Non conosco donna, fra i trentacinque e i cinquantacinque anni, che non sia attratta dall’esoterismo, da Osho, da Milarepa o, le più colte, da Gurdjieff. E’ una cosa che ha poco senso perché si tratta di esperienze interiori che possono essere vissute solo là dove quelle religioni o filosofie orientali sono nate e si sono sviluppate e non possono essere esportate e sostituite da letture (“Il Tao detto non è il vero Tao”) o da guru e Illuminati più o meno improvvisati e spesso non innocenti trasferitisi in Occidente. Per la verità questo volgersi all’Oriente, religioso o filosofico, coinvolge anche gli uomini (anche se non ne ho visto mai uno, almeno di mia conoscenza, salmodiare Nam Miyoho Renge Kyo) e fa parte di un fenomeno più generale. Il fatto è che la Chiesa non è riuscita a intercettare i bisogni spirituali che, per contraccolpo, si creano in una società materialistica come la nostra. La progressiva desacralizzazione dell’Occidente ha origini lontane e complesse, nella comparsa e nel graduale prevalere della Ragione illuminista. Ma per stare a un passato recente si può fare l’esempio di Papa Wojtyla. Più Wojtyla si affermava come Superstar mondiale, grazie alla sua esposizione mediatica, più, in contemporanea e in correlazione, nel quasi quarto di secolo del suo pontificato crollavano le vocazioni, sacerdotali e monacali, e in Occidente si illanguidiva fin quasi a scomparire il senso del sacro. E temo che alla stessa fine sia destinato un altro Papa Superstar, Bergoglio, troppo inserito, al di là delle sue parole, ma non della sua volontà, nel mondo. Del mondo, in Europa e in Occidente, ne abbiamo fin sopra i capelli. Abbiamo bisogno di qualcos’altro. E lo andiamo a cercare altrove. Solo l’Isis può credere che sia rimasto qualcosa di cristiano in Occidente.
Torniamo alle donne. Il loro esoterismo non è solo il segnale del tentativo di colmare un vuoto spirituale, ma marca anche un’altra assenza, più concreta e terrena: quella del maschio. Non per una scopata (quella non la si nega a nessuna) ma per un rapporto serio e duraturo. I maschi, dicono, sono scomparsi. E hanno ragione, anche se qualche attenuante ce l’abbiamo. Non ci sono più le condizioni per dimostrare la nostra, vera o presunta, virilità. Non andiamo più in guerra, non siamo più legati a ideologie che comportino rischi, pericoli, qualche prova di coraggio, fisico e morale, la tecnologia ha reso inutile la forza fisica, tutt’al più ci serve, sui treni, per aiutarle a mettere le loro pesantissime valigie (ma che cosa mai ci mettono dentro?) sulle reticelle. A questo ci siamo ridotti. E così invece del Principe Azzurro (nonostante tutto un po’ romantiche lo sono restate) si trovano di fronte quello che l’uomo in realtà è sempre stato: un bambino (“Ricordati che in ogni uomo c’è sempre un bambino che vuole giocare” scrive Nietzsche). E ne sono deluse. Ecco perché molte donne e molti uomini d’Occidente sono attratti dall’Isis. Le prime per trovare un maschio propriamente detto, i secondi per ritrovar se stessi.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 23 dicembre 2015
Io l’avevo scritto sul Gazzettino il 29 agosto 2014: “Noi occidentali dovremmo riconoscere la realtà del Califfato di Al Baghdadi e trattare con lui”. Allora ero stato preso per pazzo o per un filojihadista. Mi fa piacere che un giornale autorevole e insospettabile come l’Independent ora faccia propria questa idea. Quello che noi chiamiamo abitualmente il “sedicente Califfato” è in realtà uno Stato con un governo, un territorio, una popolazione. E non si può cancellarlo solo perché a noi non piace. Bisogna tener presente che la lotta jihadista si avvale della componente religiosa ma è anche un tentativo, a mio avviso perfettamente legittimo, di ridefinire i confini di quell’area mediorientale che sono stati disegnati arbitrariamente dagli inglesi tra il 1920 e il 1930. Gli Stati e i loro confini non sono eterni, ma mutano nel tempo, alcuni scompaiono, altri si modificano. Se si fosse seguita a suo tempo la logica che si vuole imporre oggi, cioè cancellare il Califfato, noi italiani non avremmo potuto fare le nostre guerre di indipendenza. Dobbiamo smetterla di considerare ogni nuova realtà che non ci piace (e il discorso potrebbe essere esteso, scendendo di livello naturalmente, alla violenta campagna contro i populismi europei) come il Male Assoluto. Le distinzioni non sono mai così nette. Loro non sono il Male, noi non siamo il Bene. Bisogna anche capire le ragioni degli altri e “le vite degli altri”. Certo noi rabbrividiamo difronte a stragi come quelle del Bataclan, ma siamo del tutto indifferenti, o ignoriamo, o piuttosto fingiamo di ignorare, che un drone guidato da Nellis nel Nevada da un pilota che non rischia nulla quando sgancia un missile uccide forse qualche guerrigliero o spazza via un’infrastruttura ma nello stesso tempo fa decine, a volte centinaia di vittime civili in un colpo solo. E questo va avanti da tre o quattro anni da quando, con i bombardamenti americani, ci siamo intromessi in una guerra civile fra una parte dei sunniti e una parte degli sciiti che non ci riguardava affatto. Qualche reazione dovevamo quindi aspettarcela. Un fenomeno come l’Isis ce lo siamo abbondantemente creato anche noi. Alla trasmissione Piazzapulita ho fatto mia la dichiarazione di Amedy Coulibaly: “ Voi ci combattete, non potete pretendere che non vi rispondiamo”. Per rispondere allo strapotere tecnologico occidentale gli jihadisti hanno finito per portare la guerra in Europa e forse anche negli Stati Uniti, con i mezzi che in questo caso li sono possibili: il terrorismo kamikaze (in Medio Oriente fanno invece guerra di guerriglia).
Venendo al sodo che cosa bisognerebbe trattare col Califfato? Al Baghdadi che di fatto controlla l’intero mondo jihadista dovrebbe impegnarsi a non uscire dall’area di sua competenza e quindi stoppare ogni attentato terroristico in Europa, negli Stati Uniti e altrove. Se non lo facesse gli si potrebbe formalmente dichiarare guerra come si faceva ai vecchi e più onesti tempi. Mandando però le truppe sul terreno e non in questa vile guerra di macchine contro uomini che non fa che aumentare le simpatie per lo jihadismo.
Massimo Fini
17 dicembre 2015
Per un errore del Fatto Quotidiano questo pezzo è stato attribuito al generale Fabio Mini e, viceversa, il pezzo di Mini a Massimo Fini.
Il risparmiatore è il fesso istituzionale del sistema del denaro. Perché, avendone poco, lo presta, attraverso l’intermediazione delle banche, ai ricchi perché diventino sempre più ricchi. Se poi a costoro le cose van male scaricano i loro debiti, divenuti inesigibili, sulle banche che, a loro volta, li scaricano sui risparmiatori che, in varie forme (conti correnti, obbligazioni) vi han depositato i propri quattrini.
Il fatto è che esiste una regola generale, quella enunciata da Vittorio Mathieu nella sua pregevole Filosofia del denaro: “I debiti, alla lunga, non vengono pagati”. Per questo i grandi imprenditori e finanzieri, che sono quelli che hanno capito meglio il gioco, hanno più debiti che crediti. Basta leggere, con una certa attenzione, i loro bilanci. Per la verità la figura dell’imprenditore è radicalmente e antropologicamente cambiata dopo la Rivoluzione industriale. Un tempo il mercante utilizzava il proprio patrimonio e, conseguentemente, si accollava in prima persona tutti i rischi. Se falliva erano affari suoi. Oggi l’imprenditore, soprattutto il grande imprenditore, rischia il denaro che gli viene prestato dalle banche che a loro volta, come si è detto, mettono a rischio quello che han loro prestato i risparmiatori. E’ l’intrapresa sulla pelle altrui.
