E il Figlio disse al Padre. “Papà vorrei scendere un po’ sulla Terra”. Dio corrugò la fronte. Era da un po’ di tempo che quel figliolo lo preoccupava. Niente di grave in verità. Nulla a che vedere con la rivolta di Lucifero, quel campione di superbia, ammalato di SuperEgo, che aveva osato dire “meglio essere primi in Inferno che in Ciel servire”. L’aveva cacciato giù nel profondo, quello screanzato. Anche se gli seccava un po’ quello che gli riferivano gli Angeli addetti ai servizi segreti. Pare che Satana si divertisse un mondo. Era un sadico e si era inventato per i Dannati le torture più terribili, gente immersa nel ghiaccio per l’eternità, cose che nemmeno a Guantanamo…Del resto la colpa era sua. Era stato Lui a dare a Lucifero quel compito. Ma Satana e i suoi sodali (nel profondo ne aveva cacciati un bel po’ perché la sedizione era stata seria e molti vi avevano aderito) stavano esagerando. Poiché Lui non aveva poteri sull’Inferno, che era l’unico luogo fuori dalla Sua giurisdizione, da un po’ di tempo si era dato da fare per tramutare le pene e molti li aveva mandati in Purgatorio. Qui niente waterboarding, stimoli elettrici, umiliazioni, solo una profonda sonnolenza in attesa che passasse il periodo di carcerazione preventiva e assurgessero anche loro al Paradiso.
No, da suo Figlio non c’era da temere nulla del genere. Era dolce, affettuoso, accuditivo (cosa che era diventata importante adesso che Lui veniva vecchio. Addirittura laggiù sulla Terra qualche devoto lo raffigurava con una lunga barba bianca, cosa che gli seccava moltissimo). Era solo un po’ irrequieto quel suo figliolo, attraversava l’età dell’adolescenza. Ma la sua contestazione era soft.
“Perché vuoi scendere sulla Terra, figliolo?”. “Papà qui mi annoio un po’. Siamo solo in tre, tutti maschi per giunta. E poi, lo dico col massimo rispetto, quello Spirito Santo è veramente insopportabile. E’ troppo astratto e non si possono mai fare quattro chiacchiere alla buona. Qualche volta scendo le scale e vado giù a giocare a calcio con i Cherubini e i Serafini. Ma vince sempre la squadra dove ci sono io. E ho il sospetto che mi facciano vincere apposta per evitare qualche ritorsione. Anche se Noi, lo dovrebbero sapere, non siamo punitivi come quei nostri vicini, come si chiamano, ah sì gli Jahvè. Insomma per dirtela tutta, Padre, vorrei farmi qualche scopatina. Con le Sante non c’è niente da fare, sono quasi tutte vergini e anche quelle che non lo sono hanno in testa il dovere della castità. E poi non posso essere proprio io a dare il cattivo esempio dopo che da duemila anni facciamo professione di sessismo. Addirittura qualche tempo fa un tuo Vicario in terra, non mi ricordo più come si chiama, so però che è finito all’Inferno perché si è scoperto che non credeva in Te, aveva messo nella sua location, come simbolo del Male, la fotografia di quella bellissima, carinissima, ingenuamente maliziosa, deliziosa ragazza, te la ricorderai sicuramente anche Tu, BB, Brigitte Bardot. Un vero bijoux. Un eccesso di zelo se mi consenti, pardon se mi permetti, Padre”.
