Fra Sudan del Nord, tendenzialmente islamico, e il Sudan del Sud, tendenzialmente animista, è in atto una feroce guerra che in soli due anni ha provocato 150 mila vittime. Poiché le popolazioni delle regioni che noi oggi chiamiamo Sudan e Sud Sudan erano state per decenni pacifiche, ci si chiede come questo sia potuto succedere.
C’è da premettere che tutta la storia dell’Africa Nera, composta da migliaia di etnie, è stata sostanzialmente pacifica. Scrive l’antropologo John Reader (Africa. Biografia di un continente, 1997) a proposito del delta del Niger: “Il rischio di conflitti era altissimo: in termini antropologici il delta interno del Niger avrebbe dovuto essere un ‘focolaio di ostilità interetnica’. Eppure ciò che distingue la regione durante i 1600 anni di storia documentata non è la frequenza dei conflitti, quanto la stabilità di pacifiche relazioni reciproche”. Ma quello che Reader attribuisce al delta del Niger vale, in linea di massima, per tutta l’Africa Nera. I neri africani sono stati abilissimi nell’innocuizzare la violenza senza togliere all’uomo l’aggressività che è una componente essenziale della vitalità: con la guerra finta chiamata rotana per evitare la guerra autentica, la diembi togliendo le alette alle frecce che così andavano a casaccio, con la festa orgiastica.
Negli anni Settanta fui presente a Nairobi a una conferenza sulla guerra cui partecipavano quasi tutte le etnie africane. Ad un certo punto intervenne il leader di una tribù che disse: “Anche da noi qualche anno fa c’è stata una guerra, una guerra veramente tremenda ma a un certo punto, intorno ad un pozzo ci scappò il morto e finì subito tutto”.
Come è possibile che, con queste premesse, si sia arrivati oggi alla guerra sanguinosa che dilania il Sudan? Tutto ebbe inizio con un progetto umanitario inglese, chiamato Azande scheme. Non un progetto di rapina come oggi i vari “Piani Mattei”. Tra l’altro a guidare l’Azande scheme fu messo un funzionario onestissimo. L’Azande scheme prevedeva una migliore razionalizzazione dell’agricoltura degli Azande e sessantamila casali furono abbattuti e ricostruiti in modo più razionale sul territorio, maggiormente distanziati gli uni dagli altri per rendere economicamente più produttiva la coltivazione del cotone che peraltro gli Azande non avevano mai coltivato. Ma non fu la storia del cotone a mandare all’aria il progetto, ma una componente della cultura azande di cui gli inglesi non tennero conto: la credenza nella stregoneria. Il distanziamento dei casali ostacolava la funzione della stregoneria che nel concetto degli Azande poteva essere esercitata solo a una distanza ravvicinata. Tutto ciò irritò profondamente la popolazione Azande che si mise in urto con gli Avongara, l’aristocrazia Azande, che fino ad allora non aveva mai avuto difficoltà a governare gli Azande ritenuti comunemente “docili, adattabili e soprattutto obbedienti ai loro nativi sovrani” (Evans-Pritchard, un antropologo che visse trent’anni fra gli Azande). La colpa degli Avongara, agli occhi della popolazione Azande, era di aver aderito al progetto inglese. La stregoneria fra gli Azande aveva tre funzioni: psicologica, sociale, politica. Funzione psicologica: quando a un azande capita una disgrazia può sempre attribuirla a qualcuno, uno stregone appunto, e scaricare la rabbia su di lui. Funzione sociale: ad essere accusati di stregoneria sono i vicini, dato che la stregoneria ha un raggio d’azione limitato, quelli con cui c’è stata una qualche ruggine e poiché a nessuno piace farsi la fama di “stregone” ciò fa sì che tutti, in linea di massima, cerchino di comportarsi con i propri vicini nel modo più cortese, affabile e amichevole possibile. Funzione politica: fra gli Azande, come