Periscope, Merkaat, streaming live, streaming non-stop, Pokemon Go, Facebook Live, Live Maps, Q&A, fly on the wall, filmati GoPro, soft news, groundbreaking. Il digitale vive di continue varianti e cambiamenti che hanno assunto un ritmo così vertiginoso che l’individuo, in affannosa rincorsa, è al loro perenne inseguimento. È uno dei tanti casi in cui il virtuale, perché di questo di tratta, incide sul reale e lo sorpassa, ponendo la domanda di sapore heideggeriano: è la Tecnica al nostro servizio o noi al suo?
In verità il digitale non è che un ulteriore acceleratore di un’accelerazione, una accelerazione di una accelerazione, che ha preso il via fra il XVII e il XVIII secolo e che è andata aumentando progressivamente la sua velocità. È stato calcolato che dividendo la storia del mondo in una giornata, nell’ultima ora (diciamo, grosso modo, da tre secoli) l’uomo ha fatto più progressi che in tutte quelle precedenti.
Alla fine degli anni ’80 andai al Cern di Ginevra per intervistare Carlo Rubbia sulle insidie del Progresso. Il Professore pareva molto infastidito. Mi considerava un apocalittico (e forse lo sono, certamente, rifacendomi alla famosa distinzione di Umberto Eco, non faccio parte degli ‘integrati’, sono uno fuori dal suo tempo anche se ci deve necessariamente stare). Ad un certo punto gli dissi: “Professore, lei è un fisico e le faccio una domanda alla quale vorrei una risposta da fisico: andando avanti a questa velocità non è che stiamo accorciando il nostro futuro?”. Rubbia cambiò completamente atteggiamento. “Capisco la sua angoscia. Noi siamo su un treno che va a mille all’ora, che per sua coerenza interna deve aumentare sempre la propria velocità, ai comandi non c’è nessuno o se c’è si illude di controllarli. Finché il treno non andrà inevitabilmente a sbattere”. E Rubbia è uno scienziato, un positivista, che non può certamente essere inserito nella categoria degli ‘apocalittici’.
Il collasso del sistema è quindi certo. Bisogna solo vedere in che forme avverrà. Parafrasando Asimov si può scegliere fra tre catastrofi (lui per la verità ne indicava sei). Ambientale. Non credo che avverrà, non perché l’uomo ha dimostrato di essere un animale molto adattabile (anche se con la sua produzione ossessiva sta diventando una specie di tumore del pianeta che a un certo punto se ne potrebbe sbarazzare) ma più semplicemente perché sarà preceduta da quella economico-finanziaria. Dopo il crack della Lemann Brothers del 2008 gli americani hanno immesso nel sistema, sotto forma di credito, tre trilioni di dollari che non corrispondono assolutamente a nulla se non a un rilancio su un futuro talmente lontano da essere inesistente. Questa bolla prima o poi ci ricadrà addosso in forme molto più drammatiche di quelle che sperimentiamo ora (ecco perché la politica di austerity della Merkel, in linea di principio giusta per non creare nuove bolle, diventa inutile di fronte al comportamento di simili competitors). Sarà il secondo passo. Le leadership delle maggiori Potenze mondiali reagiranno come han già fatto gli Stati Uniti: drogheranno il cavallo già dopato sperando che faccia ancora qualche passo avanti, ma prima o poi, più prima che poi, il cavallo cade stecchito. A questo punto si aprono scenari di sangue. La gente delle città, rendendosi conto che non può mangiare l’asfalto e bere il cherosene si riverserà nelle campagne dove troverà individui più avveduti che vi si saranno trasferiti a tempo e che, provvisti di opportuni kalashnikov, cercheranno di respingerla. Ma questo, in fondo, è lo scenario migliore. Perché comunque rimarranno in vita un bel po’ di umani anche all’interno dei mondi cosiddetti ‘sviluppati’ oltre che i rari popoli che non sono entrati nella globalizzazione. E potremo – soprattutto coloro che a quel tempo saranno giovani – ricominciare da capo. Magari rifacendo gli stessi errori ma, insomma potendo ripartire dall’ora zero.
Infine c’è l’ipotesi peggiore. Le Grandi Potenze non accettando questo ridimensionamento drastico cercheranno di prevenirlo sganciando Atomiche per ogni dove e poiché le radiazioni nucleari non rispettano i confini non rimarrà in vita nessuno, nemmeno gli innocenti indigeni delle Isole Andamane.
Buone vacanze.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano del 12 agosto 2016