che il Ponte potrebbe distruggere le coste come succede quando si costruisce un porto. E’ vero. Che facciamo? Blocchiamo tutto? O magari cerchiamo di usare tecniche più oculate, attente e meno invasive? E meno male che Fini non usa il vecchio argomento degli ambientalisti secondo il quale il ponte e i piloni disturberebbero i viaggi degli uccelli migratori.
Però usa un argomento che è anche peggio. “Il Ponte non serve né ai siciliani né ai calabresi perché per arrivare alla sua altezza ci vuole più tempo che per imbarcarsi sul traghetto”. Massimo, questo non è vero. Sembra che tu non sia mai andato in Sicilia oppure non ti sia accorto di quanto tempo ci vuole per fare attraversare lo Stretto ai treni. E quanto tempo le auto passano in fila in attesa dell’imbarco.
Infine, o quasi. Dice Fini: “Ci sono anche delle resistenze psicologiche: noi siamo abituati ad avere di fronte un’isola dicono i calabresi, noi un continente replicano i siciliani” E qui un gigantesco chissenefrega si innalza dell’aire. E comunque una sciocchezza del genere io non l’ho mai ascoltata. E io abito in Sicilia.
Per concludere l’argomento principe: la mafia. Il Ponte farà arricchire la mafia. La mafia arricchisce anche adesso che il Ponte non c’è. Arricchisce con le costruzioni, per esempio. Ma nessuno si sogna di proporre il divieto di palazzina. Arricchisce sfruttando gli operai. Vietiamo alla gente di lavorare? Cerchiamo di combattere la mafia ma senza affossare ciò che può essere di aiuto all’uomo.
Massimo, io ti ho sempre seguito nei tuoi ragionamenti contro lo sviluppo sfrenato. Ma i ponti non me li devi toccare. I ponti sono un simbolo di comunicazione, di popoli che si incontrano, di civiltà che si contaminano. I ponti sono come la lingua, come la musica, come la scrittura. I ponti sono il passato, il presente e il futuro dell’uomo. Ti prego, Massimo, non ti opporre al Ponte sullo Stretto.
Caro Claudio,
non posso dimenticare la tua mirabile intervista, puntuale, precisa o quasi, ironica e con qualche giusta punzecchiatura, che mi hai fatto per il tuo libro Voltagabbana da cui risulta che nella mia vita io sono stato tutto (sex drugs and rock n roll) fuorché un "voltagabbana". Né posso dimenticare le benevoli recensioni che hai fatto ad alcuni miei libri, né la rubrica su Cuore, da te diretto, che suscitò una mezza rivoluzione fra i tuoi redattori che mi consideravano "fascista" e alla quale tu tenesti botta. Sono sempre stato coerente, coerente con me stesso. Una volta Paolo Liguori in non so più quale circostanza disse che la mia era "una coerenza cretina". Probabilmente ha ragione, ma trovo curioso che si volti la gabbana sempre a favore dei vincitori di giornata. Il "quasi" si riferisce a Claudio Martelli. Io gli sono stato amico solo nella disgrazia, mai nella fortuna. In questo seguo Fabrizio De André quando in Amico fragile canta: "Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo con una scatola di legno che dicesse: perderemo".
Le tue considerazioni sul Ponte di Messina appaiono argomentate in modo solido, però in chiusura di questa breve risposta ti devo ficcare, da buon scorpione qual sono, un pungiglione nel didietro. Tanti anni fa portando in macchina tuo padre, non mi ricordo dove, lui mi disse: "Claudio è troppo interessato al denaro". E il Ponte di Messina è solo e soltanto denaro.
Affettuosamente. Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 16 novembre 2022