in ogni comunità umana, si possono creare tensioni, rivalità politiche fra gruppi, lotte sotterranee per il potere. Ciò accade quando, a causa dell’aumento della popolazione, un villaggio comincia a perdere la propria autosufficienza alimentare e chi ha l’autorità non riesce più a gestire il conflitto. Ma poiché, come spiega Eva Gilles nella sua introduzione al libro di Pritchard (Stregoneria, oracoli e magia fra gli Azande) “spesso nelle società preindustriali le tradizionali norme etiche inibiscono il riconoscimento esplicito di tali rivalità”, i due gruppi in lotta cominciano a scambiarsi reciproche accuse di stregoneria finché, al culmine della tensione, una parte del villaggio se ne stacca e va a vivere altrove, ripristinando l’equilibrio demografico e alimentare senza scontri e senza spargimenti di sangue. E’ ciò che è accaduto, per esempio, nella società Nuer, una “comunità acefala” cioè senza capi non rara in Africa Nera dove tutti gli uomini nascono uguali e restano uguali, senza distinzioni di nascita o di ricchezza, ma basata sulla violenza. Cioè se tu osi offendere non dico un Nuer, ma la sua vacca, un colpo di zagaglia te lo prendi di sicuro. I Nuer erano riusciti a coniugare libertà individuale e uguaglianza, cioè il mito, mai raggiunto, su cui si sono affannate le democrazie moderne, sia in salsa liberale che marxista. Cioè la caratteristica di queste società è la possibilità dell’uso della violenza oggi monopolizzata dallo Stato.
Oserei dire che noi moderni abbiamo perso la sapienza sapienzale, e soprattutto l’istinto, delle generazioni che ci hanno preceduto affidandoci sempre di più alla Tecnica. Faccio un paio di esempi. Quando furono abbattute le Torri gemelle quelli che erano sopra la linea degli aerei erano spacciati, ma coloro che erano sotto avevano la possibilità di salvarsi. Gli altoparlanti urlavano “state fermi, state calmi, adesso arrivano i pompieri”, cioè la Tecnica. C’era un cieco che aveva un cane che senza saper né leggere né scrivere né tantomeno ascoltare, fece la cosa più istintiva: si precipitò giù dalle scale per arrivare il più in fretta possibile al suolo. Il cane si salvò, il cieco pure. Faccio un altro esempio che parte dallo Tsunami del 2004 che investì l’intero Oceano Indiano con 230 mila morti. Le Isole Andamàne erano proprio nell’epicentro del maremoto. Le Andamàne sono divise in due: una parte civilizzata, una non ancora. Nella parte civilizzata si ebbero migliaia di morti non solo fra gli stranieri che erano lì in vacanza ma anche fra gli indigeni. Li avevamo talmente ibridati che non capirono quello che per la verità capì una bimba inglese di dieci anni: che se il mare si ritira non per una marea conosciuta è inevitabile un’onda di ritorno. Gli abitanti delle Andamàne non civilizzate non ebbero né un morto né un ferito. Intanto perché non costruiscono in riva al mare ad uso dei turisti ma soprattutto perché guardando il mare, al momento calmissimo, l’istinto gli diceva che qualcosa non andava. Come lo avevano capito gli animali. Il fenomeno fu osservato dal guardiano di un faro, collocato a Sumatra, per sua fortuna sufficientemente alto: ad un certo punto tutti gli animali si misero a correre verso la collina, gli uccelli smisero di cinguettare. Lui guardò il mare e non capiva: in quel momento era calmissimo. Evidentemente gli animali, e con loro gli indigeni, avevano sentito per istinto che c’era qualcosa che non andava.
Ma questo fa parte di un altro capitolo. Torniamo agli Azande. Fu per un progetto umanitario che gli Azande, e con essi la loro cultura, sono stati distrutti. Le vie dell’inferno, come si dice, sono lastricate di buone intenzioni.
22 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano