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Suscita scandalo la possibilità che Silvio Berlusconi fondi un proprio partito politico. Ha scritto un indignato Eugenio Scalfari: “Un altro episodio di notevole significato riguarda il progetto della Fininvest di fornire direttamente appoggio, in uomini, tecniche e mezzi, per la nascita di un nuovo partito. Anche questo è un fenomeno mai verificatosi prima d' ora in nessun Paese del mondo, mai un partito era nato dalla costola di un' azienda” (la Repubblica, 25/10). A parte che Berlusconi ha smentito questa possibilità, io non riesco a vedere dove sia lo scandalo. Non sta scritto da nessuna parte che un imprenditore non può fondare un partito, tanto meno nella nostra Costituzione che all'articolo 49 recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Berlusconi ha quindi il diritto di fondare un partito quanto ce l' ho io o  Feltri o il signor Rossi o, anche il signor Bossi. Del resto non si vede per quale ragione, che non affondi le radici nell'ipocrisia, un imprenditore non può fare direttamente ciò che fa già per interposta persona. Forse non è da sempre ammesso che un imprenditore appoggi e finanzi (lecitamente, va da sé, non con i metodi di Tangentopoli) il partito o i partiti che ritiene più vicini ai suoi interessi? Forse che la Fiat non ha avuto in passato uomini di sua assoluta fiducia in Parlamento e che rispondevano direttamente all'azienda di corso Marconi? Qualcuno si è scordato di Catella? E Umberto Agnelli non si fece eleggere senatore nelle file della Democrazia cristiana? Non era forse quello un impegno diretto di un grande imprenditore nella politica politicante? E che differenza c'è fra un imprenditore che entra in un partito che esiste già e un altro che, non trovandone evidentemente sulla piazza che gli vada a fagiolo, ne crea uno per conto suo? E Ross Perot , che nei liberi Stati Uniti è stato lì lì per insidiare Clinton e Bush, non è forse un imprenditore? È curioso che questo ridicolo veto a Berlusconi venga da un gruppo editoriale, quello De Benedetti-Caracciolo-Scalfari-La Repubblica-L'Espresso che è stato accusato fino alla nausea, dalla nomenklatura politica, socialisti fu prima fila, e Bettino Craxi in testa, di essere un “giornale-partito”. Quando queste accuse sono state mosse noi abbiamo difeso il sacrosanto diritto del gruppo La Repubblica-Espresso, come di qualsiasi altro giornale, di fare politica anche, se lo ritiene, adottando le modalità di un partito sia pur “trasversale” (“La politica dei giornali”, Europeo 17/5/91). La politica attiva non è prerogativa di coloro che se ne sono autoproclamati professionisti ma, come appunto sancisce la Costituzione, un patrimonio di tutti. Si dice che Berlusconi, possedendo tre network, e godendo di una posizione oligopolista nel campo dell'informazione televisiva, avrebbe un grosso vantaggio nei confronti dei suoi rivali se decidesse davvero di dedicarsi alla politica attiva. Vero. Ma qui la situazione anomala è a monte. fu quella situazione di oligopolio che va smantellata (perché l'oligopolio, è bene ricordarlo a tutti i neoliberisti e allo stesso Cavaliere di Arcore, è l'affossatore della libertà), contestualmente, crediamo, a un ridimensionamento drastico della tivù di Stato, cose che dovranno pur avvenire, e presto, nell'ambito di un più generale riassetto del sistema dell'informazione, stampa compresa, in quest'Italia che dice di voler cambiare (una Rete di Stato, anzi governativa, perché anche il governo ha il diritto di esprimere una politica informativa e, soprattutto, culturale, e una pluralità di network privati, questo dovrebbe essere, a mio modesto avviso, il futuro della televisione in Italia, che, del resto, è già il presente in tutti gli altri paesi occidentali). Ma una volta riportata la situazione a una equità di base non si vede perché Berlusconi  non possa usare la propria televisione per supportare i suoi programmi politici. Sta a vedere se gli conviene, perché in Italia i giornali di partito, e penso quindi anche le tivù di partito, hanno sempre avuto risultati disastrosi. Ma è una scelta che spetta a lui e solo a lui. Chi ci segue sa che la nostra simpatia per Silvio Berlusconi (nostra intesa come la mia, non quella dell'Indipendente) è vicino allo zero assoluto. Ma Berlusconi va contrastato nelle sue pretese monopolistiche là dove, nell' informazione come nel calcio, tende, ipergonfiandosi, a ledere i diritti degli altri, non quando esercita un suo diritto qual è quello di creare, se gli aggrada, un proprio partito politico.