Dopo trent’anni è stato inaugurato il primo cantiere, chiamiamolo così, del progetto Ska, Square Kilometre Array, in parole semplici un grandissimo telescopio, cui partecipano Gran Bretagna, Australia, Sudafrica, Nuova Zelanda, Cina, Paesi Bassi, Portogallo, Svizzera, Francia, Germania, Spagna, Canada, India, Svezia, Corea del sud, Giappone e anche l’Italia. Quel che colpisce non è tanto la grandezza smisurata del telescopio, 500 mila metri quadrati, ma le sue potenzialità tecnologiche. La direttrice Sarah Pearce afferma che: “Il sistema sarà sensibile al punto da poter rintracciare il radar di un aeroporto su un pianeta distante anni luce”. Inoltre sarà possibile ricostruire i processi di nascita e morte delle stelle, intercettare i segnali emessi nelle centinaia di milioni di anni appena successivi al Big Bang, studiare la storia dell’idrogeno. Siamo ben oltre i viaggi spaziali dove l’uomo ridotto a drone, a differenza degli Argonauti della leggenda, non è che un semplice strumento della tecnica e si avvicina al transumanesimo dove l’homo sapiens, in verità molto poco sapiens, fa tutt’uno con la macchina, è esso stesso macchina e quindi scompare come specie. Il futurismo, ai primi del Novecento, aveva immaginato una simbiosi tra l’uomo e la macchina ma non arrivava a sostituire la macchina all’uomo, pensava, almeno nella mente di Marinetti, a una fruttuosa convivenza.
Ma al di là delle straordinarie potenzialità dello Ska quel che conta è il suo senso ultimo che, come dice la stessa Sarah Pearce, è il tentativo di rispondere all’eterna domanda: siamo soli in quest’immenso Universo? Questa domanda risponde all’eterna sofferenza dell’uomo che si sente solo davanti a questa impenetrabile immensità e non capisce quale senso abbia in essa il suo brevissimo corso di vita, e questa brevità va riferita non solo all’uomo singolo ma, in termini cosmici, all’umanità intera. La domanda, insieme alla sua sofferenza, è antica quanto l’uomo, ma forse chi l’ha espressa meglio è Giacomo Leopardi quando nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia dice: “che vuol dir questa solitudine immensa?” e aggiunge “ove tende questo vagar mio breve?”. Ma lo stupore e l’angoscia davanti a questa immensità non riguarda solo persone particolarmente sensibili come Leopardi o Nietzsche quando scrive: “quanto misero, spettrale, fugace, privo di scopo e arbitrario sia il comportamento dell’intelletto umano entro la natura”. Questa angoscia e questa sofferenza di fronte all’incomprensibile immensità del tutto ci riguarda tutti, tanto che entra spesso in quella che sembrerebbe essere la più leggera delle arti: la canzonetta. Canta Mogol in un brano intitolato appunto L’immensità, ripreso poi da moltissimi cantanti, da Dorelli a Mina a Milva a Nannini: “Io son sicuro che / in questa grande immensità / qualcuno pensa un poco a me / Non mi scorderà / Sì, io lo so / Tutta la vita sempre solo non sarò / Un giorno lo saprò / d'essere un piccolo pensiero / nella più grande immensità / di quel cielo / Sì, io lo so / Tutta la vita sempre solo non sarò / nell'immensità / Sì, io lo so / Tutta la vita sempre solo non sarò / Un giorno io troverò / un po' d'amore anche per me / Per me che sono nullità / nell'immensità”. Siamo così giunti alla domanda delle domande: che senso ha la vita? Nessuno, se restiamo nell’immanente, cioè nella realtà concreta che stiamo vivendo.
Come se ne esce? Con uno scatto chiamato Fede, cioè un ricorso al trascendente, all’‘aldilà’. Sono convinto che tutte le religioni che postulano una vita altra, in un altro luogo extraterrestre, in un altro mondo, siano nate per lenire l’angoscia di morte dell’uomo che è l’unico animale del Creato ad essere lucidamente consapevole della propria fine (“Al di là delle stelle chissà cosa c'è / Forse un mondo diverso per chi / non ha avuto mai niente in questo mondo qui /Al di là delle stelle lo avrà” Sentimento, Patty Pravo). Bisogna insomma che il razionale si pieghi all’irrazionale. E poiché millenni di filosofia non sono stati in grado di rispondere a questa domanda fondante c’è chi, come Blaise Pascal, gioca su due tavoli: se una cosa vale l’altra tanto vale credere e mettersi così al sicuro. Penso che se Dio esistesse uno così lo manda dritto e difilato all’Inferno, come quelli che si convertono in articulo mortis. Io proprio non ce la faccio. Come posso credere a un Dio che, dall’alto dei Cieli, tutti ci controlla e ci sanziona? Come posso credere anche ai dettagli del cristianesimo, all’Immacolata concezione di cui pochi giorni orsono si è celebrata la festa? Suvvia. Non voglio con questo sminuire l’importanza del cristianesimo che nel corso dei secoli ha dato speranza a milioni di uomini. Ma Dio, nella nostra cultura, è morto da tempo, ucciso dalla razionalità illuminista. Secondo Philipp Mainländer, uno dei pensatori più pessimisti che abbia mai incrociato, il mondo e noi con lui non sarebbe altro che il cadavere di Dio che si sta decomponendo. Insomma Dio è esistito ma adesso non sarebbe altro che una salma putrefatta. Allegria! come diceva il vecchio Mike.
Il Fatto Quotidiano, 13 dicembre 2022
La canzone L'immensità è di Don Backy e non di Mogol. Ce ne scusiamo con l'autore e con i lettori. Nei prossimi giorni penso di poter fare, Marco permettendo, un errata corrige anche sul Fatto. m.f