“E quanto vuoi stare laggiù sulla Terra?”. “Ah poco, pochissimo, una trentina d’anni, un attimo in termini cosmici. Stai sereno, scusami, stai tranquillo, non ti lascerò solo con lo Spirito Santo a lungo. Allora, me lo permetti, Padre? Dai, solo una ‘fuitina’, rapida rapida”. “Va bene, però ti devo avvertire che per tutto il periodo in cui sarai un uomo in carne e ossa patirai le sofferenze degli uomini”. “Beh, vorrà dire che farò un po’ di esperienza”. “Va bene, va bene. Oltretutto potrai essere utile per portare a Noi, con qualche miracolo ben mirato, un po’ di quella gente perché mi sembra che da qualche tempo, laggiù, molti abbiano deviato e non ci riconoscano più come i veri padroni del Cielo e della Terra. Comunque per scendere, per favore, prendi l’astronave più piccola, quella un po’ scassata (Trovare un bravo meccanico qui è un'impresa. Va bene la contemplazione, il mirar le beatitudini eterne, ma insomma un Santo Benedetto ha detto laggiù "ora et labora") perché ho intenzione di farmi un gran bel viaggio con l’Ammiraglia”.
Una volta sceso in terra Cristo si trovò di fronte ad alcune questioni logistiche. Essere un bèbè non lo attirava affatto, ma la cosa poteva essere superata inventandosi qualche leggenda a cui gli uomini, quegli eterni creduloni, avrebbero prestato sicuramente fede. Lui voleva nascere intorno ai vent’anni. Con i poteri suoi e di suo Padre poteva permetterselo. E così fece. Per una decina d’anni s’immerse nella vita degli uomini: donne, prostitute, feste, vino, hashish che si faceva venire dall’Oriente e anche qualche scappatina con i ‘travesta’.
Dopo essersi divertito pensò che era giunto il momento di seguire le raccomandazioni di suo Padre che gli aveva chiesto di fare un po’ di proselitismo. Era un grande illusionista, moltiplicò i pani e i pesci, camminò sulle acque del lago di Tiberiade, resuscitò un morto, ridette la vista a un cieco. In verità questa fu l’operazione più difficile. Dovette mandarlo sul lago, fargli raccogliere un bel po’ di argilla, spalmargliela sugli occhi, aspettare un bel po’ di tempo e poi finalmente quello tornò a vedere. Ma nemmeno lui era sicuro che questo miracolo fosse avvenuto realmente o non fosse piuttosto frutto di autosuggestione.
Era anche un po’ deluso. Non è che la sua missione avesse avuto un grande successo. In tutto aveva raccolto dodici seguaci. Ma anche quel piccolo manipolo aveva irritato della gente di laggiù, gli ebrei, quelli che credevano al loro vicino di casa, Jahvè. Così un giorno si trovò circondato da quelli: gli volevano fare la pelle. Per fortuna arrivò in tempo il comandante romano della piazza che lo portò dal governatore di Giudea, un certo Ponzio Pilato. Costui chiamò i maggiorenti degli ebrei e chiese loro di cosa accusassero quell’uomo. “Afferma di essere il figlio di Dio –risposero- mentre di Dio ce n’è uno solo, il nostro”. Mentre il mob, la folla, tumultuava sotto il palazzo chiedendo che a quell’imbroglione fosse data la giusta punizione, Pilato chiese a Cristo: “Senti, rinuncia a questa storia del ‘figlio di Dio’, io mando via quei rompicoglioni che non fanno che innescare gazzarre mentre è mio dovere mantenere l’ordine pubblico e tu sei salvo”. “Io non posso rinnegare me stesso” rispose Cristo. “You are foolish Jesus Christ, how can I help you se sei così testone? Io non credo che tu nemmeno intenda le mie parole, sembri quasi assente, non capisci che la tua vita è nelle mie mani?”. “Nelle tue mani non hai proprio niente, everything is fixed, and you can’t change it”. Pilato prese la frusta, chiese a Cristo di abbassarsi la tunica bianca scoprendo la schiena e gli assestò 39 frustate. Ma quello era irremovibile. “Senti Cristo, tu mi sei simpatico, sei anche un gran bel ragazzo, giovane, perché ti vuoi martirizzare e far crocifiggere?”. “Sia fatta la volontà di Dio”. “E allora sai che ti dico: io me ne lavo le mani”.
