Nei giorni scorsi una formazione di serbo-kosovari, definiti “criminali” dal Corriere, mentre sono degli indipendentisti come lo erano i russofoni del Donbass, ha teso un’imboscata ad agenti dell’esercito “regolare” del Kosovo. Risultato: un agente morto, sette assalitori uccisi nonostante si fossero rifugiati in una chiesa ortodossa e quindi non rispettando nemmeno il secolare “diritto d’asilo”.
La notizia è passata quasi inosservata sulle pagine degli esteri dei nostri giornali, tutti impegnati ad esaltare l’Ucraina del buffone Zelensky ai danni della Russia secondo diktat Usa. Non c’è articolo che non cominci, o non dia per presupposto, che “c’è un aggressore e un aggredito”, d’accordo ma c’era un aggressore anche nel 1999 proprio nei confronti della Serbia (Nato, cioè americani), c’era un aggressore, sempre Nato con i suoi satelliti, anche nel 2003 in Iraq, c’era un aggressore, anzi più aggressori, americani, francesi e italiani, nel 2011 quando fu invasa la Libia e ucciso Muhammar Gheddafi nel modo barbaro che conosciamo, ma in questi casi non si è mai fatta la distinzione fra “aggressore e aggredito” trovando per queste aggressioni motivazioni farsa e nomignoli grotteschi come “operazione di peacekeeping”, “operazione di polizia internazionale” (e per pietas nei confronti del lettore lascio perdere tutta la vicenda afgano-talebana).
La questione del Kosovo ha origine nelle guerre balcaniche fra croati, serbi e musulmani. Queste guerre avevano a loro volta alle spalle la disgregazione della Jugoslavia. Nel 1991 la Slovenia dichiarò la propria indipendenza dalla Jugoslavia di Tito senza colpo ferire, sempre nel 1991 la Croazia, cattolica, chiese ed ottenne dall’Onu l’indipendenza con l’appoggio della Germania e del Papa, il cosiddetto “santo padre”. Allora anche i serbi di Bosnia chiesero quello che avevano ottenuto Slovenia e Croazia, l’indipendenza o la riunione con la madrepatria serba. Ma gli venne negata. E i serbi scesero in guerra. Quella guerra i serbi l’avevano vinta, perché a sentire gli addetti ai lavori, sono i migliori combattenti sul terreno. Ma intervennero gli americani che decisero di creare uno Stato inesistente, la Bosnia, che nella Jugoslavia era solo una regione, e trasformarono i vincitori in vinti. I serbi di Bosnia, oltre a quelle già accennate, avevano delle buone ragioni dalla loro parte: è ovvio che una Bosnia multietnica era concepibile solo all’interno di una Jugoslavia multietnica, una Bosnia multietnica a guida musulmana, integralista, era proprio una cosa che non si poteva vedé. L’accordo di Dayton del 1995, firmato da tutte le parti in causa ed in più dagli Stati Uniti e dalla Germania che non si capisce che cazzo c’entrassero, mise fine alle guerre balcaniche. Fu firmato anche, ovviamente, da Slobodan Milosevic che in seguito sarà mandato davanti al cosiddetto Tribunale Internazionale dell’Aja per “crimini di guerra”, il solito tribunale dei vincitori, e morirà in carcere per un infarto molto sospetto, diciamo un infarto alla Putin.
