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Nostalgia non della Champions League già diventata “la vecchia Champions League” a causa dei cambiamenti introdotti dall’UEFA, ma della vecchia cara e mai troppo rimpianta Coppa dei Campioni. Prima dell’inizio della competizione, io seguivo Juve-PSV Eindhoven, partita noiosissima con un PSV irriconoscibile con vecchie rozze come l’anziano Luuk de Jong (che non è Frankie De Jong che gioca nel Barça) in studio i commentatori di Sky, fra cui oltre all’insopportabile Paolo Condò, per fortuna c’erano Boban e Fabio Capello il mister di tutti i mister, hanno cercato di spiegare la nuova formula. Io non ci ho capito niente, ma ho capito che ci saranno molte più partite e quindi più business. Inoltre con questa nuova formula, praticamente a campionato, è pressoché impossibile che squadre minori possano arrivare alla finale, come fu per la Stella Rossa di Belgrado nel 1991, che la vinse, o la Sampdoria, nel 1992, che la perse, quando c’era ancora la Coppa dei Campioni.

Molti grandi atleti, da Kevin De Bruyne a Upamecano a Alisson, si sono espressi contro questa nuova formula perché usura i calciatori ancor più de “la vecchia Champions”. Non ci si può poi meravigliare se i ragazzi si rompono di continuo per cui le grandi squadre devono avere a disposizione una rosa di riserve che sono all’altezza dei titolari e questo lo possono fare i grandi club, non i piccoli, per cui è vero che c’è una maggiore presenza di squadre minori (si qualificano alla nuova Champions anche squadre che sono arrivate quarte nel loro campionato) ma queste non hanno nessuna possibilità non dico di arrivare in finale ma nemmeno ai quarti.

Alla vecchia Coppa dei Campioni partecipavano le squadre che avevano vinto il loro campionato, per cui in uno scontro diretto, andata e ritorno, poteva vincere chiunque dato che, come si dice, “la palla è rotonda”. Mi ricordo di aver preso il Lugano vincente contro l’Inter in Coppa UEFA (gioia immensa).

Dal 2022, a complicar le cose, sono possibili cinque sostituzioni per cui i protagonisti non sono più i calciatori ma l’allenatore con la sua capacità tattica (nostalgia del “gol dello zoppo”).  Così gli allenatori considerandosi ormai degli Dèi possono combinarne di ogni. Un esempio è il troppo mitizzato Guardiola. Guardiola pensa che se la sua squadra vince, il Manchester City, che vincerebbe anche se lo guidassi io, è tutto merito suo per cui detesta i grandi calciatori che ha in squadra in particolare Kevin De Bruyne, il più grande assistman degli ultimi anni, perché può fargli ombra. In una partita ho visto schierare De Bruyne centravanti e Guardiola ci ha messo venti minuti per capire che doveva riportarlo al suo posto, che è dietro le punte.

Nella partita Juve-PSV zeppa di tatticismi, di schemi, 4-2-3-1, 4-3-3, chi commenta la partita non ti dà le formazioni (ah la musicalità del “Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Corso”) dà i numeri, “dà i numeri” cioè è fuori di testa. C’è stato un solo episodio umano in questa partita, il portiere titolare del PSV ha lasciato la squadra per assistere la moglie incinta con la riprovazione dell’intero Studio. C’è un precedente. Nel 2006 Ruud van Nistelrroij, appena acquistato dal Madrid, voleva disertare la prima partita della Liga per assistere la moglie incinta, una mossa rischiosa perché puoi ben chiamarti Van Nistelrooij ed essere costato 15 milioni, ma se poi chi ti sostituisce fa tre gol, rischi il posto, tanto più che l’allenatore del Madrid era il ‘sergente di ferro’ Fabio Capello che cose di questo genere non le tollerava (si sbarazzò di un talento purissimo come Antonio Cassano detto “el gordo” proprio perché si concedeva troppe distrazioni e ingrassava. Cassano ingrassava ma disse una cosa giusta: “tutte le volte che vinciamo è merito di Ruud, tutte le volte che perdiamo è colpa nostra” e Capello lo ebbe in antipatia anche per questo). La moglie di van Nistelrooij partorì prima del previsto e Ruud la mattina del match si precipitò al campo. Capello lo guardò negli occhi e disse: “tu oggi giochi”. Segnò tre gol e così iniziò l’epopea di van Nistelrooij al Madrid (“se van Nistelrooij sarà ‘Pichichi’, capocannoniere, della Liga il Madrid vincerà il campionato” scriveva La Gazzetta dello Sport). Spiace che Fabio Capello soprattutto parlando di una squadra olandese come il PSV non ricordi van Nistelrooij che gli ha fatto vincere un campionato con una squadra scarsissima dove di validi c’erano solo il portiere Iker Casillas, detto non a caso “san Iker” e un giovanissimo Sergio Ramos, c’erano invece giocatori inesistenti come Gago e Higuain. Quando lo dissi a una trasmissione di Fulvio Collovati, cinquantenne, con un fisico ancora perfetto, Collovati si sorprese e disse “ah questi intellettuali” intendendo che era strano che gli intellettuali si interessassero di calcio. Ora un intellettuale che non si interessa di calcio non è un intellettuale ma un bolso, uno moscio, uno che non ha mai vissuto. Avete mai letto in un editoriale di Angelo Panebianco un accenno al calcio?

Parlavamo dianzi della musica. Oggi allo stadio, per non parlare della tv, prima della partita o addirittura quando c’è un gol si fa musica con improbabili cantanti pescati chissà dove. “Il calcio non è una discoteca” ha detto, giustamente, qualcuno.

Questa fagia di calcio finirà per distruggerlo, che è la conseguenza di ogni eccesso in qualsiasi ambito. Perché, per contrasto, crea disaffezione e disinteresse. In Europa gli abbonamenti alle pay tv sono in costante calo. Secondo Findomestic “Il 34% degli italiani non segue direttamente le partite, ma si limita a tenersi aggiornato sui risultati attraverso altri mezzi di informazione, web, tv, social, giornali”. Mio figlio, Matteo, che ha giocato a calcio e ha anche allenato, si comporta così, legge solo La Gazzetta, la mattina. Rimaniamo noi vecchi che, seppur disgustati da questo nuovo calcio diventato tutto economico, continuiamo a seguirlo. Perché quando eravamo ragazzi per noi c’era solo il calcio (oltre all’altro sport nazional popolare, il ciclismo) perché il tennis era cosa da ricchi o da raccattapalle e il basket troppo americano. Solo Mughini della mia generazione non giocava a calcio, faceva le parallele, l’ha scritto lui. Ma noi vecchi moriremo, finalmente, e non saremo sostituiti. Così gli apprendisti stregoni che oggi dominano il calcio ridotto quasi solo a business avranno realizzato, è il caso di dirlo, l’ennesimo autogol.

24 Settembre 2024, il Fatto Quotidiano