“Questa democrazia che a farle i complimenti ci vuole fantasia”, Giorgio Gaber, 2003.
Noi paghiamo della gente perché ci comandi. Un masochismo abbastanza impressionante che “dovrebbe lasciare stupiti gli uomini capaci di riflessione” (Jacques Necker, politico svizzero, attivo nel Settecento). Evidentemente di “uomini capaci di riflessione” in circolazione ce ne sono pochi perché noi, comuni mortali, continuiamo a pagare, e lautamente, coloro che ci comandano. Chi sono costoro? Dei mediocri. Scrive Tocqueville ne La democrazia in America: “Al mio arrivo negli Stati Uniti fui molto sorpreso fino a qual punto il merito… fosse scarso nei governanti… Quando voi entrate nell’aula dei rappresentanti a Washington restate colpiti dall’aspetto volgare di questa grande assemblea. Invano voi cercate un uomo celebre, quasi tutti i suoi membri sono oscuri personaggi il cui nome non vi dice nulla”. Il merito. Nessun uomo che abbia delle qualità si mette a far politica. In politica si mettono uomini senza qualità per procurarsi un lauto guadagno che non potrebbero ottenere altrimenti. Scrive Max Weber: ”di politica come professione vive chi tende a farne una duratura forma di guadagno” (Il lavoro intellettuale come professione, 1919).
Dice: di che ti lamenti? Sei stato tu a scegliere questi personaggi. Nient’affatto. Sono state le oligarchie dei partiti a metterli nelle condizioni di essere eletti.
Più ci si addentra nella ricerca dei requisiti necessari alla democrazia perché sia veramente tale e più le cose si fanno nebulose. Sarà il consenso? Hitler e Mussolini hanno avuto, con metodi democratici, un consenso ben maggiore dei regimi liberali.
Norberto Bobbio, dopo aver dedicato tutta la sua laboriosa vita allo studio della democrazia, la definisce così: “Per regime democratico s’intende primariamente un insieme di regole e di procedure per la formazione di decisioni collettive”. Una definizione così esangue da risultare difficile da comprendere.
E poi non è affatto vero che in democrazia i cittadini siano eguali, come vorrebbe l’articolo 3 della Costituzione. Nota Gaetano Mosca, esponente, insieme a Vilfredo Pareto e Robert Michels della “scuola elitista” italiana dei primi del Novecento: “Cento che agiscano sempre di concerto e di intesa gli uni con gli altri trionferanno su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo fra loro” (La classe politica). Quindi la democrazia, quando va bene, è un sistema di oligarchie o, come le chiama pudicamente Giovanni Sartori, di “poliarchie”.
Se la democrazia si definisce quindi come un sistema di “regole e procedure” almeno queste dovrebbero restare invariate e invariata soprattutto dovrebbe essere la Costituzione che è la regola fondante di un sistema democratico, ma in Italia, e non solo in Italia, è generalmente ammesso che si sia formata una “costituzione materiale”. Quindi la democrazia cammina su un terreno di sabbie mobili. E non è affatto detto che non possa diventare, con metodi legali, una sostanziale dittatura. E’ il caso di Berlusconi (ma lo cito qui solo a volo d’uccello perché il nostro discorso riguarda tutte le democrazie) che per vent’anni ha accumulato un potere enorme in politica, in economica, nei media.
Ma quel che più colpisce è che nei nostri rappresentanti non c’è nessun requisito specifico per arrivare al potere. Nel feudalesimo, occidentale e orientale, i nobili sono coloro che sanno portare le armi, in certe epoche dell’antico Egitto la professione di scriba conduceva alle cariche pubbliche e al potere, in Cina la conoscenza dei numerosissimi e difficili caratteri della scrittura era la base della casta dei mandarini, nella Roma repubblicana il comando, attraverso la trafila delle magistrature (questore, edile, pretore, console) andava ai giurisperiti che in genere erano anche uomini d’arme, in altre realtà la casta sacerdotale era creduta in possesso di doti particolari che le permettevano di mediare con la divinità. Insomma in democrazia il prerequisito necessario dell’uomo politico è, tautologicamente, di fare politica. E’, per dirla con Musil, “un uomo senza qualità”. Direi che la sua qualità è di non averne alcuna.
Inoltre a ledere ogni principio di uguaglianza che dovrebbe essere l’essenza della democrazia c’è la creazione di uno star system che è lontanissimo dai comuni mortali. Oggi tu lettore che mi leggi sei più lontano da qualsiasi star di quanto il contadino fosse lontano dal suo feudatario, perché vivevano fianco a fianco. Questi hanno plotoni di guardie del corpo che equivalgono a un esercito. Insomma io non posso dare un cazzotto a Matteo Salvini perché sarei prima massacrato dalle sue guardie del corpo e poi finirei in gattabuia, perché lo Stato, cioè i suoi rappresentanti, hanno il monopolio della violenza.
E qui tornano buoni i Nuer. Un popolo nilotico che fu studiato dall’antropologo inglese Evans-Pritchard che visse a lungo fra di loro. Ma i Nuer, almeno in Africa Nera non sono un’eccezione, fanno parte di quelle comunità dette ‘acefale’, cioè senza capi. Così li descrive Pritchard: “E’ impossibile vivere fra i Nuer e immaginare dei governanti che li governino. Il Nuer è il prodotto di un’educazione dura ed egalitaria, profondamente democratico e facilmente portato alla violenza. Il suo spirito turbolento trova ogni restrizione irritabile; nessuno riconosce un superiore sopra di sé. La ricchezza non fa differenza… Un uomo che ha molto bestiame viene invidiato, ma non trattato differentemente da chi ne possiede poco. La nascita non fa differenza… Ogni Nuer considera di valere quanto il suo vicino” (I Nuer, “un’anarchia ordinata”). Insomma i Nuer hanno realizzato, senza far tanta ideologia, quelli che erano i princìpi di Locke, uno dei fondatori della liberal democrazia. Insomma i Nuer si fanno giustizia da sé, se tu insulti non dico un Nuer ma la sua mucca un colpo di clava non te lo toglie nessuno. Adesso la violenza la esercitiamo noi su di loro. Legioni di politici, di antropologi, di religiosi, di volontari, insomma l’intera legione delle anime belle si è catapultata in Sud Sudan per ricondurre i Nuer alle buone maniere. E i Nuer si sono allora spostati un po’ più in là. Insomma l’Occidente, ma non solo, non tollera “l’altro da sé”. Si tratti di Nuer o, per fare un esempio più attuale, di talebani afghani. Noi siamo, si sa, la “cultura superiore”. E non è bastato che l’antropologo Lévi-Strauss chiarisse che non esistono culture superiori o inferiori, ma solo diverse e che ognuna ha al proprio interno dei pesi e dei contrappesi che la equilibrano. E non è bastato nemmeno che nella Convenzione di Helsinki del 1975 quasi tutti gli Stati del mondo, in un momento di lucidità, sancissero il diritto “all’autodeterminazione dei popoli”, cioè il diritto di ogni popolo di evoluire, o anche di non evoluire, secondo la propria storia, le proprie tradizioni, le proprie consuetudini. No, dobbiamo essere tutti “democratici”. Quello democratico è il vero totalitarismo.
10 Ottobre 2024, Il Fatto Quotidiano