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Credo che noi siamo in una situazione molto simile a quella in cui dovettero trovarsi a vivere i Romani nei decenni che precedettero il crollo dell’Impero. C’è nell’aria un ‘sensus finis’, un’assenza di speranze, collettive e individuali, uno sfinimento, uno sfibramento, una mancanza di vitalità, un sentimento di impotenza. Che sono i classici segni di un mondo in decadenza.

I ‘barbari’ sono alle porte, molti sono già dentro le mura, premono, come ai tempi dell’Impero, ai nostri confini. I Goti, i Burgundi, i Franchi, i Vandali poterono averla vinta sulle ben più potenti e organizzate armate romane, fino a conquistarne la Capitale, riducendola ai tempi dei Lanzichenecchi a 37 mila abitanti, perché nei secoli precedenti, l’Impero e le sue strutture istituzionali e mentali erano state corrose da un tarlo che si chiamava cristianesimo. Invano gli imperatori, da Diocleziano in poi fino all’ultimo e disperato tentativo di Giuliano l’Apostata, avevano cercato di estirpare, con la repressione e la violenza, questo tarlo. Il mondo pagano, corrotto fino al midollo proprio a cagione della propria potenza, verrebbe da dire della Superpotenza, non poté nulla contro un’ideologia che portava in sé valori fortissimi e nuovi. Ma solo parzialmente nuovi perché originavano dal giudaismo. Insomma il cristianesimo rimaneva un fenomeno mediterraneo che non partiva dal nulla e non veniva dal nulla. Perciò nel giro di pochi secoli il cristianesimo poté avere di fatto la meglio sul mondo germanico, apparentemente vincitore, convertendolo a sé com’è documentato dai canti dell’Edda. Alle quasi infinite superstizioni che avevano attraversato quel mondo, ma che avevano anche, per misteriosi canali, molti punti di contatto con la Bibbia e con il Vangelo, se n’era sostituita un’altra, unica, più forte, più convincente, più coinvolgente.

Ma anche il cristianesimo, tradotto da San Paolo in una struttura potente, religiosa ma anche temporale come la Chiesa, aveva in sé i germi e i prodromi della sua fine. Dopo venti secoli di egemonia e di ascesa il pensiero cristiano nelle sue varie declinazioni cattolica, ortodossa, protestante ha terminato la sua fase propulsiva, per dirla con le parole di Enrico Berlinguer in riferimento al comunismo sovietico.

Forse noi non abbiamo compreso appieno cosa ha voluto dire “la morte di Dio”. Quando Friedrich Nietzsche la proclama nei primi anni ’80 dell’Ottocento, constata, con qualche decennio di anticipo, perché era un genio, che Dio, in virtù o a causa dell’Illuminismo e dell’affermarsi della Dea Ragione, è morto nella coscienza dell’uomo occidentale. Ma i suoi funerali non saranno affatto indolori. Non per nulla il capitolo successivo a questa affermazione nicciana si intitola Incipit tragoedia. Dio sarà sostituito dalle Ideologie. Ma le Ideologie, nel giro di un tempo relativamente breve, due secoli e mezzo all’incirca, periranno anch’esse. E anche la loro morte, come quella di Dio, verrà salutata come una liberazione. Invece è un’altra tragedia. Perché è venuto meno ogni punto di riferimento laico o religioso (un Dio morto non può essere resuscitato), non potendosi considerar tale il libero mercato che non è nemmeno più non dico un’ideologia, com’era ai tempi di Adam Smith e di David Ricardo, ma neppure un’idea. E’ semplicemente un meccanismo che va per conto suo, autopotenziandosi nella misura in cui indebolisce l’uomo che lo ha innescato, sfuggito di mano non solo agli ‘apprendisti stregoni’ che lo concepirono, ma anche alle mosche cocchiere che si illudono di guidarlo e del quale, prima o poi, saranno anch’esse vittima.

Da qui lo smarrimento che ci coinvolge tutti, poveri e ricchi. E la paura, l’abbietta paura (basta pensare a quanto è avvenuto pochi giorni fa alla Gare du Nord dove c’è stato un fuggi fuggi generale dei passeggeri, che hanno abbandonato persino i loro bagagli, la ‘robba’, perché un uomo si aggirava armato di un coltello) nei confronti dei ‘nuovi barbari’ che sono davvero, a differenza di quelli d’antan, ‘altro da noi’. Ma non è del terrore che noi dovremmo aver terrore. Ma del nostro vuoto di valori. Sarà questo che ci perderà, nonostante noi occidentali si sia tanto superiormente armati, come lo erano i Romani di fronte alle orde di origine germanica.

Presso ogni cultura, quasi senza eccezioni, è previsto che il proprio sistema di valori non sia eterno, ma a un certo punto collassi. Ma la favola convenuta, nella inesausta necessità di speranza che è propria di quella tragica creatura che è l’uomo, vuole che dopo ogni krisis, intesa in senso greco, rinasca un mondo migliore e più degno di essere vissuto. A noi non resta che aggrapparci a questa favola e augurarci che non sia veritiera la premonizione di Eraclito che nel VI secolo prima di Cristo ammoniva che l’umanità era destinata a degenerare senza soluzione di continuità. Anche se la Storia, almeno finora, sembra dargli ragione.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 29 aprile 2017