E così Cristo fu portato sul Calvario seguito da una folla urlante tutta eccitata, come sempre, per uno spettacolino fuori ordinanza. I chiodi piantati nelle mani e nei piedi facevano un male cane. Inoltre a star lì gli era venuta una sete terribile. Peraltro il Padre lo aveva avvertito: per quel suo capriccio avrebbe dovuto sopportare i dolori degli uomini. Cominciò a pensare di essersi cacciato in un brutto guaio. Invocò l’aiuto di suo Padre. Silenzio. Forse Quello era in giro per il cosmo con la sua Astronave e non si accorgeva di ciò che stava accadendo. “Padre, padre, perché mi hai abbandonato?”. Cominciò anche a dubitare che suo Padre avesse quei poteri di cui si era sempre vantato. Venne anche sepolto in un sepolcro. A quel punto Dio, ritornato dal suo viaggio, di cui era molto soddisfatto, si accorse di quello che stavano facendo a suo Figlio e lo richiamò a sé.
“Allora com’è andata la tua esperienza?” gli chiese sorridendo. “Male, molto male, mi hanno conciato per le feste. E poi anche tutti quei divertimenti non è che siano gran cosa. Il sesso di cui laggiù fanno gran caso non è che un semplice sfregar di mucose, anche piuttosto disgustoso devo dire. Ma il fatto più grave è che quelli lì, gli uomini, sono della gentaccia. Ti proporrei di cacciarne molti di più all’Inferno abbandonando quella politica di appeasement con gli umani che hai inaugurato da un po’ di tempo. Fai come gli Jahvè. Forse sono loro a essere nel giusto”.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2017
De hoc satis dicevano i latini nella loro lingua ellittica, insuperabile nella sintesi. Letteralmente: “di questo abbastanza”. Che può essere tradotto senza forzature in “di questo ne abbiamo pieni i coglioni”. Di quale hoc abbiamo pieni i coglioni? In prima battuta dei nostri quotidiani (dei settimanali cosiddetti politici non vale nemmeno la pena parlare, solo l’Espresso, nella sua spocchia radical chic, crede ancora di esistere) che ogni giorno ci ammanniscono dalle sei alle otto pagine sui fatti interni dei partiti, queste associazioni private, queste bocciofile, i cui ruminamenti non dovrebbero avere alcun interesse né rilevanza pubblica (a meno che, naturalmente, non riguardino fatti penali). Prendiamo per esempio, a caso, qualche titolo del Corriere di un giorno qualsiasi, o di più giorni, e come partito, in particolare, il Pd. Ma il discorso vale per qualsiasi giornale e, a seconda delle evenienze, per qualsiasi partito. “Congresso Pd, rischio scissione”; “Un partito che si aggroviglia”; “Sfida a D’Alema (senza dirlo); “Pd, sì al congresso tra le tensioni”; “Il leader: li seppelliremo con le loro regole. In bilico le urne a giugno”; “Il ‘nemico numero uno’ seduto muto in platea. E Matteo lo provoca (senza mai nominarlo)”; “Il rebus urne. I tre partiti dem”; “Una velocità che strappa l’unità del Nazareno”. Questo il Corriere del 14 febbraio. Dopo è stato un crescendo fino all’apogeo di questi giorni in cui pare (nel momento in cui scrivo nulla è ancora certo) si scinda. Lotte interne al coltello, retroscena, incontri segreti, notizie dettagliate su che cosa hanno mangiato nei loro pourparler o su quali cessi d’oro si sono seduti. Che possono interessare queste cose a una persona normalmente sana di mente? Non c’è da stupirsi se le vendite dei giornali si sono ridotte al lumicino (nostalgia dei tempi in cui il Corriere dedicava solo due colonne, firmate da Luigi Bianchi, ai retroscena della politica; nostalgia delle tribune politiche dirette da Jader Jacobelli che, nonostante il suo aspetto da gallinaceo, era un uomo molto colto).
