In Parlamento è in discussione la proposta di istituire “una giornata per tutte le vittime della giustizia” scegliendo come giorno della celebrazione il 17 giugno quando nel 1983 fu arrestato Enzo Tortora. Mi pare giusto, non per la giornata in sé che è l’ennesimo tentativo di delegittimare la Magistratura italiana da quando i Pm di Mani Pulite ebbero la pretesa, inaudita, di chiedere il rispetto della legge anche alla classe dirigente, politica ed imprenditoriale, ma mi pare invece giusto aver intitolato questa giornata a Enzo Tortora vittima di uno dei più gravi e grossolani errori della magistratura, nelle persone dei Pm Lucio Di Pietro e Felice Di Persia, inchiesta (in quell’inchiesta ci furono un centinaio di casi di omonimia, ora in un’inchiesta a largo raggio un caso di omonimia ci può anche stare, per questo caso fu intrappolato anche Tortora, cento no) che porterà, alla fine, alla morte di Tortora che ebbe appena il tempo di ripresentarsi in tv (“dove eravamo rimasti?”) per morire poco dopo per un tumore che aveva una chiara origine psicosomatica.
Bisogna però ricordare che Tortora fu vittima anche del tritacarne mass-mediatico. Sia la parte delle televisioni (esposizione di Tortora in manette in tv) e dei media di carta… stampata. Era troppo intrigante veder tirar giù dal piedistallo un personaggio famoso, sorte che era stata riservata in precedenza anche ad Alain Delon.
Furono rarissimi i giornalisti italiani che scesero in campo per difendere Tortora. Ma nemmeno gli avvocati che, per mestiere, dovrebbero essere dalla parte degli imputati, si comportarono meglio. Mi ricordo l’avvocato Ennio Amodio che prima di salire sul carro di Berlusconi quando divenne “iper-garantista”, alle mie obiezioni sull’arresto di Tortora mi disse: “Eh eh tu non frequenti, tu non sai, non puoi conoscere le cose, quando gira una voce dà voce a una verità che si vuole nascondere”. Per la verità a difendere Tortora ci furono solo quattro giornalisti. Il primo sono stato io che una settimana dopo il suo arresto scrissi per il Giorno un articolo intitolato “Io vado a sedermi accanto a Tortora” (25.06.1983) gli altri furono Feltri, Biagi e Montanelli qualche tempo dopo. Dov’erano i giornalisti, soprattutto di destra, che allora erano “iper-forcaioli” per diventare “iper-garantisti” quando la magistratura con Mani Pulite si mise a indagare su Silvio Berlusconi? Vittorio Feltri infieriva su Bettino Craxi e persino sui suoi figli chiamando Craxi “il cinghialone” dando così a una legittima inchiesta della Magistratura il sapore di una caccia sadica, però almeno Tortora, nel 1983, lo aveva difeso. Dov’era Alessandro Sallusti che oggi lamenta, e giustamente, che i Pm autori di quel tragico errore, non solo non sono stati puniti ma hanno avuto avanzamenti di carriera (poi cercheremo di spiegare il perché)? E dov’erano tutti costoro quando Valpreda rimase in galera quattro anni senza processo? E dov’erano quando Giuliano Naria, presunto terrorista rosso, si fece nove anni di carcere per essere poi assolto? Dov’erano quando, durante le “piste nere”, dei fascistelli venivano sbattuti in galera senza porsi troppe domande? Dov’erano quando Franco Freda e Giovanni Ventura furono accusati della strage di Piazza Fontana e alla fine di un lunghissimo processo assolti dalla Corte di Assise di Bari? Non c’erano. C’ero solo io insieme a Tiziana Maiolo che molto coraggiosamente li difese sul manifesto. Cioè Maiolo, in quell’occasione, difese estremisti dell’ultradestra pur lavorando per il manifesto, l’ultimo giornale comunista rimasto su piazza.
Erano dove sono sempre stati. Dalla parte della borghesia.
E’ infame il tentativo di delegittimare Mani Pulite prendendo spunto dal ‘caso Tortora’. Anna Tortora, la sorella di Enzo, si incazzava perché si tratta di cose assolutamente diverse. L’inchiesta su Tortora si basava su dichiarazioni di “pentiti” che riferivano cose dette da altri pentiti, ‘de relato’ come si dice in gergo giuridico. Le inchieste di Mani Pulite si basavano su documenti, bancari e non, confessioni. All’epoca i soliti difensori di “lorsignori” dissero che costoro confessavano perché erano torturati e chiesero l’intervento anche di Amnesty International. Francesco Saverio Borrelli li corresse, affermando: “noi li interroghiamo e loro confessano”. Voglio ricordare ancora una volta, ma è solo un dettaglio, l’infame articolo di Vittorio Notarnicola sul Corriere d’informazione che indicava come prova inconfutabile della responsabilità di Valpreda il suo morbo di Buerger.
Una postilla. Come mai Lucio Di Pietro e Felice Di Persia hanno avuto avanzamenti di carriera nonostante il loro tragico errore? Bisogna risalire al Codice di Alfredo Rocco che sarà stato anche un fascista ma era anche un grande giurista. Rocco voleva che le carriere dei magistrati andassero ‘de plano’ per evitare che fossero presi da una smania di protagonismo, cosa che oggi a volte viene loro rimproverata, e giustamente, quasi sempre dagli ambienti di destra che da Berlusconi in poi, da Mani Pulite in poi, vedono la Magistratura come fumo negli occhi. Certo era, quella, una magistratura molto diversa tanto che il Fascismo dovette inventarsi i Tribunali Speciali perché i magistrati non erano disposti a piegarsi al potere politico. Non so se sia stato davvero un vantaggio sostituire il Codice Rocco, depurato dai reati d’opinione, con quello attuale. Sostituire Alfredo Rocco con Carlo Nordio.
19 dicembre 2024, il Fatto Quotidiano