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Secondo l’Istat in Italia l’indice di povertà assoluta è passato, nell’ultimo anno, dal 7,7 per cento all’8,5 per cento della popolazione, cioè più di 5,7 milioni di cittadini. Secondo l’ultimo report della Banca mondiale quasi 700 milioni di persone, pari all’8,5 per cento della popolazione mondiale, vivono in condizioni di povertà estrema, con meno di 2,15 dollari al giorno.

Mentre i poveri diventano sempre più poveri e numerosi, anche i ricchi, senza arrivare alle iperboli di Elon Musk, Bezos, Zuckerberg, diventano sempre più ricchi e anche un po’ più numerosi ma in proporzione nemmeno lontanamente paragonabile rispetto ai primi. Insomma mentre alcuni, pochi, entrano in quell’Empireo, molti di più scendono all’Inferno. Quindi quella che tende a sparire, almeno in Occidente, è la classe media, il che comporta, e ancor più comporterà in futuro, un grave problema sociale perché la classe media fa da collante e da intermediario fra l’empireo dei più ricchi e l’inferno dei più poveri.

Il problema non è di oggi e nemmeno di qualche decennio fa e neppure degli ultimi due secoli ma risale alla nascita della Democrazia nella forma del capitalismo industriale (oggi si parla sempre in termini denigratori di “populismo” senza sapere che cos’è: quella “populista” è una corrente di pensiero russa che mirava a un socialismo agricolo e solidale in contrapposizione all’industria e all’industrializzazione). Scrive Claude Julien ne Il suicidio delle democrazie (1973): “Hanno scavato una fossa fra ricchi e poveri all’interno delle democrazie industriali e l’hanno poi ingigantita e globalizzata”.

L’opulenza dei Paesi ricchi è in diretta connessione con la povertà dei Paesi poveri che, nonostante l’ottimismo di facciata e per nulla disinteressato, continua anch’essa, la povertà dico, ad aumentare. Marx sbagliava quando pensava che ad un certo punto i ricchi sarebbero diventati così pochi che per cacciarli non ci sarebbe stato bisogno di nessuna Rivoluzione ma sarebbe bastata una pedata nel sedere. Una classe opulenta e sufficientemente numerosa ci sarà sempre, potente quanto basta per mettere in riga, a livello nazionale e internazionale, i popoli. Un esempio drammatico sulla connessione fra la ricchezza dei più ricchi e la povertà dei più poveri è l’Africa Nera che ai primi del Novecento era alimentarmente autosufficiente e lo era ancora, in buona sostanza (al 98 per cento) nel 1961. Ma da quando ha cominciato ad essere aggredita dalla integrazione economica – prima era considerata un mercato del tutto marginale e poco interessante – le cose sono precipitate. L’autosufficienza è scesa all’89 per cento nel 1971, al 78 per cento nel 1978. Per sapere quello che è successo dopo non sono necessarie statistiche basta guardare alle devastanti migrazioni che non provengono più solo dai Paesi dell’Africa Nera propriamente detta ma anche dal Maghreb. Qui non siamo più nell’ambito della miseria, ma della fame, della pura fame e per fermare queste migrazioni, che non sono più immigrazioni come quelle degli italiani verso gli Stati Uniti di fine Ottocento e primi Novecento, non basteranno i blocchi navali e le cannonate di Matteo Salvini nè tantomeno gli ipocriti e predatori “Piani Mattei”.

In un’economia mondiale integrata, di mercato e monetaria, il cibo non va dove ce n’è bisogno, va dove c’è il denaro per acquistarlo. Va ai maiali dei ricchi americani e, in generale, al bestiame dei Paesi industrializzati se è vero che il 66 per cento della produzione mondiale dei cereali è destinato all’alimentazione degli animali dei Paesi ricchi. I poveri del Terzo Mondo sono costretti a vendere agli occidentali e ai Paesi ricchi il cibo che potrebbe sfamarli.

C’è infine un dato psicologico importante, la vera povertà non è essere poveri dove tutti più o meno lo sono, ma essere poveri dove prilla una ricchezza enorme quanto offensiva. Nell’Algeria dei primi del Novecento il ventenne Albert Camus poteva scrivere: “Col sole e col mare anche un ragazzo povero può crescere felice”. E noi, in un percorso circolare dove tutto si tiene, ci stiamo fottendo anche il sole e il mare.

 

16 Novembre 2024, il Fatto Quotidiano