Ma i giornali hanno altre responsabilità verso se stessi e la collettività. Prima si sono autocannibalizzati dedicando quasi altrettante pagine ai quibusdam che sfilano ogni giorno nelle Tv generaliste, facendo diventare personaggi e opinion maker degli individui che, volendo essere leggeri, sono braccia sottratte all’agricoltura o ai lavori domestici. Sono costoro che orientano la collettività, che dettano le mode, che impongono i costumi. Non i giornali, che come se ancora non bastasse si sono ulteriormente autocannibalizzati dando un rilievo enorme a quanto accade sui social network dove la prevalenza del cretino, che in linea di massima si esprime in forma anonima dando libero sfogo ai suoi peggiori e bestiali istinti – una sorta di jihadista vigliacco- o più semplicemente alla sua idiozia, è assicurata.
Ma in fondo giornali, Tv, social non sono che delle sovrastrutture, degli epifenomeni. Il vero nocciolo duro della disgregazione italiana, politica, culturale, etica, sono i partiti, queste bocciofile intrinsecamente mafiose e spesso criminalmente mafiose.
I grandi teorici della democrazia liberale, da Stuart Mill a John Locke, non prevedevano la presenza dei partiti. E come nota Max Weber fino al 1920 nessuna Costituzione liberaldemocratica li nominava. E anche la nostra Costituzione, che pur nasce dal CLN, cioè dall’alleanza di tutte le formazioni antifasciste, dai comunisti ai monarchici, cita i partiti in un solo articolo, il 49, che recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. E’ un diritto, non un obbligo. Partendo da quest’unico articolo i partiti hanno occupato anche gli altri 138. Contro questo pericolo, vale a dire la partitocrazia, avevano tuonato già nel 1960 il grande giurista Giuseppe Maranini e persino lo stesso Presidente del Senato Cesare Merzagora, un galantuomo indipendente. Io mi onoro di aver dato battaglia, in solitaire come giornalista (sul versante politico c’erano i radicali di Panella) alla partitocrazia più o meno dagli inizi degli anni Ottanta. Ma è stato tutto inutile. La degenerazione partitocratica, come un tumore maligno, è andata progressivamente enfiandosi producendo metastasi in ogni settore della vita pubblica e privata. Oggi siamo arrivati al punto che è l’Assemblea della bocciofila Pd a determinare la data del momento più sacrale della democrazia: le elezioni. De hoc satis.
Per tornare al punto da cui siamo partiti, a questo eterno e assordante chiacchiericcio, insulso, inconsistente, vuoto, degradato e degradante ma soprattutto inutile, io preferisco…preferisco… No, non dico chi preferisco. Perché verrei messo immediatamente al gabbio. In nome della democratica libertà d’espressione, naturalmente.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2017
LETTERA APERTA AD ALESSANDRO SALLUSTI
Caro Alessandro,
quando Cairo voleva entrare in Libero –direttore Feltri- mi chiese se volevo seguirlo. Risposi di no. Mi pregò allora di fargli il nome di qualche giornalista valido. Indicai te e Paolo Martini. Ti conoscevo da quando dirigevi La Provincia di Como per la quale mi chiedesti anche di collaborare. Avevo di te un’ottima opinione sia professionale che umana.
Per questo mi è particolarmente spiacevole commentare il vergognoso pezzo che hai scritto per Il Giornale (8/2), godendo come un riccio perché alla celebrazione dei 25 anni dalle inchieste di Mani Pulite non c’era praticamente nessuno.
Il tuo articolo dovrebbe essere pubblicato in toto perché sia reso evidente alla cittadinanza il cumulo di menzogne, di omissioni, di dimenticanze che metti in campo. Ma qui devo limitarmi ad alcuni ‘excerpta’.