Non contenti di aver umiliato la Serbia in tutti i modi gli americani l’aggredirono, contro la volontà dell’Onu, nel 1999, col pretesto del Kosovo. In Kosovo, terra serba da sempre, anzi “la culla della nazione serba”, i musulmani erano diventati maggioranza e chiedevano l’indipendenza e come in tutte le guerre partigiane facevano largo uso, legittimamente a mio vedere, del terrorismo, la Serbia rispondeva con l’esercito e gruppi paramilitari, le famose “tigri di Arkan”. Era una questione interna allo Stato serbo. Ma intervennero gli americani che decisero che i serbi avevano torto. Nei primi mesi del 1999 a Rambouillet fu proposto alla Serbia un trattato di pace assolutamente inaccettabile: la Serbia avrebbe dovuto rinunciare non solo ad ogni diritto sul Kosovo ma alla sua stessa sovranità. E fu la guerra. Per 72 giorni gli americani bombardarono una grande e colta (Kusturica, Bregovic) capitale europea come Belgrado (poi non ci si può lamentare se in una situazione quasi speculare Putin bombarda Kiev). Risultato: 5500 morti civili (l’esercito serbo, privo di contraerea, non aveva potuto rispondere) fra cui 500 albanesi, proprio quelli che si pretendeva di proteggere. E sotto questi bombardamenti ci furono gli eccidi che furono addebitati all’esercito serbo. In realtà ce ne fu uno solo, a Račak (45 vittime civili), ma la Cnn, seguita caninamente dalle televisioni italiane, lo ripresentava ogni sera, ma visto da prospettive diverse, per cui sembrava che gli eccidi fossero multipli, per aumentarne l’impatto sull’opinione pubblica.
L’indipendenza del Kosovo è ratificata da 101 Stati su 193. La questione è quindi ancora aperta. È bene ricordare che il diritto su un paese non appartiene all’etnia che in quel momento ha la maggioranza, appartiene a chi quel paese ha contribuito a formare, lavorandoci sopra, altrimenti il Piemonte, qualora vi si imponesse una maggioranza di immigrati musulmani, dovrebbe essere tolto all’Italia e dato a questi ultimi.
Nel frattempo dei 300 mila serbi che abitavano in Kosovo ne sono rimasti 100 mila. La più grande “pulizia etnica” dei Balcani, dopo quella dal premier croato Tudjman che in un sol giorno cacciò 800 mila serbi dalle krajine. E questa volta complice è la KFOR, cioè le forze Nato che presidiano il Kosovo e nella KFOR sono presenti anche gli italiani con 850 soldati.
L’Europa intera dimentica di avere un grande debito di riconoscenza con i serbi. Fu la resistenza serba, durata tre settimane, a ritardare l’aggressione nazista alla Russia, tre settimane che furono fatali ad Hitler perché la Wehrmacht si trovò impantanata, come le armate di Napoleone, nell’inverno russo.
Particolarmente stolida è l’ostilità dell’Italia verso la Serbia. Noi italiani non abbiamo mai avuto contenziosi con la Serbia, gli abbiamo avuti con i fascisti croati che verso la fine della seconda guerra mondiale “infoibarono” i nostri, militari e soprattutto civili. Nei primi anni del Novecento in Serbia si guardava alla monarchia italiana come ad un esempio e si pubblicava un quotidiano intitolato “Piemonte”.
Gli scontri di cui abbiamo parlato all’inizio sono solo l’antipasto di ciò che verrà. Il sentimento generale serbo è quello espresso dal tennista Nole Djokovic: “Il Kosovo è serbo e sarà sempre serbo”. In attesa che si sveglino anche i serbi di Bosnia.
Ps. Una cosa intollerabile fu la scomunica della squadra jugoslava dagli europei di Svezia del 1992. Quella squadra era formata, fra gli altri, da Stojkovic, serbo, Savicevic, montenegrino, Prosinecki, croato, Jugovic, serbo, Boban, croato, Mihajilovic, serbo e dal basilare Bazdarevic, bosniaco, regista che calmava i bollori di una squadra dove tutti, anche i terzini, erano votati all’attacco. Quella squadra aveva vinto tutte le partite delle qualificazioni, tranne una pareggiata. I ragazzi erano già in Svezia e per imposizione della FIFA e della UEFA furono cacciati a pedate. Un’ignominia calcistica che fa quasi paro con quelle, non sportive, di cui abbiamo parlato.
Il Fatto Quotidiano, 28.09.2023