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Non saremo certo noi a cavalcar la notizia dell'attentato che le Brigate Rosse stavano preparando a Roma, per rafforzare la tesi, più volte espressa su queste colonne, che nessun atto di clemenza generalizzato può essere disposto a favore dei terroristi. Questa tesi non ha bisogno di simili rinforzi, essa si basa sul fatto, ben più decisivo, che non è possibile sacrificare, pena lo scardinamento del sistema, i principi basilari su cui si regge una collettività - primo fra tutti quello dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge - per conseguire uno scopo politico, ieri la liberazione di Moro oggi quella dei terroristi. Ma le notizie che vengono da Roma dovrebbero far almeno meditare coloro che pensano il contrario. Cade infatti l'unica, pallida giustificazione dei fautori della clemenza generalizzata: la necessità, a loro dire, di liberare i terroristi per ottenere la «pacificazione». l fatti di Roma dimostrano che fra l'una cosa e l'altra non c'è alcun nesso. È del resto persino ovvio e non ci voleva certo la notizia dell'attentato per capirlo. Anche ammettendo, come vuole Norberto Bobbio, che ai terroristi detenuti che hanno dichiarato «chiusa una fase storica» vada riconosciuta la buona fede, non si capisce perché e in che modo costoro possano determinare il comportamento di chi è fuori. Una «fase storica» non si chiude per decreto di Curcio e Moretti, ma perché sono venuti meno i fattori che l'hanno determinata. Ora se, come affermano gli stessi protagonisti degli «anni di piombo», il terrorismo trae alimento dalle ingiustizie sociali, nulla, da questo punto di vista, è cambiato rispetto agli anni '70. Anzi, gli anni '80 si presentano socialmente assai più sperequati dei '70, con un potere economico che la fa da padrone assai più di allora e con una società sorda alle ingiustizie avendo preferito perdersi dietro il Cacao Meravigliao (e questo è stato proprio uno dei molti effetti perversi del terrorismo). Quindi dal punto di vista di chi voglia mettersi in una logica eversiva il terrorismo non è oggi meno praticabile di dieci anni fa. Non saranno i terroristi contriti di ieri a vincolare quelli di oggi e di domani.A ciò si aggiunga che il «documento Gallinari», reso noto dal giudice Armando Spataro, getta molte ombre anche sulle reali intenzioni dei terroristi detenuti. Ce n'è quanto basta perché ci si potesse aspettare, da parte dei cultori di quello che viene chiamato il «perdonismo», un ripensamento, un minimo di resipiscenza. E invece no, le dichiarazioni più arroganti le abbiamo sentite proprio in questi giorni. Il radicale Massimo Teodori ha detto di temere ora che «il partito dei forcaioli fomenti il clima dell'emergenza». Per Teodori cioè sono forcaioli senza distinzione tutti coloro che chiedono ai partiti di rispettare le leggi vigenti e di non introdurne di nuove contrarie alla Costituzione. L 'onorevole Giacomo Mancini ha affermato che «da un po' di tempo in qua si sta riarmando il partito della durezza» e in quel riarmare c'è tutto il disordine mentale di chi confonde da tempo le armi con le parole, trovando tutte le possibili giustificazioni per le prime, nessuna per le seconde. In quanto a Flaminio Piccoli, leader indiscusso del «perdonismo», preso dal panico s'è abbandonato ad affermazioni tragicomiche. Ha detto che bisogna liberare i terroristi «altrimenti fra dieci anni avranno l'aureola dei martiri come Gramsci», dimenticando, fra l'altro, che il fascismo ha tenuto Gramsci in galera vent'anni per reati di opinione. Ha detto che «stiamo demonizzando lo Stato, lo abbiamo trasformato in un mostro inflessibile», dimenticando che in una democrazia (sistema al quale almeno l'onorevole Piccoli ha il dovere di credere) lo Stato è la collettività, è il complesso di leggi che essa si è liberamente data. Insomma, ancora una volta la nostra classe politica mostra di utilizzare la tragica «questione-terrorismo», così carica di implicazioni morali e giuridiche, per squallidi interessi di bottega. E, in questo senso, la performance più penosa l'hanno offerta Ciriaco De Mita e Bettino Craxi con la loro grottesca gara ad accaparrarsi il titolo di «primo bersaglio» del terrorismo. Il segretario democristiano atteggiandosi a vittima designata dell'attentato di Roma quando nella zona dove è stato catturato il brigatista Fosso abitano decine di altri possibili bersagli; quello socialista facendo immediatamente sapere, attraverso il luogotenente Martelli, che «era previsto a Milano un attentato a Craxi». Uno spettacolo indecoroso che dimostra come i nostri maggiori leader politici, per scippare consensi, non arretrino ormai di fronte a nulla, nemmeno alle più elementari norme di buon gusto. E pensare che li paghiamo perché ci comandino. Mandiamoli a casa.