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Si fa un gran parlare di “Autonomia differenziata” e dei Lep (ormai parliamo solo per sigle) che sono i livelli essenziali di prestazione da garantire alle singole Regioni. Questo progetto di legge che è in discussione in Parlamento è stato di fatto già dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Ma i leghisti, sotto la regia di Matteo Salvini, non desistono, sia perché il progetto di      legge è stato presentato dal leghista Calderoli ma soprattutto perché vogliono avere il potere assoluto in alcune Regioni chiave, Veneto e Lombardia. Non è nemmeno necessario dire che questo tipo di autonomia aumenterà il divario, economico e sociale, fra le varie Regioni.

Molto meglio sarebbe stato se fosse andato in porto il progetto di Bossi-Miglio cioè il progetto delle cosiddette “Macroregioni” che prevedeva che venissero unite Regioni coese per “economia, socialità, storia e anche clima”. Nel progetto di Bossi, in un’Europa unita politicamente, i punti di riferimento periferici non sarebbero stati più gli Stati nazionali ma appunto le “Macroregioni”. Nella mente di Bossi c’era anche il tentativo, in un’epoca di globalizzazione galoppante che tutto omogeneizzava, di restituire un’identità agli individui che hanno bisogno di riconoscersi in un ambiente e nelle persone che lo abitano. Poi l’Europa politicamente unita non si è fatta e lo si può anche vedere pure tutt’oggi perché su questioni anche importanti ogni Stato va per conto suo. E così tutto il progetto è saltato.

Immagino la frustrazione dell’Umberto difronte alla trasformazione della sua Lega in quella razzista di Salvini. Secondo lui la mitica Padania, da cui doveva prendere avvio tutto il processo, era di chi “ci vive e ci lavora” senza andare a fare l’esame del sangue sulle sue origini. Non è certamente un caso che Bossi abbia sposato una donna siciliana. Bossi aveva creato poi dei miti, “il Dio Po”, “l’ampolla del Po’”, poveri miti certo ma non spesi a caso perché nei miti ci sono i valori. Bossi era contro “Roma Capitale” vista come il centro di tutti i notori vizi italici, a cominciare dalla corruzione. Quando sentiva l’Inno di Mameli sveniva (“stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte”, ma va là). Va bene che l’Inno di Mameli è stato concepito durante il Risorgimento, in un contesto molto diverso dall’attuale, e un inno nazionale, come il tifo per una squadra di calcio, non si cambia mai, ma mi piacerebbe vedere chi oggi darebbe per l’Italia non dico la vita, ma il dito mignolo.

Bossi fu un antesignano di Mani Pulite (la Lega nasce nel 1989) e uno dei protagonisti di Mani Pulite insieme ad Antonio Di Pietro e a quel formidabile pool di magistrati, all’Indipendente di un Feltri non ancora convertito al berlusconismo, e al Gianfranco Funari di Aboccaperta su Rai2 che poi dovette lasciare per ‘incompatibilità’, chiamiamola così, con Silvio Berlusconi, come dovette lasciare anche i programmi che aveva in Fininvest. Mi manca molto Gianfranco, che tra l’altro è stato uno dei primi firmatari del mio “Manifesto dell’Antimodernità”, era un uomo molto generoso e anche un narciso impenitente, ma di un narcisismo così sfacciato da risultare innocente.

Bossi ha avuto due ictus, è ciò che tocca agli uomini di passione (Scalfari ha vissuto 97 anni). Dal primo si risollevò abbastanza bene. Mi ricordo che quando venne a trovarmi a casa poco dopo era perfettamente lucido e compos sui. Ai funerali di Dario Fo non riconobbe nemmeno la mia bella segretaria, lui a cui le donne sono sempre piaciute e che mi guardava con simpatico sospetto come possibile concorrente (“ah questi intellettuali…” come a dire che poi, sotto sotto ne fanno di tutti i colori).

Eh già, Dario Fo. Fu uno dei protagonisti dei “girotondi” e poi aderì ai Cinque stelle e scrisse anche un libro “Il Grillo canta sempre al tramonto” di cui è autore insieme, oltre a Beppe, a Gianroberto Casaleggio.

E qui il cerchio si chiude.

 

30 Novembre 2024, il Fatto Quotidiano