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Quando si favoleggia di quella Conferenza internazionale di pace che, finita l'interminabile «operazione di polizia» nel Golfo, dovrà risolvere tutte le spinose questioni del Medio Oriente ci si riferisce alla restituzione da parte degli israeliani dei territori occupati, alla creazione di uno Stato palestinese, al riconoscimento di Israele da parte degli arabi, al Libano oggi di fatto occupato dalla Siria. Ma non si parla mai dei curdi. I curdi infatti non hanno santi in paradiso. Non sono arabi, non sono ebrei, non sono cristiani, sono un antichissimo, millenario popolo indoeuropeo (25 milioni di persone oggi) che vive nelle regioni montuose dell'Anatolia, dell' Armenia, dell' Azerbaigian, della Mesopotamia, in un territorio che da loro prende il nome di Kurdistan, e che attualmente è arbitrariamente, quanto cervelloticamente diviso fra Turchia, Irak, Iran, Siria e Unione Sovietica. Per compattezza etnica, cultura, lingua e storia il Kurdistan ha molte più ragioni d'essere uno Stato indipendente di tanti altri paesi della zona, a cominciare dall'Irak che fu un'invenzione della Società delle Nazioni (1932) o del Kuwait che nacque (1961) esclusivamente per gli interessi petroliferi degli Stati Uniti. Ed infatti nel 1920 il trattato di Sèvres riconosceva il diritto all'indipendenza del Kurdistan, ma solo tre anni dopo quello di Losanna se lo rimangiò perché così conveniva alle potenze del tempo. Da allora i curdi, che sono un popolo pastore e nomade, fiero, coraggioso, ospitale, guerriero e anche feroce ma con un proprio e profondo senso etico come accade spesso nelle comunità tradizionali (il furto, tanto per fare un esempio, è praticamente sconosciuto), si battono per la loro indipendenza. ma vengono regolarmente mazzolati dagli Stati che occupano il loro territorio, disposti anche alle più incestuose alleanze pur di tenerli a bada. Anche perché e i curdi i hanno il gravissimo vizio di voler mantenere intatte le loro povere, ma orgogliose, tradizioni e di non voler essere assimilati alla «way of life» dei paesi occupanti.Sanguinarie repressioni dei movimenti indipendentisti curdi ci sono state nel 1925, nel 1930, nel 1948 da parte, di volta in volta, dei turchi, degli iraniani, dei siriani e, da quando sono venuti all'onor del mondo, degli iracheni. Bisogna ammettere, ed è tutto dire, che quelli che si sono comportati meglio sono stati i russi che nel 1946 favorirono la creazione di una Repubblica democratica curda peraltro abbattuta dopo pochi mesi. Nel 1975 Saddam Hussein, non ancora armato dai paesi occidentali, fu costretto a una pace ignominiosa con l'odiato scià di Persia per contenere i guerriglieri curdi che stavano spingendo al collasso il suo regime (in Irak i curdi sono tre milioni e mezzo e, destino vuole, nei territori dove risiedono è la maggior parte del petrolio iracheno). Dopo di che iracheni e iraniani provvidero, congiuntamente, a massacrarli. Ma le cose peggiori sono avvenute negli ultimi dieci anni, assumendo i contorni del genocidio. Per quanto forti, coraggiosi e guerrieri i curdi non possono infatti opporsi, con i loro vecchi fucili, alle armi tecnologiche di cui oggi dispongono tutti i paesi della regione. La palma della ferocia spetta, di diritto, a Saddam Hussein. Saddam ha raso al suolo 3000 dei circa 4.500 villaggi curdi in territorio iracheno. Nel 1988, nella totale indifferenza del cosiddetto «mondo civile» tutto schierato con l'Irak in funzione antikhomeinista, Saddam ha usato le armi chimiche contro la città dl Halabaya facendo 5.000 morti civili fra quelli che, formalmente, sono dei suoi cittadini. Ma questo è solo l'episodio più noto (e, peraltro, tenuto a lungo coperto dalla stampa occidentale). Si calcola che Saddam abbia «gasato» circa 30.000 curdi iracheni. Ma nemmeno la Turchia, commendevole membro della Nato, si è comportata e si comporta molto meglio. In Turchia ai curdi, che sono dieci milioni (circa un sesto della popolazione), non è riconosciuta alcuna autonomia, non possono usare la loro lingua, non possono neppure chiamarsi curdi ma vengono definiti «turchi di montagna». Deputati curdi sono stati espulsi dal partito socialdemocratico per aver tenuto comizi nel loro idioma. Nel 1985 e nel1986 Phantom dell'aviazione turca hanno compiuto, col beneplacito di Saddam Hussein, sanguinosi raid su villaggi curdi basati in Irak. Del resto dall'ottobre del 1984 fra Turchia ed Irak esiste un accordo che consente ai rispettivi eserciti di inseguire aI di là dei confini i ribelli curdi. In alcuni di questi raid i turchi hanno usato il napalm. I morti curdi per mano turca dal 1984 sono valutati in cinquemila, diecimila indipendentisti sono in galera. Per il conflitto del Golfo i villaggi curdi non sono stati muniti di rifugi nè ai loro abitanti sono state distribuite maschere antigas nè permesso di costruire trincee «perché potrebbero servire a una insurrezione» Nemmeno gli ayatollah iraniani ci sono andati con mano leggera; i curdi vengono sistematicamente perseguitati ed assassinati e le capaci prigioni di Teheran pullulano di indipendentisti. Tutto questo avviene nel silenzio e nella connivenza della comunità Internazionale. L 'Onu non ha mai votato alcuna risoluzione di condanna, nemmeno per gli eccidi più efferati come quello di Halabaya. Il papa, che si riempie ogni giorno la bocca con la parola pace, non ne ha mai spesa una per i «fratelli» curdi. E gli americani, questi «riparatori di torti», questi «giustizieri della notte», questi scrupolosissimi difensori della «legalità internazionale», questi vessilliferi dell'ordine morale hanno fatto qualcosa per i curdi? Sì, qualcosa hanno fatto. Quello che ci ha spiegato William Safire sul New York Times: «Parte del compenso per la collaborazione di Ozal [il premier turco, ndr] nel concederci una base aerea da cui attaccare l'Irak dal Nord consiste nella garanzia che non avremmo incoraggiato il nazionalismo curdo. Probabilmente gliela abbiamo data: svendere i curdi, anche dopo Halabaya, è una specialità del Dipartimento di Stato americano».