“E noi cambiavamo molto in fretta Il nostro sogno in illusione Incoraggiati dalla bellezza Vista per televisione” (Pane e Coraggio, Ivano Fossati)
Papa Bergoglio in una sua omelia ha detto una cosa importante: senza rivalutare il colonialismo storico ha affermato che quello economico, cioè quello in atto, soprattutto in Africa nera, da più di mezzo secolo, è peggiore. Ormai per trovare qualcosa di sinistra bisogna ricorrere a questo Papa che non per nulla ha voluto darsi il nome di Francesco, il più attuale di tutti i santi: ecologista (“Frate sole, frate luna, frate lupo” per cui quando dico “Dio Lupo” non è una bestemmia) e pauperista. Papa Francesco, anche se qualche volta è, uhm, diciamo un po’ troppo piacione, non dimentica che il magistero della Chiesa ha due importanti funzioni, quella della cura delle anime e quella sociale.
Il colonialismo classico oggi abbandonato dagli ex Paesi colonialisti, tranne che dalla Francia (vedi Mali), non ha fatto danni irreparabili. Si limitava a rapinare materie prime di cui gli autoctoni in genere non sapevano che farsi, ma non aveva la pretesa di cambiare il sistema economico, sociale e culturale di quei Paesi. Gli autoctoni, gli indigeni, i Naturvölker (“i popoli della Natura”) continuavano a vivere come avevano sempre vissuto, e a volte prosperato, per secoli e millenni su quella che si chiama “economia di sussistenza”, autoproduzione e autoconsumo, una lezione che i cosiddetti Paesi Moderni dovrebbero imparare a memoria.
Ai primi del Novecento l’Africa nera era alimentarmente autosufficiente, lo era ancora, in buona sostanza (al 98 percento), alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Cosa è successo dopo? Che i Paesi cosiddetti sviluppati, sempre bisognosi di accrescere la loro crescita pena un tracollo dell’intero sistema, hanno cominciato a considerare interessanti i 700 milioni di abitanti dell’Africa nera. Erano poveri sì, ma potevano essere convertiti, nel senso quasi religioso del termine, in “consumatori”. È stata questa la causa devastante. Il modello di sviluppo che chiamiamo occidentale imposto ai neri invece di arricchirli li ha impoveriti fino alla fame nuda e cruda, non si capirebbero altrimenti le spaventose migrazioni di questi ultimi anni. Un uomo dello Zambia o dell’Etiopia o della Nigeria, non violerebbe, con grave pericolo, i confini del proprio Paese d’origine con famiglia e bambini appresso, non attraverserebbe la Libia che dopo la criminale aggressione (francese, americana e italiana) e la brutale eliminazione del colonnello Muhammad Gheddafi, è diventata una delle aree più pericolose del mondo, non si affiderebbe agli scafisti, taglieggiati costoro anche dall’Isis che dalla confusione ha sempre tutto da guadagnare, non si imbarcherebbe su gommoni pericolanti lasciandoci spesso la pelle, se non fosse spinto dalla più cruda delle esigenze: la fame (tra l’altro i neri non sanno nuotare, un po’ perché il mare non l’hanno mai visto, un po’ perché hanno le ossa pesanti – i neri sono stati grandissimi in tutti gli sport tranne che nel nuoto).
Lo “aiutiamoli a casa loro” di salviniana memoria è ipocrita e criminale. Più cerchiamo di integrare i neri, con la forza o con l’illusione delle nostre televisioni e naturalmente con le pressioni degli imprenditori, multinazionali o meno, nel nostro sistema più li strangoliamo trasformandoli da poveri che erano in miserabili.
Oltretutto oggi l’Africa nera è diventata particolarmente allettante perché nel suo ventre ci sono il cobalto e il coltan che è indispensabile per le batterie di computer e smartphone cioè per gli strumenti oggi necessari al digitale (altro che oro e diamanti che comunque stanno soprattutto in Sud Africa) e non saranno certo gli indigeni a utilizzare queste preziose materie prime, ma le multinazionali di ogni Paese, Cina compresa.
Una ventina di anni fa fu rapito in Nigeria, a titolo di riscatto, un importante dirigente di una altrettanto importante multinazionale italiana, oltretutto un nero che si occupava di “risorse umane” e ovviamente non era ben visto dalla popolazione locale. Scosso dal fatto di aver dovuto infierire su un uomo di colore come lui, uno dei rapitori disse: “Voi ci costringete ad essere dei mostri anche se non lo siamo”. Del resto quanto è avvenuto in Ruanda tra Tutsi e Hutu dice quanto abbiamo ibridato quella gente, perché il nero di suo non è un violento è un istintivo che è cosa diversa, e nella bimillenaria storia dell’Africa nera pochissime sono state le guerre, niente a che vedere con quello che hanno combinato i Paesi cosiddetti sviluppati in Europa e in Oriente, in genere innocuizzate, con grande sapienza, con istituti consuetudinari che tendono a canalizzare l’aggressività senza annullarla del tutto.
Ma il tritacarne economico sull’Africa nera continua imperterrito. Parola di Papa.
Il Fatto Quotidiano (7 marzo 2023)