Di recente è stata scoperta una tribù amazzonica, i Massaco, mai avvicinata prima dall’uomo bianco. Anni fa un gruppo di esploratori che sapeva della loro esistenza l’aveva individuata ma nonostante quello fosse lo scopo principale della loro spedizione, molto responsabilmente, si rifiutarono di venire a contatto fisico con i Massaco o con la tribù vicina dei Kawahiva perché sapevano bene che sarebbe stato mortale perché né i Massaco né i Kawahiva hanno anticorpi sufficienti per resistere ai virus dell’uomo bianco. Li studiarono quindi a debita distanza, “da remoto” come si direbbe oggi e constatarono che questi gruppi piccolissimi, un centinaio di individui in tutto, erano cresciuti di popolazione, i Massaco sono più o meno raddoppiati, i Kawahiva sono passati da 20 ai 35-40 individui, dati del Funai, Fondazione nazionale dell’Indio, organizzazione ufficiale del governo brasiliano responsabile della protezione dei popoli indigeni, ripresi dalla giornalista del Corriere Alessandra Muglia (24.12). Tutto ciò dimostra che se gli Indios sono lasciati vivere in pace nel loro ambiente riescono a figliare, a prosperare, sia pur a loro modo, a crescere. C’è da aggiungere che dal 2019 al 2023 a governare il Brasile è stato Jair Bolsonaro che secondo Greenpeace ha aumentato la deforestazione amazzonica del 75,6 per cento, privilegiando i garimpeiros, i cercatori d’oro, che non hanno nessun interesse a preservare l’ambiente ma piuttosto quello di deforestare tagliando gli alberi alla radice. Un fatto gravissimo con conseguenze immaginabili, e disastrose, perché l’Amazzonia è il principale polmone d’ossigeno del pianeta. Cosa di cui gli occidentali non si sono mai sul serio interessati, come in genere non si interessano di tutto ciò che accade in Sudamerica, una popolazione di 440 milioni circa ma preferendo occuparsi di generiche politiche ecologiche dirette a ridurre l’anidride carbonica, politiche che non hanno nessuna possibilità di avere un qualche effetto finché continuiamo a produrre e a consumare nella quantità in cui consumiamo e produciamo. Retorica pura.
Le cose in Brasile sono migliorate da quando al governo è ritornato Ignacio Lula da Silva, un vero socialista in un mondo dove di socialismo è rimasto pochissimo: a Lula bisogna aggiungere il venezuelano Nicolàs Maduro, erede di Chàvez e del chavismo, insomma del “socialismo bolivariano”, non a caso condannato da tutti i regimi occidentali come “despota” e insidiato ripetutamente da tentativi di colpi di Stato di marca yankee. Vi ricordate del colpo di Stato di origine anch’esso americano del “giovane e bell’ingegnere”, così chiamato dalla stampa occidentale, Juan Guaidò? Il governo Maduro non represse il golpe con la forza, i pochi morti che ci furono in quell’occasione, 137, non furono a causa della polizia venezuelana ma degli scontri degli opposti seguaci, ma Guaidò ne aveva così pochi che dovette scappare negli Stati Uniti passando dalla Colombia di Ivan Màrquez che, pur essendo di destra, lo cacciò a pedate nel sedere.
Lula ha istituito un “ministero per gli indigeni”, diretto da indigeni, e si è impegnato a difendere la Foresta Amazzonica. E non per nulla nemmeno Lula gode di buona stampa in Occidente. Lo si accusa, nientemeno, di esser stato un sindacalista, insomma un proletario. Gli occidentali preferirebbero che fosse sostituito, con un’opportuna “manina”, con un simil Javier Milei, l’attuale presidente dell’Argentina, campione dell’iper-liberismo a cui a quanto pare si ispira anche Giorgia Meloni. Al G20 di Rio del novembre del 2024 la Giorgia nazionale cioè sostanzialmente anch’essa una iper-nazionalista, anzi una iper-americanista, dedicò al padrone di casa una rapida stretta di mano per poi volare subito dopo da Milei.
Le vessazioni compiute sugli indigeni sono tali e tante che è impossibile elencarle tutte. Ne diamo qui un resumè. In Canada, nel 2017, le donne indigene si sono ribellate all’egemonia non solo economica ma culturale di quello che chiamiamo qui, sbrigativamente, Occidente. In Canada, Rebecca Jamieson, che ha cercato di dar forza al Politecnico indigeno ha affermato: “L’obbiettivo era controbilanciare lo strapotere dell’educazione ‘occidentale’, l’assimilazione, il divieto di usare le nostre tradizioni e le nostre lingue”.
In Australia gli indigeni vivono in un regime di apartheid, sono stati indotti con le “buone maniere”, cioè quelle usate dagli americani nei confronti dei pellerossa, a far uso e abuso di superalcolici (ricordiamo, di passata, che negli Stati Uniti ci sono ancora ‘riserve’ pellerossa, un apartheid non lontana da quella che è esistita fino a non molti anni fa in Sudafrica prima che Nelson Mandela, forse l’unico Nobel per la Pace meritato, facesse il miracolo di comporre i dissidi quasi millenari non solo fra immigrati bianchi e residenti neri ma fra gli stessi neri divisi fra Xhosa, Zulu, Ndebele e altre infinite etnie). Risultato di questa politica del governo australiano nei confronti degli aborigeni: aumento vertiginoso dei suicidi. Sempre in Australia è stato abbattuto un albero, sacro per gli aborigeni, e soprattutto per le donne perché sotto le sue fronde andavano a partorire, per farvi passare un’autostrada costata 157 milioni di dollari. Da notare che gli aborigeni abitano l’Australia da più di cinquantamila anni, ma la loro esistenza non è riconosciuta dalla Costituzione.
Gli Inuit che abitano prevalentemente le coste della Groenlandia e del Canada hanno protestato, naturalmente senza risultato, per lo sfruttamento delle loro miniere da parte delle multinazionali di tutto il mondo. Si legga in proposito la fondamentale opera di Marcel Mauss, Teoria generale della magia, dove lo scambio tribale, cioè di gruppo (quello individuale detto gimwali è proibito o comunque mal visto perché incrina l’unità della comunità) non ha alcun contenuto economico ma solo sentimentale e amichevole, è privo di calcolo. Già Esiodo, VIII-VII secolo avanti Cristo, ne Le opere e i giorni “aveva notato un cambiamento essenziale, alla tribù, al clan, dove la solidarietà è implicita perché l’individuo progredisce o perisce con esso, si sostituisce il vicino di cui il poeta ha un giustificato orrore. Perché il vicino lo si aiuta pensando che a sua volta, quando saremo in una qualche difficoltà, aiuterà noi. C’è quindi un calcolo, che se non è ancora propriamente economico, in qualche modo gli assomiglia” (Il rito del dono, lezione per il virus).
Ma il dato più inquietante non sono nemmeno le rapine e le violenze su gruppi di indigeni. Il dato più inquietante è lo stravolgimento della loro personalità. Henervik è un pescatore di salmoni in Canada. Vive della sua abilità, la sua vita ha un senso. Ma in Canada arrivano delle grandi multinazionali, soprattutto americane. Addio pesca di salmoni. In un’area circondata da ghiacci Henervik finisce a lavorare in un supermercato. Dove? Beffa delle beffe: nel reparto surgelati.
7 Gennaio 2025, il Fatto Quotidiano