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“Tu sei futuro” dice una fortunata pubblicità immaginando che il futuro grazie al Progresso ci darà se non proprio la felicità qualcosa di simile. Peraltro questo futuro orgiastico, come ho scritto altrove, arretra costantemente davanti a noi come a chi abbia la pretesa di raggiungere l’orizzonte. Per di più il futuro è un tempo inesistente, esiste il passato, esiste il presente, non esiste il futuro perché è indeterminabile. Noi pensiamo alla Storia, cioè al passato e al presente, come a una linea coerente che sia pure fra varie convulsioni, avanzamenti e retrocessioni, ci ha portato all’oggi. Ma il Futuro non ha niente a che vedere con le nostre immaginazioni.

Per fare un raffronto fra passato e presente prendiamo come linea di demarcazione la Rivoluzione industriale che ha di fatto segnato l’inizio della Modernità.

Cominciamo con le cose più semplici. Nevrosi e depressione nascono con la Modernità tanto che contemporaneamente nasce la psicoanalisi cioè il bisogno di frugare nel nostro inconscio per capire da dove hanno avuto origine queste depressioni e queste nevrosi. E Freud, alla fine della sua vita, ammise di non aver mai guarito nessuno perché l’inconscio è talmente complesso da risultare insondabile. Dostoevskij lavorando sull’inconscio, sul suo inconscio, ha scritto grandi romanzi (I demoni, I Karamazov) ma nemmeno lui è riuscito a chiarire che cosa mai sia l’inconscio. Del resto sul piano del pensiero, su quello sociologico, sui rapporti familiari e umani, avevano già detto tutto i Greci nelle loro tragedie. I Greci non credevano al Futuro, per loro la Storia è “il passato visto con gli occhi del presente” (Tucidide ripreso poi da Croce). Immaginavano quindi di vivere in un eterno presente come in contemporanea il pensiero buddista o, più tardi, Nietzsche (l’eterno ritorno dell’identico). In era illuminista i vari Kant, Hegel, Feuerbach si sono limitati a descrivere e a razionalizzare il presente. Quindi non mi pare che sul piano della cultura si siano fatti grandi passi avanti, ma piuttosto indietro. Con la sola eccezione di Heidegger che ha posto il fondamentale problema dell’ambiguità della Tecnica.

E’ grazie alla Tecnica che nel Novecento ci sono state due grandi guerre mondiali che hanno causato circa settanta milioni di morti. Ma anche la guerra che ha avuto e potrebbe ancora avere un’utile funzione perché scarica l’aggressività naturale che è in noi, in termini tradizionali non si fa più salvo rari casi circoscritti, è diventata una faccenda di droni e di missili supersonici, cioè un mestiere non per combattenti ma per “ingegneri dell’assassinio”. Ha perso la sua epica e anche la sua etica. La Tecnica ci ha portato vicini alla molto concreta possibilità di un conflitto nucleare cioè alla fine del mondo.

Sullo stesso piano di negatività, e anche più in alto, va messa la questione ambientale. Secondo un report del CNR del 2023 “la concentrazione attuale di CO2 ha superato i 420 ppm, segnando un incremento del 50% rispetto ai livelli ricostruiti alla fine del XVIII secolo”. Peraltro non c’è bisogno di tante statistiche. E’ evidente che più produciamo e consumiamo prodotti utili, ma anche assolutamente inutili, più inquiniamo. Siamo arrivati al punto che, in nome del progresso economico, noi non produciamo più per consumare ma consumiamo per poter produrre. Vale la pazzesca legge di Say, attivo fra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento: l’offerta crea la domanda. Io posso mettere sul mercato della merda ma questa alla fine verrà acquistata (alleggerendo un poco: è quanto avviene con l’attuale televisione, i social e compagnia cantante).

Le due parole magiche sono innovazione e ricerca. L’innovazione, va da sé, ci porterà verso le “magnifiche sorti e progressive”. E’ l’innovazione ad aver creato la AI, l’intelligenza artificiale che soprattutto adesso, che si può autonomamente replicare, sta spossessando l’uomo della sua intelligenza.

Si fa ricerca su tutto, soprattutto in campo alimentare e medico per migliorare le condizioni della nostra vita, e si arriva a scoprire che la ricetta della nonna era più sana e più buona.

E’ indubbio che la medicina abbia fatto grandi passi avanti dai tempi di Ippocrate, ma è una conquista bifida perché, soprattutto in Occidente, ha creato una popolazione di vecchi e l’insospettabile Cesare Musatti, novantenne, ha detto: “vivere in un mondo dove la maggioranza della popolazione è vecchia mi farebbe orrore”.

Il Progresso, si dice, ha ridotto al massimo le disuguaglianze sociali. E’ falso. Le disuguaglianze fra le classi sociali sono aumentate sia all’interno dei singoli Stati sia a livello internazionale. Nel Medioevo, i cosiddetti “secoli bui”, popolato nella stragrande maggioranza da contadini e artigiani, ognuno aveva una casa e un lavoro, i mendichi rappresentavano l’uno per cento della popolazione ed era mendico chi voleva esserlo. Oggi, se viviamo a Milano, vediamo file interminabili davanti alla Caritas e alle Ong che si occupano di questa questione. In via Vittor Pisani, sempre a Milano, una via di portici e quindi favorevole ai clochard, le banche hanno messo davanti ai loro portoni dei blocchi di cemento perché i poveracci se ne stiano a debita distanza.

E’ vero che nel Medioevo c’erano i nobili che non lavoravano e non producevano. Ma i nobili avevano almeno un dovere: difendere il territorio. E infatti spariranno dalla scena quando affideranno Il mestiere delle armi (Ermanno Olmi) ai mercenari andando a fare, imbellettati e imparruccati, i bellimbusti a Versailles. La decadenza dell’Impero romano ebbe inizio quando i cittadini di Roma, debosciati dal benessere che avevano raggiunto grazie alle conquiste, non vollero più rischiare la pelle per difendere la Capitale.

In quanto alle tasse la “decima”, statale ed ecclesiastica, non è mai stata una vera decima perché di fatto non arrivava quasi mai a raggiungere gli abitanti dei villaggi dove la loro ripartizione era decisa dalla comunità del villaggio che decideva, a ragion veduta, del suo e sul suo perché su quel luogo ci viveva. Comunque anche ammettendo che sia esistita una vera decima si basava appunto su un decimo del patrimonio o del reddito. Oggi per redditi medi si arriva a pagare il 43 per cento di tasse il che vale, naturalmente, per l’uomo comune non per chi ha la possibilità di spostare, anche legalmente, i suoi capitali alle Cayman o alle Bermuda.

Anche la figura dell’imprenditore, nel frattempo, è cambiata. Prima c’erano i “padroni” cioè i proprietari che, se si pensa a Adriano Olivetti, ai Crespi, ai Pirelli, conservavano una certa vocazione umanistica. Oggi ci sono i manager non legati né all’azienda né al territorio per i quali spostarsi da un luogo all’altro è indifferente, si tratta solo di una questione di denaro. Parlando in senso più ampio Giovanni Botero, attivo nel Cinquecento - quando la ricchezza da immobiliare si stava spostando a mobiliare – notava che mentre gli antichi padroni erano legati al territorio e quindi alla nazione per i redditieri era assolutamente indifferente spostarsi da una nazione all’altra.

Infine lo Stato “il più freddo di tutti i mostri” (Nietzsche) si è impadronito delle nostre esistenze ed entra anche nelle questioni più intime delle nostre vite. Siamo dei sudditi, nient’altro che sudditi.

E questo lo chiamano Progresso.

 

8 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano