Storie di ordinaria follia. Abito in un palazzo anni Cinquanta, brutto come quasi tutti gli edifici costruiti in quell’epoca. Fu un’iniziativa di una cooperativa di giornalisti che, informati meglio degli altri (allora succedeva), sapevano che di lì a poco sarebbe sorta nei pressi la city e quindi che il palazzo, costruito su un terrain vague, regalo dei bombardamenti angloamericani, avrebbe moltiplicato il suo valore. E’ stato abitato da personaggi noti del mondo della cultura, Achille Campanile, Paolo Murialdi, Giovanni Mosca. Venne costruito male da un architetto, l’architetto Guagliumi. Per dire delle sue capacità per sé si fece un appartamento nel quale per andare dalla camera da letto al bagno bisognava passare, allo scoperto, dal balcone e quando a Milano ci fu un terremoto di infima portata era tanto sicuro di quello che aveva costruito che si precipitò in strada temendo che l’edificio fosse crollato. Con queste premesse il palazzo ha avuto sempre dei problemi strutturali. Ultimamente riguardavano il decimo e ultimo piano. Si trattava di fare dei lavori con delle normali gru. Ma all’attuale amministratore e ai coinquilini venne la bella idea, per rifarsi delle spese e guadagnarci qualcosa, di far costruire una gigantesca impalcatura che copre tutta la facciata fino al decimo piano per potervi installare una pubblicità. La prima fu di Sky, quella che fa tutta una campagna, molto meritoria, contro la plastica ma non disdegna di coprire di plastica un intero grattacielo. Business is business. Respirare plastica non è il massimo per la salute. Ma il vero problema è un altro. Il telone pubblicitario e l’impalcatura che lo sostiene tengono completamente al buio le nostre abitazioni. Viviamo peggio dei carcerati che almeno con la ‘bocca di lupo’ uno spicchio di cielo lo vedono. Ora, non è necessario essere un neurologo e nemmeno un medico ma semplicemente una persona che abbia conservato un po’ di senso comune per sapere che la privazione permanente della luce e dell’aria causa gravi problemi alla salute, in particolare depressione e nevrosi (insieme al waterboarding è uno dei sistemi di tortura per estorcere confessioni da terroristi o presunti tali in qualche carcere speciale). Qual è il compenso alle privazioni cui ci stiamo sottoponendo: 1.000 euro al mese a inquilino. Il nostro palazzo, quasi nel centro di Milano, venti minuti a piedi da piazza Duomo, è abitato da persone benestanti alle quali 1.000 euro in più per qualche mese non cambiano certamente la vita. Eppure per 1.000 euro al mese ci siamo venduti la luce, l’aria, pezzi di salute e, a mio modesto avviso, anche la dignità. Ho chiesto alla mia domestica rumena i cui genitori sono rimasti in Romania e non se la passano esattamente bene se suo padre avrebbe accettato di farsi privare della luce e dell’aria per mesi. “Mai nella vita” ha risposto.
Nella mia via, dalla parte opposta, c’è un grattacielo prestigioso, il cosiddetto ‘grattacielo rosso’. Ne conosco bene le abitazioni perché in gioventù vi andavo a pelare a poker i ragazzi della Milano-bene (la sola cosa meritoria che abbia fatto nella mia vita) a casa di Roberto Martone figlio di Vincenzo Martone padrone della Marvin a quei tempi un’importante azienda specializzata in prodotti farmaceutici e cosmetici. Vi abitavano anche i Vecchioni, i genitori del cantante. Sono appartamenti estremamente lussuosi e non per nulla Salvatore Ligresti, che aveva saccheggiato la Milano delle periferie costruendovi edifici dal gusto, diciamo così, imbarazzante, soprattutto sui terreni verdi delle scuderie intorno agli ippodromi di San Siro, per i suoi uffici aveva scelto il ‘grattacielo rosso’. Ebbene anche i locupletari proprietari o affittuari di queste lussuose e prestigiose abitazioni si son fatti coprire, per intero, entrambe le facciate dalle pubblicità e come noi vivono tutto il giorno senza luce e senz’aria. Che il denaro sia “lo sterco del Demonio” lo ha detto Martin Lutero ma davvero non pensavamo che la sua potenza arrivasse a travolgere, per degli spiccioli, perché a quei livelli tali sono, anche persone che non ne hanno alcun bisogno. Evidentemente oggi il denaro spazza via tutto, non solo i valori etici, la dignità, non solo i valori esistenziali, una ragionevole qualità della vita, ma anche quelli estetici. E a questo proposito c’è una domanda che vorremmo porre all’assessore all’urbanistica di Milano. Sarà anche tutto lecito ma una città è fatta dei suoi palazzi, delle sue abitazioni, dei suoi monumenti, delle sue chiese, se li ricopriamo e li nascondiamo con la pubblicità, cioè ancora e sempre per denaro, che ne resta? Quando Ridley Scott nel suo Blade Runner immaginò le pubblicità parlanti non era che un dilettante.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 1 novembre 2018
Questo articolo è dedicato a tutti coloro che mi hanno sempre accusato di avere la fissazione dell'Afghanistan.
