Fra la Shoah e quanto sta avvenendo da alcuni mesi in Palestina c’è una differenza. Della Shoah e della “soluzione finale” (è anche incerto che Hitler abbia usato questa espressione anche se era nei suoi intendimenti nei fatti) mentre erano in corso si aveva una scarsa conoscenza sia negli Stati Uniti, sia in Europa sia nella stessa Germania. Gli americani intervennero in Europa abbastanza obtorto collo trascinati dalla provocazione giapponese di Pearl Harbour ed è certo che gli Stati Uniti temevano più il Giappone che avrebbe potuto portare la guerra sul suolo americano dei i nazisti che non avevano mai manifestato questa intenzione. Intervennero per motivi militari e non certo per salvare la comunità ebraica. Di quello che era successo si resero conto quando messo piede sul suolo tedesco poterono entrare nei campi di concentramento di Auschwitz, Buchenwald, Mauthausen. Ma gli stessi tedeschi ne sapevano poco. Ci sono migliaia di tedeschi che avevano vissuto quasi a fianco dei campi di concentramento senza sospettare che cosa avvenisse in quei gironi infernali. Certo si poteva sospettare. Sospetti ne aveva Hanna Reitsch che nelle sue memorie racconta di aver espresso ad Himmler le sue perplessità su quanto avveniva in Germania ai danni degli ebrei e che Himmler rispose “credi sul serio a queste cose?”. Quindi era possibile sospettare, ma era anche legittimo non sospettare. Hanna Reitsch era un asso dell’aviazione tedesca, riuscì ad atterrare sotto le bombe americane nell’aeroporto praticamente distrutto che c’era a fianco del Bunker proponendo ad Hitler di salire sul suo aereo e di mettersi in salvo, ma il Fuhrer rifiutò: “non voglio cadere vivo nelle mani degli americani, mi metterebbero in una gabbia, come una bestia da esporre al pubblico ludibrio” (cosa che poi avvenne per personaggi minori e probabilmente colpevoli di nulla come il poeta Ezra Pound messo in queste condizioni a Tombolo). Ora Reitsch non aveva particolari simpatie per il nazismo in quanto tale casomai un’adorazione quasi adolescenziale per il Fuhrer e quindi non c’è motivo per cui mettesse in bocca ad Himmler un’espressione di fatto favorevole al movimento nazista.
Insomma quasi tutto quello che abbiamo saputo della Shoah lo abbiamo saputo dopo, non quando gli eventi erano in corso. Poi bastò leggere il Diario di Anna Frank per capire cosa era successo. Certo chi partiva dal terribile binario 21 della Stazione di Milano sapeva di andare incontro ad un destino tremendo, ma non delle sue circostanze, non aveva una consapevolezza piena delle modalità in cui si sarebbe concretizzato questo destino. Della Shoah, mentre era in corso, noi abbiamo avuto una conoscenza “de relato”, attraverso i racconti delle vittime che dal campo di concentramento riuscivano a far avere qualche notizia ai familiari o agli amici. Ma, insomma, quegli avvenimenti atroci noi, come ho già detto, non li abbiamo visti. Non c’erano le televisioni.
Quello che sta avvenendo in Palestina invece noi lo vediamo ogni giorno, in presa diretta, grazie appunto alle tv, ai social, alle testimonianze dirette dei protagonisti, nel bene e nel male.
La tragedia del popolo palestinese non sta tanto nei 40 mila morti, comunque una trentina di volte di più degli israeliani uccisi dopo l’attentato del 7 Ottobre, ma nel fatto che due milioni di persone sono costrette a vivere senza cibo, senza acqua, senza poter contare su alcuna assistenza sanitaria perché quasi tutti gli ospedali di Gaza sono stati distrutti, facendo strame del personale sanitario, medici, infermieri, volontari. Questi attacchi agli ospedali, che secondo il diritto internazionale non sarebbero comunque ammessi, vengono giustificati dagli israeliani col fatto che vi si nasconderebbero molti dirigenti di Hamas. Quel che è certo è che attualmente ci sono in Palestina più dirigenti di Hamas, veri o presunti, che ospedali.
Questo sterminio, non chiamiamolo Olocausto, avviene sotto gli occhi di tutto il mondo che non è indifferente ma impotente. Biden ha tentato in tutti i modi di convincere Netanyahu a darsi una misura, ma è stato sempre umiliato dagli israeliani con un niet che ricorda quello di Gromyko, il “signor niet” che a suo tempo esasperava gli occidentali.
Pressioni su Netanyahu sono state fatte anche dagli inglesi (recentemente una delegazione britannica è stata respinta) e prima ancora dai tedeschi e dall’Unione Europea, dall’egiziano al-Sisi, dall’emiro del Qatar, ma la risposta è stata sempre “niet”.
Il peggior nemico di Israele, e molti all’interno della comunità ebraica internazionale e locale lo hanno capito, è proprio Bibi Netanyahu che ha scatenato contro il proprio paese l’odio del mondo intero, non solo arabo: fino al Sudafrica che ha preso l’iniziativa di portare Netanyahu e alcuni dei suoi collaboratori davanti al Tribunale internazionale dell’Aia per “crimini di guerra”. Iniziativa di pura parata, pleonastica, perché si sa benissimo che questo Tribunale non ha nessuna autorità ed è anche bene che non ce l’abbia perché sarebbe il “Tribunale dei vincitori” come avvenne, alla fine della Seconda guerra mondiale, con i processi di Norimberga e Tokyo.
Che fare? Solo gli americani hanno la possibilità di fermare Israele togliendogli i rifornimenti militari ed economici. Ma non lo faranno mai, non solo perché considerano Israele il baluardo della democrazia in Medio Oriente ma perché la comunità ebraica americana, cui si aggiunge quella internazionale dei Soros dedita soprattutto a quella speculazione finanziaria che oggi ci sta strangolando tutti ed è più forte degli Stati Uniti, dell’Europa e della Russia messe insieme, è troppo potente perché qualcuno osi mettersi contro.
Si potrebbero creare delle “brigate internazionali” come è stato in passato per esempio nella guerra civile spagnola, dove accorsero franchisti e antifranchisti, comunisti e anarchici (Omaggio alla Catalogna) o nella guerra greco-turca dove Lord Byron ci lasciò la pelle. Ma questa non è più epoca di iniziative romantiche. Lord Byron non è morto solo fisicamente ma anche come idea.
23 Agosto 2024, Il Fatto Quotidiano