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 La lunga agonia, da morto, di papa Ratzinger.  Mi par chiaro che le trecentomila persone che in tre giorni hanno sfilato davanti alla salma di Ratzinger lo abbiano fatto, in buona parte, per antipatia nei confronti di Bergoglio. Io ho sempre preferito Ratzinger. Non per la sua finissima teologia di cui non capisco un accidente da buon miscredente, ma per l’immagine di spiritualità che emanava, mentre Bergoglio mi sembra più umano, forse troppo umano. La spiritualità non va confusa con la religiosità, è un senso del sacro che può appartenere anche a chi non crede e, alla De André, vede nella formidabile figura di Cristo un affascinante borderline, un po’ trucchista, un uomo quindi che crede sinceramente di essere “il figlio di Dio”, ma sulla croce dubita, umanamente dubita: “Padre, padre perché mi hai abbandonato?”. Insomma io parlo qui “in partibus infedelium”, da “onesto pagano”, per dirla con Nietzsche, e quindi i cattolici non dovrebbero offendersi per quello che scrivo.

D’altra parte di Bergoglio mi piace il nome, estremamente impegnativo, che si è scelto: Francesco. Francesco d’Assisi è un Santo estremamente attuale e moderno, molto più di Ratzinger o Bergoglio. È un Santo ambientalista: “Lodato sii, mio Signore, insieme a tutte le creature, specialmente per il signor fratello sole, il quale è la luce del giorno, e tu tramite lui ci dai la luce … Lodato sii, o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai create, chiare preziose e belle. Lodato sii, mio Signore, per fratello vento, e per l'aria e per il cielo; per quello nuvoloso e per quello sereno, per ogni stagione tramite la quale alle creature dai vita. Lodato sii, mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e pura. Lodato sii, mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte … Lodato sii, mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci dà nutrimento e ci mantiene: produce diversi frutti, con fiori variopinti ed erba” (Cantico delle creature).

Francesco d’Assisi è un Santo pauperista che farebbe tremare i polsi a tutta la grande industria e finanza internazionale. Era figlio di un mercante e sapeva bene dove si va a finire quando si comincia a maneggiare troppo denaro. E qui Bergoglio e Ratzinger si riuniscono, quando parlano del progresso dell’economia e della tecnica, e della sua ambivalenza, se non al Santo di Assisi, quantomeno ad Heidegger. Scrive Bergoglio nel suo libro La dittatura dell’economia: “Gli effetti dell’applicazione di questo modello (il modello che chiamiamo occidentale ma che ormai permea di sé il mondo intero o quasi, ndr) a tutta la realtà, umana e sociale, si constatano nel degrado dell’ambiente … Di fatto la tecnica ha una tendenza a far sì che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica … L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano … In alcuni circoli si sostiene che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali (“In realtà la tecnologia come risolve un problema ne pone dieci altri ancora più complessi” Paolo Rossi, filosofo della scienza) … La specializzazione propria della tecnologia implica una notevole difficoltà ad avere uno sguardo d’insieme … Nella realtà concreta che ci interpella, appaiono diversi sintomi che mostrano l’errore, come il degrado ambientale, l’ansia, la perdita del senso del vivere insieme … La gente prende coscienza che il progresso della scienza e della tecnica non equivale al progresso dell’umanità e dalla storia”. Da parte sua Ratzinger, quando era ancora cardinale, ha affermato: “il Progresso non ha partorito l’Uomo migliore, una società migliore e comincia a essere una minaccia per il genere umano”.

Insomma, diciamo la verità, Bergoglio e Ratzinger sono “finiani” e forse, chissà, anche il fraticello di Assisi.

Il Fatto Quotidiano, 7 gennaio 2023