Sabato e domenica scorsi ci sono state in Afghanistan le elezioni parlamentari. Elezioni farsa. Per due motivi. Non ci possono essere elezioni libere in un Paese occupato da forze straniere, in questo caso la Nato. Nel 70% del Paese non si è votato perché è sotto il controllo dei Talebani.
Sabato a Kabul un attentato kamikaze degli insorti Talebani ha provocato 15 morti. Nel resto del Paese ci sono stati attacchi talebani a colpi di mortaio a Nangarhar, Kudduz, Ghor, Kunar e altre provincie con un bilancio complessivo di 50 morti e centinaia di feriti. Domenica un ordigno piazzato sul ciglio della strada ha fatto undici morti civili fra cui sei bambini. Attentato non rivendicato e probabilmente attribuibile all'Isis.
Questa serie di tragedie ha risvegliato un sia pur modesto interesse dei media occidentali rivelando cose che noi abbiamo scritto tante volte ma che erano sempre state sottaciute o sottovalutate. Da un paio di articoli di Andrea Nicastro sul Corriere apprendiamo che nel 2013 la media dei soldati dell'esercito 'regolare' afghano morti per attacchi frontali o imboscate dei Talebani erano una decina al giorno, nel 2016 quaranta, nell'ultimo anno sono, secondo una stima approssimativa, 70 al giorno. Più di 20 mila all'anno. Questa è una tragedia nella tragedia. Chi sono i soldati dell'esercito 'regolare'? Sono ragazzi che in un Paese già povero e ulteriormente impoverito dall'occupazione occidentale non hanno altra alternativa che arruolarsi nell'esercito. E infatti ogni anno per quanti vi entrano altrettanti, appena possono, ne escono per fuggire all'estero. E' recente il fenomeno di una emigrazione afghana che non si era mai manifestato in proporzioni così consistenti ed evidenti. Alcuni che si sono arruolati senza avere nessuna motivazione ideale si ribellano. Nei giorni immediatamente precedenti le elezioni un gruppo di poliziotti si è ammutinato a Kandahar, la culla del movimento talebano, uccidendo un numero imprecisato di 'colleghi', molti alti ufficiali, fra cui il capo della stessa polizia Abdul Raziq e il governatore della provincia. Fra le vittime anche un cameramen della tv di Stato Rta. Insomma siamo riusciti a riportare in Afghanistan una guerra civile in grande stile, quella guerra civile cui aveva posto fine il Mullah Omar nel 1996 sconfiggendo i 'signori della guerra' (Massud, Dostum, Eckmatyar, Ismael Khan). Con la differenza che i 'signori della guerra' combattevano per interessi propri, comunque afghani, mentre l'esercito 'regolare' afghano di oggi combatte, si fa per dire, per interessi altrui, cioè degli occupanti occidentali.
I Talebani stanno utilizzando mortai. E questa è una novità perché prima ne avevano in quantità molto ridotta. Si sostiene che i Talebani possono contare oggi sull'aiuto russo. Ed è molto probabile. Putin ha riconosciuto ai Talebani lo status di “movimento politico e militare” (mentre per gli americani sono solo “terroristi”) fatto di cui avevamo dato notizia su questo giornale (“Quei 900 ostaggi italiani a Kabul” Il Fatto 3 giugno 2018). Di questo appoggio russo ai Talebani si danno due versioni diverse che non si elidono ma non coincidono. La prima è che i russi vogliono mettere in difficoltà gli americani in Afghanistan. La seconda è che cerchino di favorire i Talebani contro l'Isis, che i Talebani combattono, perché se l'Isis sfonda in Afghanistan si espande in Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan, Tagikistan, tutti Paesi a maggioranza musulmana, prevalentemente sunnita, e si avvicina pericolosamente a Mosca. Questa preoccupazione di Putin l'avevamo anticipata sempre sul Fatto del 3 novembre 2017. Che Putin voglia mettere in difficoltà gli americani in Afghanistan è fuori discussione, ma non vuole eliminare la loro presenza, intende solo logorarli. Altrimenti avrebbe fornito loro quei missili terra-aria che a suo tempo gli americani avevano dato agli afghani quando combattevano i sovietici e che avevano posto fine alla guerra. Del resto in Afghanistan gli americani dal punto di vista militare sono presenti solo con l'aviazione e per rimandarli a casa sono necessarie armi che possano colpire aerei e droni.
