In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di metterne a rischio le relazioni internazionali con dichiarazioni sciagurate? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di tenere, a piede libero, comizi politici, televisivi e non, e anche, con grande arroganza, di lamentarsene? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di incontrare il presidente del Consiglio per concordare importanti riforme istituzionali? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di farsi ricevere dal Presidente della Repubblica? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di accusare impunemente di 'golpe' il Capo dello Stato, laddove un uomo politico, incensurato, è finito sotto inchiesta della magistratura per un semplice sberleffo a quello stesso Capo dello Stato? In quale Paese si concederebbero i servizi sociali a un galeotto sulla cui testa grava un'altra, e ancora più pesante, condanna e nei cui confronti sono in corso un altro paio di procedimenti penali? In quale Paese si permetterebbe a un galeotto di violare tutte le condizioni alle quali gli sono stati concessi i servizi sociali e di irridere questi stessi servizi, senza revocarglieli immediatamente e spedirlo là dove un galeotto dovrebbe stare, al fresco? In quale Paese si sarebbe permesso a un premier di delegittimare la propria magistratura definendola, anche con dichiarazioni rese all'estero, «il cancro della democrazia»? In quale Paese si sarebbe permesso a un imprenditore di occupare, per una quindicina d'anni, l'intero comparto televisivo privato nazionale e, in alcuni periodi, divenuto politico, anche i due terzi di quello pubblico? In quale Paese si sarebbe permesso a un imprenditore-politico di prendere in giro la comunità vendendo, in contrasto con una già molto blanda legge sulle concentrazioni editoriali, il proprio quotidiano a suo fratello?
Ai contemporanei l'ardua sentenza.
Se nel 2003 definire il parlamentare europeo Martin Schulz «un kapò» fu la gaffe di uno che invece che il politico avrebbe dovuto fare, come scrisse Montanelli, «il venditore di pitali», stavolta quella di Berlusconi è stata una provocazione voluta. Del resto non è il solo. Sparare sui tedeschi, sia pur con toni un po' meno volgari di Berlusconi (su questo terreno è il riconosciuto campione del mondo), è diventato lo sport nazionale. Poiché tutti i partiti – ad eccezione di 5Stelle, che è nuovo – hanno il culo sporco per come hanno conciato, anzi sconciato, l'Italia, torna comodo scaricare le responsabilità altrove, anche perché continuare ad accusarsi l'un l'altro fa sorgere nel cittadino l'elementare domanda: e allora cosa ci state ancora a fare lì? Ma non è colpa dei tedeschi se dopo la disastrosa sconfitta nella seconda guerra mondiale si sono ricostruiti come la più importante potenza europea, con lo spirito di rinuncia e di sacrificio, con la disciplina, l'organizzazione, il lavoro, la serietà.
Negli anni '90 per Il Mattino scrisse un articolo in cui dicevo che se Napoli si era ridotta come si era ridotta (e non parlavo solo di camorra, ma intendevo in tutti i campi, compreso quello ambientale - i napoletani credono di avere ancora 'o sole mio' ma il loro sole è più velato di quello di Milano, il loro mare è nero come la pece fin quasi a Capri) la colpa era solo dei napoletani. Suscitai un putiferio. Perché era la verità. Così la devastazione italiana, del territorio, della socialità, dell'economia, della politica e della morale, è colpa solo degli italiani e delle loro classi dirigenti. Se per i politici esistesse un mercato europeo come per i calciatori, acquisterei Angela Merkel. O, se non fosse possibile, mi accontenterei di un gauleiter tedesco che ci governasse per almeno dieci anni. Poi potremmo ricominciare da capo.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 3 maggio 2014