1.Tu definisci quella di Mani Pulite una “sciagurata stagione” e Mani Pulite “la più violenta inchiesta giudiziaria nella storia della Repubblica”. 2. Parli dei suicidi in carcere e “del dolore di 4.250 famiglie di indagati il più delle volte a vanvera come dimostra il bilancio a istruttorie chiuse e processi celebrati”. 3. Affermi che in Italia fu introdotta “la carcerazione preventiva come arma di minaccia e ricatto”. 4. Prendi particolarmente di mira Antonio Di Pietro e sostieni che entrò in politica per “sfilarsi dal clima di sospetti sulla sua persona” e che non a caso entrò poi nel Pci-Pds per poi creare il “partitino, Italia dei Valori”. 5. Definisci i magistrati di Mani Pulite “toghe rosse”.
Cerchiamo di mettere un po’ di ordine in questa accozzaglia di argomenti o, meglio, di pseudoargomenti. L’azione di un magistrato non può essere ‘violenta’. Il magistrato risponde alla legge: o la rispetta o la viola. E non risulta che in tutta l’inchiesta di Mani Pulite ci siano state violazioni di legge. Il magistrato non può essere né ‘forcaiolo’ né ‘garantista’, categorie che vi siete inventate voi. Comunque il ‘forcaiolismo’ fu casomai della stampa. In particolare dell’Indipendente di Vittorio Feltri che chiamava Bettino Craxi “il cinghialone”, trasformando un’inchiesta giudiziaria del tutto legittima in una ‘caccia sadica’ e prendeva di mira anche i figli di Bettino. Lavoravo anch’io a quell’Indipendente e toccò a me difendere i Craxi dagli eccessi del mio direttore, in particolare con due articoli “Vi racconto il lato buono di Bettino” scritto in piena bufera quando tutti, anche i suoi amici, fiocinavano la balena sanguinante, L’Indipendente, 17/12/92 e “Caro direttore, ti sbagli su Stefania Craxi”, L’Indipendente, 11/5/92. In quel periodo prevaleva al contrario uno strusciarsi indecoroso ad Antonio Di Pietro considerato il vincitore di giornata. Mi ricordo in particolare un vergognoso editoriale del direttore del Corriere, Paolo Mieli, titolato “Dieci domande a Tonino”. A Tonino, come se ci fosse andato a pranzo e cena da sempre. Con Tonino, ridiventato Antonio Di Pietro, che dell’inchiesta di Mani Pulite fu il simbolo, tu ti accanisci. Affermi che entrò in politica per “sfilarsi dal clima di sospetti sulla sua persona”. Dimentichi che ‘per quei sospetti’ Di Pietro è stato processato sette volte ed è uscito regolarmente assolto e uno di quei processi era stato innescato da due testimoni prezzolati dall’onorevole Berlusconi. Del Di Pietro politico non dovremmo qui occuparci perché quello che interessa è la sua azione di magistrato, ma quando tu definisci l’Italia dei Valori un ‘partitino’ dimentichi che è stato defalcato di alcuni suoi componenti, a cominciare dall’onorevole De Gregorio cui Berlusconi diede tre milioni perché passasse al centrodestra. In ogni caso se Di Pietro fosse entrato in politica il giorno dopo essersi tolto la toga avrebbe avuto il 90 per cento dei consensi. Invece, correttamente, a differenza di altri magistrati (Ingroia, De Magistris) aspettò un anno.