Visto che sono impegnati in una guerra che per loro stessa ammissione “non si può vincere” e per la quale hanno speso 1.000 miliardi, l'obbiettivo americano è oggi di dividere il Paese in due, il 70% in mano ai Talebani il resto ai filo-occidentali. Ma non esistono “filo-occidentali” in Afghanistan se non quella parte minoritaria che abbiamo corrotto col denaro. Gli americani contavano anche che dopo la morte del Mullah Omar i Talebani avrebbero avuto un periodo di sbandamento e che ci sarebbe stata al loro interno una lotta per il potere. E questo effettivamente è avvenuto, ma ora i Talebani si sono ricompattati sotto la guida di una diarchia formata dal figlio di Omar, il mullah Iaquob, una sorta di 'garante', e il “capo ufficiale degli studenti”, il mullah Akhdundzada. E sia Iaquob che Akhdundzada, interpretando i sentimenti del movimento talebano, nelle trattative che si sono svolte a Doha hanno posto come precondizione per ogni accordo che le truppe straniere se ne vadano. Del resto questo è il sentimento dell'intera comunità afghana. Tanto è vero che tutti i candidati alle elezioni parlamentari dello scorso weekend avevano nel loro programma il ritiro delle truppe straniere.
Le televisioni hanno fatto vedere donne afghane in burqa che si presentavano compunte ai seggi elettorali. Ora, a parte che sotto il governo del Mullah Omar il burqa non era affatto obbligatorio, lo era il velo come in molti altri paesi musulmani, questa presenza di donne in burqa appare piuttosto curiosa. O sono state mandate lì a calci nel sedere, travestite, dai capi clan che, per opportunismo, appoggiano il governo di Ashraf Ghani o vuol dire che l'occupazione occidentale è fallita anche dal punto di vista di quella 'liberazione femminile' che era uno degli sbandierati obbiettivi dell'invasione, nel 2001, dell'Afghanistan.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2018
L’ipocrisia sta assumendo dimensioni grottesche. Beppe Grillo è stato messo in croce (oddio, non vorrei che questo suonasse come una mancanza di rispetto verso Gesù Cristo) per aver definito i nostri uomini politici “autistici”. E’ stata considerata un’offesa gravissima nei confronti di chi è affetto da questa patologia. Ma se Grillo o chiunque altro avesse detto che i nostri uomini politici sono “sordi e ciechi”, i sordi e i ciechi avrebbero dovuto sentirsi offesi? Se qualcuno avesse usato nei confronti non dico dei politici ma di qualsiasi altra categoria di persone la parabola delle tre scimmiette che “non vedono, non parlano, non sentono”, i ciechi, i muti, i sordi avrebbero dovuto insorgere a difesa della loro dignità?
Questa ipocrisia dilagante per ogni dove parte da lontano. Gli storpi, i ciechi, i sordi non vengono accettati, nel linguaggio, come tali, perché tali sono, ma devono essere chiamati “motulesi, non vedenti, audiolesi”. Gli handicappati in generale vengono definiti “diversamente abili”. Siamo giunti ad un tal punto che manca poco che i morti siano definiti “diversamente vivi”. Del resto si sa che la morte, quella biologica intendo, è il grande tabù dell’epoca e nei necrologi troverete tutti gli eufemismi possibili e immaginabili ma mai l’espressione “è morto” che poi, ad onta di tutte le acrobazie verbali, è quello che è realmente successo.
Quello che non si potrebbe dover fare è prendere in giro una persona precisa per un suo qualche difetto fisico. Ma anche qui ci sono eccezioni. La satira (e la frase di Grillo, sia pur generica, sta in questa forma letteraria) e la vignettistica ne hanno fatto sempre, e ne fanno, un larghissimo uso. Quante volte Giulio Andreotti è stato disegnato con la gobba? Ma il “divo Giulio”, che era un uomo intelligente (oddio, non vorrei che adesso la congregazione dei cretini, sentendosi offesa, si inalberasse) non se l’è mai presa e anzi ci si divertiva. E non se la sono mai presa nemmeno quelli che la gobba ce l’hanno davvero (Andreotti era solo un po’ curvo). E se io citassi la favoletta del gobbetto che va dalle fatine per farsi togliere la gobba ma lo fa in modo così maldestro che gliene appioppano un’altra sul petto, i gobbi dovrebbero sentirsi offesi, coprirmi del pubblico ludibrio e indicarmi al linciaggio? Se si continua così dovremo eliminare dal vocabolario almeno la metà dei suoi lemmi.
Ma la cosa veramente insopportabile è che questa improvvisa pudicizia verbale viene esercitata in un Paese, l’Italia, dove sottobanco e nel silenzio generale si compiono le più inaudite violenze, niente affatto verbali, sui singoli individui quando son soli e non godono della protezione di qualche minoranza o maggioranza organizzata.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 24 ottobre 2018