Ma il risparmiatore ha anche un altro grave handicap. Il denaro, poiché è un puro nulla e non ha un valore in sé, intrinseco, ma rappresenta solo una scommessa sul futuro, è estremamente volatile e si sposta in continuazione per andare a cercare la situazione dove è meglio remunerato, con una velocità che è diventata stratosferica da quando, dopo essere stato sganciato definitivamente dall’oro, si è fatto ancor più virtuale e grazie al computer può spostarsi, in quantità enormi, da un settore all’altro. Ma poiché qualsiasi investimento, prima o poi, più prima che poi, va in perdita, l’abilità del finanziere è di abbandonarlo un attimo prima lasciando il cerino acceso ad altri. Questo il piccolo risparmiatore, col suo modesto gruzzolo, non può farlo. E’ costretto a immobilizzare il suo capitale, pronto per essere impallinato come un tordo. Questa rapina può essere attuata in due modi. O lentamente, come in una tortura cinese, per esempio con l’inflazione per cui il valore nominale del nostro denaro non corrisponde più a quello reale. O con uno scippo improvviso. La storia è piena di crac non di banchette come Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti, Carife ma di prestigiosi e anche statali Istituti di credito. Si cominciò con l’antica Banca di Copenaghen che fu costretta a sospendere i pagamenti nel 1745; rifondata nel 1791 collassò nuovamente nel 1831; la Banca di Vienna sospese i pagamenti nel 1797 e la Banca di Stoccolma, la prima Banca centrale comparsa nel mondo, nel 1762 pagava soltanto 1/96 dei suoi debiti originari. Poi ci sono i collassi, non di questa o quella Banca, ma di un intero Paese: la grande inflazione che colpì gli Stati Uniti dopo la guerra di secessione (al Sud la moneta perse il 98,4% del suo valore) e quella, ancor più devastante, di Weimar che in pochi mesi cancellò l’intero risparmio tedesco, fino al notissimo crollo di Wall Street del ’29. Si potrebbero anche ricordare i bond argentini, il collasso del Messico del 1996 e delle cosiddette ‘piccole tigri’ asiatiche nel ’96/’97. Ma fermiamoci qui.
Un’ulteriore beffa per il normal people contemporaneo è che da una parte gli si chiede imperiosamente di risparmiare per finanziare, attraverso le banche, la produzione, dall’altra, altrettanto imperiosamente, gli si intima di consumare, sempre per tenere in piedi la produzione (come ho già scritto altre volte non produciamo più per consumare, ma consumiamo per poter produrre, siamo i tubi digerenti, i lavandini, i water da cui deve passare il più rapidamente possibile ciò che altrettanto velocemente produciamo, degradati da esseri umani a consumatori). Una mission impossible. Anche se, fra le due scelte, il modo migliore per salvare il nostro denaro è spenderlo, dilapidarlo. Possibilmente a bagasce o al Casinò.
Infine si sarà anche vecchi e intorpiditi ma in un mercato in cui il denaro, per i comuni mortali, non dà alcun interesse o, se lo dà, è negativo, si dovrebbe perlomeno diffidare di chi propone guadagni che sfiorano il 10 per cento. Spiace dirlo ma i risparmiatori delle varie Banca Etruria sono stati particolarmente coglioni. E il risultato di questa coglionaggine è che, col ‘decreto umanitario’ varato dal Governo, ricadrà sulla testa di tutti i contribuenti. La solita soluzione all’italiana.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 15 dicembre 2015