Ad ottobre ho pubblicato sul Fatto un articolo intitolato “in Jugoslavia riesploderà la polveriera”. Sono stato facile profeta. A sei mesi di distanza ad innescare delle polveri che aspettavano solo di prendere fuoco sono stati stolidamente i kosovari. Lo scorso aprile c’erano state nel nord del Kosovo, nazione mai riconosciuta dalla Serbia e da altri 91 stati del mondo fra cui la Russia, elezioni comunali nei paesi di Leposavic, Zubin, Potok e Zvecan. Non riconoscendo il Kosovo i serbi della regione avevano disertato le urne tanto che al voto era andato solo il 3% della popolazione. Il che voleva semplicemente dire che in quella regione del Paese il 97% della popolazione era serba e solo il 3% kosovara/albanese ma il governo fantoccio di Pristina, lo definisco tale perché stato imposto dagli americani dopo l’illegittima aggressione alla Serbia del 1999 (l’Onu si era detta esplicitamente contraria) ha voluto ugualmente insediare i sindaci. Da qui sono nati scontri furibondi fra i serbi e l’esercito “regolare” di Pristina con un bilancio di numerosi feriti da entrambe le parti che è ancora da definire. Ieri, a fare le spese del nuovo incendio, sono state le truppe della forza Nato in Kosovo, con il ferimento di 41 militari, di cui 11 sono alpini italiani.
Dubito molto che i serbi si fermeranno qui. Se solo la guerra in Ucraina dovesse volgere a favore della Russia i serbi che sono storicamente alleati dei russi per ragioni che non sono solo politiche ma anche culturali ed etniche (sono entrambi popoli slavi e Jugoslavia sta a designare letteralmente gli “slavi del sud”) potrebbero non esitare a togliersi quella dolorosa spina nel cuore rappresentata dal Kosovo che è considerato storicamente “la culla della Nazione serba”. L’atteggiamento del campione serbo Djokovic (“il Kosovo è serbo e rimarrà per sempre serbo”) che oltre ad essere un grande tennista e persona educatissima e un uomo di grande cultura, che non ha nei suoi geni la ferocia di quasi tutti i suoi connazionali che sono per questo considerati, sul terreno, i migliori combattenti del mondo (vedi Maledetta Sarajevo di Francesco Battistini e Marzio Mian che tratta della guerra nella ex Jugoslavia combattuta con belluini corpo a corpo e non a forza di missili e droni) non lascia adito a dubbi.
Mutato il quadro geopolitico mondiale potrebbe entrare in gioco anche la Cina di cui nei bombardamenti del 1999 su Belgrado gli americani riuscirono a colpire, nel loro consueto ‘a chi cojo cojo’, l’ambasciata. Non a caso qualche mese fa la Cina ha fornito alla Serbia sei aerei militari Y-20 da trasporto strategico. Questa fornitura è avvenuta alla luce del sole, ma è molto probabile che altre armi siano state fornite dai cinesi alla Serbia e che altre ancora potrebbero arrivarne in seguito.
L’ordine in Kosovo/Serbia è mantenuto ora dalla Nato, ma la Nato è impegnata su un’infinità di fronti molto più interessanti per gli Stati Uniti e potrebbe sganciarsi dallo scacchiere balcanico che non gli da alcuna utilità concreta e nello stesso tempo è una spina nel fianco per l’Unione europea e in particolare per l’Italia perché nei Balcani oggi, dopo la guerra del 1999, predomina la componente islamica con annesse cellule ISIS che, a un centinaio di chilometri da noi, sono pronte a colpire appena se ne presenti l’occasione.
Ma la questione Kosovo è solo un assaggio. Presto, io credo, esploderà la Bosnia, uno stato inesistente e mai esistito, tenuto insieme con lo sputo, vale a dire ancora dalla NATO e con una forza europea, chiamiamola così, sul campo, con presidente un islamico e dove i serbi sono ridotti ad un enclave. Credo che i serbi di Bosnia o muoveranno guerra ai croati di Bosnia e agli islamici di Bosnia o più probabilmente si uniranno alla contigua Serbia.
I Balcani sono stati storicamente l’autentica polveriera d’Europa, l’Ucraina, in fondo, è solo un incidente di percorso.
Il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2023