La carcerazione preventiva in Italia esiste da sempre. Pietro Valpreda fece quattro anni di carcerazione preventiva senza processo e Giuliano Naria nove per citare solo alcuni esempi famosi fra le centinaia che si potrebbero fare. Non mi risulta che tu o la parte politica che oggi rappresenti abbiate mai levato un dito contro queste aberrazioni che non erano dei magistrati ma della legge (le leggi le fa il parlamento, cioè i politici). Vi accorgeste della carcerazione preventiva solo quando toccò, non per anni ma per qualche settimana, a lorsignori. Tu affermi però che in questo caso la carcerazione preventiva sarebbe stata usata “come arma di minaccia e ricatto”. E a queste sciocchezze Francesco Saverio Borrelli, procuratore capo del pool di Mani Pulite, replicò: “Non è così. Noi gli arrestiamo e loro confessano” . Che è cosa ben diversa. Tu parli dei suicidi in carcere. Se un magistrato dovesse caricarsi delle possibili conseguenze dei suoi legittimi provvedimenti non si potrebbe più amministrare giustizia. I suicidi riabilitano moralmente coloro che ne sono stati protagonisti, perché evidentemente, a differenza di altri, si vergognavano di ciò che avevano fatto, ma non li assolvono. In quanto al dolore delle 4.250 famiglie degli indagati “il più delle volte a vanvera” fai finta di dimenticare che moltissime di queste assoluzioni avvennero per patteggiamento o prescrizione. Ma questi calcoli lasciamoli a Marco Travaglio. Dimentichi invece, con molta disinvoltura, le ‘morti bianche’, cioè i suicidi di quegli imprenditori onesti che non vollero piegarsi al ricatto delle tangenti e videro perciò andare in fumo le loro aziende. Sorvoli su uno degli atti più contestati quando Di Pietro, Davigo, Colombo, Greco si presentarono in televisione per affermare che avrebbero chiesto a Borrelli di lasciare l’inchiesta. Come mai non ne parli? Perché quella singolare apparizione dei magistrati in tv seguiva uno dei primi provvedimenti del governo Berlusconi, un decreto chiamato ‘salvaladri’ che depenalizzava i reati di corruzione e similari e quindi salvava, oltre a Berlusconi e ai suoi cari, la falange dei corrotti e dei corruttori coinvolti in Tangentopoli.
Definire i magistrati di Mani Pulite ‘toghe rosse’ è risibile. Casomai se si vuole a tutti i costi dar loro una connotazione politica erano dei conservatori, il più ’a sinistra’ era un cattolico, Gherardo Colombo, un magistrato impeccabile rispettato anche dai suoi indagati.
In due anni, con tutti i testimoni del tempo ancora in vita, i ladri, con una campagna stampa che ti vide protagonista, divennero le vittime e i magistrati i colpevoli. La classe dirigente del Paese non tollerava di dover rispondere, per la prima volta o quasi nella storia italiana, a quelle leggi che noi tutti comuni cittadini siamo tenuti a rispettare.
Ecco perché tu, divenuto nel frattempo portavoce di una parte di quella classe dirigente, definisci “sciagurata” la stagione di Mani Pulite. In realtà Mani Pulite fu l’ultima occasione per la nostra classe politica per emendarsi dai crimini che andava perpetrando da anni. Non la colse, anzi l’avversò ferocemente e così siamo arrivati alla situazione attuale dove la corruzione è discesa giù per li rami a tutto il Paese. Proprio per questo il Palazzo di Giustizia di Milano era deserto nel 25° anniversario di Mani Pulite. Tutti hanno capito che l’azione dei magistrati è stata inutile, continua a essere inutile e probabilmente lo sarà anche in futuro, e quindi i cittadini hanno perso anche la voglia di ribellarsi e accettano supinamente la parte di pecore tosate senza emettere neanche un belato. In Romania, per un decreto molto simile a quello emesso a suo tempo dal governo Berlusconi, la popolazione si è ribellata e glielo ha ricacciato in gola. Dal punto di vista dell’etica pubblica siamo quindi al di sotto anche dei disprezzati rumeni.
Recentemente, davanti ad altre persone, hai detto “Massimo Fini mi attacca un giorno sì e un giorno no, ma devo ammettere che è l’ultimo giornalista libero in Italia”. Non è così, fortunatamente ce ne sono altri. Ma non posso negare che questa tua affermazione mi ha fatto piacere. Ma la libertà si paga. Il rendersi servi invece ripaga. Ad abundantiam.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 14 febbraio 2017