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Il 'caso Welby ' è totalmente assurdo. Qui non siamo di fronte a un malato incosciente che non è in grado di esprimere la propria volontà, di dire se vuole o meno continuare certe cure, per cui la decisione deve essere presa da altri. Sono questi i casi che in genere suscitano dibattiti, polemiche, scontri fra medici, familiari, istituzioni, perchè, in assenza della volontà del malato, ci si può solo limitare a supporre quale sarebbe se fosse cosciente. Ma Welby è perfettamente lucido e da tempo ha fatto sapere che non intende più avvalersi del respiratore artificiale che lo tiene in vita insieme a un sondino alimentare. Ora è fuori discussione che ogni individuo ha diritto di rifiutare le cure mediche, a meno che non si tratti di malattie infettive che mettano a repentaglio la salute o la vita altrui. Questo è scritto a chiare lettere nell'articolo 32 della Costituzione: "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario". Se vado in ospedale, mi diagnosticano un tumore, vogliono ricoverarmi e sottopormi alle cure che ritengono facciano al caso mio, io posso girare i tacchi e andarmene. Mi verrà solo richiesto di firmare un modulo in cui dichiaro di assumermi la responsabilità di questa scelta. Ed è giusto che sia così perchè in uno stato laico l'individuo, e solo lui, è padrone della propria vita e della propria salute. Tanto è vero che non c'è nessuna norma che punisca il suicidio o il tentato suicidio, come era invece nell'Europa cristiana dove, non potendo più raggiungere chi si era sottratto alla giustizia umana, si prendevano misure contro il cadavere e il patrimonio del defunto. Perchè nella concezione cristiana la vita non appartiene all'individuo ma a Dio e solo Lui ne può disporre. Ma noi oggi non viviamo in uno Stato teocratico, ma laico. Ciò che impedisce a Welby di far valere la sua legittima volontà contro quella dei medici è il fatto che è paralizzato e non può liberarsi dei macchinari che lo tengono in vita contro la sua volontà. Siamo di fronte, in realtà, a un sequestro di persona di cui i medici che si accaniscono a non rispettare la volontà di Welby dovrebbero rispondere personalmente. Più in profondità noi oggi non siamo più padroni della nostra salute, della nostra vita, della nostra morte e della loro dignità. In virtù dei progressi della medicina tecnologica che tiene in vita gente che in altri tempi se ne sarebbe andata brevemente e beatamente al Creatore, i padroni della vita e della morte, del suo momento e delle sue circostanze sono i medici e i tecnici delle equipes ospedaliere. Il malato, intubato, irto d'aghi, monitorizzato, computerizzato, ventilato, nutrito con sonde, non è che un oggetto, privato di ogni volontà, una povera cosa umiliata la cui agonia può essere protratta oltre ogni limite di decenza. Questo ci dice, oggi, il 'caso Welby '. Non è stato sempre così. Scrive Philippe Ariès autore della 'Storia della morte in Occidente': "L'uomo è stato, per millenni, il padrone assoluto della sua morte e delle circostanze della sua morte". In tempi in cui le malattie erano quasi sempre letali, ma brevi come le agonie, l'uomo, prima di perdere conoscenza, aveva il tempo e il modo di partecipare attivamente alla propria morte. Anzi la presiedeva secondo certe ritualità immutabili. "Investito di autorità sovrana dall'avvicinarsi della morte, impartiva ordini, faceva raccomandazioni. L'uomo del Medioevo e del Rinascimento teneva a partecipare alla propria morte perchè vedeva in essa un momento eccezionale in cui la sua individualità prendeva la forma definitiva. Non si era padroni della prpria vita se non nella misura in cui si era padroni della propria morte".Il modo del morire era quindi fondamentale per i nostri progenitori. Perchè la dignità della propria morte conferiva dignità all'intera vita. E la morte disumana, indegna, espropriata dell'età moderna non è che lo specchio atroce della vita disumana, indegna ed espropriata che in essa conduciamo.