L’altra sera ero a cena in una bella casa, ingentilita da raffinate boiserie, invitato da una signora di mezza età, moglie di grande Autorità. L’ospite era donna moderna, emancipata, acculturata, consapevole, radical chic, femminista, ecologista, superatlantista, pacifista e soprattutto animalista. Ce n’era abbastanza per darmi sui nervi. Sapendo probabilmente – diceva di essere una mia lettrice – che io, a differenza di Feltri, suo idolo, non ho una grande simpatia per gli animali da compagnia, preferendo rinoceronti, bisonti, elefanti, ippopotami e soprattutto il mitico varano dell’isola di Komodo, che è l’unico animale preistorico rimasto sulla faccia della Terra, ingaggiò una discussione sull’animalismo di cui era fautrice fanatica ed estremista. Gli animali, a dir suo, non dovevano essere uccisi e tantomeno torturati. Le feci notare che anche la bistecca che aveva nel piatto era pur sempre appartenuta a qualcuno, che era stato torturato vivendo sotto le luci dei riflettori ventiquattr’ore su ventiquattro e poi serenamente ucciso.
Recentemente in Belgio è stata istituita in Costituzione una norma che obbliga alla “tutela del benessere degli animali”. Norma giusta e saggia se presa con moderazione, non con l’estremismo animalista (io definisco l’animalismo “la malattia infantile dell’ecologismo”). Mi pare che con la tutela del “benessere degli animali” si stia andando troppo oltre. Scrivevo ne Il ribelle dalla A alla Z del 2006: “Quando si arriva a produrre e commercializzare shampoo e linee di beauty per cani, gli si fa indossare, oltre ai cappottini, t-shirt, cappellini, trench, bretelle, stivaletti di montone, occhiali da sole, gli si smaltano le unghie, li si irrora di eau de toilette alla vaniglia perché non odorino da cani, di ‘color highlight’ per fare le meches al pelo, striandolo di rosa, di arancione, di blu, di fucsia, di oro, li si vaporizza con spray antistress, li si porta dallo psicanalista da 300 euro l’ora e infine si stipulano polizze vita a loro favore del valore di 200 milioni di euro, vuol dire che una società è giunta al capolinea”. Si aggiunga che in America, capofila di quest’orgia animalista, si lasciano cospicue eredità soprattutto ai cani, preferiti ai congiunti. Per fortuna le guerre in corso, costringendo a stringere la cinghia, hanno tagliato un po’ le unghie a questo animalismo cretino. Non tutto il male vien per nuocere.
Io, devo ammetterlo, ce l’ho soprattutto con i cani che sarebbero anche delle brave bestie se non fosse per i loro padroni. Si sostiene che fra cane e padrone (per il gatto, più indipendente, la cosa è diversa) c’è “un affetto reciprocamente disinteressato”. Disinteressato un bel niente, perché il cane, come si dice in milanese, “la gà la sua convenienza” perché sgriffa il cibo a gratis. Io credo che gli animali vadano trattati da animali e non umanizzati. Non si potrebbe far loro peggiore ingiuria. Un bel calcio in culo a un cane, diventato fastidioso, ogni tanto va dato, “a cuccia!” infatti si dice. Dei cani poi non mi piace proprio la fedeltà detta appunto “canina”, peraltro sovrapagata. Purtroppo la “fedeltà canina” è anche degli uomini di fronte al Potere, a qualsiasi potere. Dell’uomo dev’essere la lealtà che è cosa ben diversa dalla fedeltà.
In molti Paesi è proibito mangiare carne di cavallo. Fortunatamente in Italia no, in Italia si preferisce fare stramazzare i cavalli al Palio di Siena. L’uomo è un animale onnivoro, e quindi anche carnivoro, e perciò ha il dritto di sfamarsi come meglio può. È antropocentrico, così come il gatto è gattocentrico e il leone leonecentrico. Il leone si stupirebbe molto se qualcuno andasse a dirgli che non è etico che si divori l’antilope.
Se l’ospite dell’altra sera leggerà queste righe mi sarò fatto un nuovo nemico. E la mia ex moglie mi dice che a furia di comportarmi così rimarrò solo come un cane. Ma, visto come stanno andando le cose, non è detto che, a questo punto, sia uno svantaggio.
Il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2024