“Cantami, o Diva, del pelide Achille l’ira funesta che infiniti lutti addusse agli Achei”. Così inizia il primo e il più grande poema di guerra della Storia.
Da che esiste, cioè da sempre, la guerra è uno scontro fra uomo e uomo. Inizialmente un vero e proprio corpo a corpo. In seguito verranno elaborate nuove tecnologie di offesa cui si risponderà con nuove tecnologie di difesa e viceversa in un botta e risposta senza respiro. Ma il corpo a corpo rimarrà almeno fino all’epoca dei cavalieri che, sotto certi aspetti, etici e pratici, è il periodo migliore dell’infinita storia della guerra. La guerra la fa chi la vuol fare, chi vi ha una certa propensione, chi crede in qualcuno dei suoi valori. La povertà della tecnologia militare medioevale e il ridotto numero dei combattenti limitano grandemente l’area di azione della guerra e la stessa economia non ne viene scossa più di tanto proprio perché la classe produttiva, cioè i contadini, rimane al suo posto. Del resto quelle medioevali sono in assoluto le guerre meno cruente della storia. Ciò nonostante il guerriero nel Medioevo godrà sempre di un altissimo prestigio. In un contesto del genere alcune qualità umane, come la forza fisica, il coraggio, l’abilità nel battersi e la disponibilità a farlo, che oggi, politicamente, non hanno più alcun senso, erano determinanti.
Molto cambia con l’introduzione delle armi da fuoco. Esemplare in questo senso è lo straordinario film di Ermanno Olmi Il mestiere delle armi. Giovanni delle Bande Nere, in realtà un Medici, guerriero di altissimo valore, quando si cala la celata della sua armatura crede di potersi battere come sempre. Ma ha contro quattro pezzi di artiglieria e l’inconsapevole Giovanni verrà ferito e ucciso. La guerra adesso si fa a distanza. I cavalieri si batteranno idealmente contro l’introduzione delle armi da fuoco, sembrandogli questa una cosa slealissima. Ariosto chiama l’arma da fuoco “abominoso ordigno” e Lutero tuonava, con la consueta veemenza, contro i moschetti e gli obici che chiamava “opera del demonio” perché contro i proiettili non valevano né la forza né il coraggio. Insomma i cavalieri, e tutti coloro che avevano una concezione etica della guerra, cercarono di bandire le nuove armi, ma naturalmente furono loro a essere banditi.
Tuttavia, anche se a distanza, la guerra rimane una lotta di uomini contro altri uomini dove il coraggio e le altre doti peculiari del guerriero continuano ad avere un senso. E questo sarà vero anche nella seconda guerra mondiale, nonostante l’introduzione dei bombardieri. Fu grazie al coraggio dei combattenti americani e inglesi che poté essere effettuato il decisivo sbarco in Normandia. Fu grazie al coraggio dei combattenti russi contrapposto a quello di altrettale valore dei militari nazisti che poté essere vinta, complice anche il generale Inverno, l’altrettale decisiva battaglia di Stalingrado. Persino nella guerra delle Falkland, e siamo già nel 1982, combattuta a colpi di Exocet, il valore dell’uomo fu decisivo. Nell’ultima battaglia, terrestre, c’era un nido di mitragliatrici argentino che pareva inespugnabile. I soldati inglesi che gli stavano di fronte si sentivano impotenti. Allora il loro comandante, di cui mi spiace non ricordare qui il nome, uscì dalla trincea, allo scoperto, trascinando in tal modo i suoi uomini alla conquista. Lui ne uscirà ferito in modo grave, ma gli inglesi conquisteranno quell’ultimo baluardo argentino ponendo così fine, di fatto, alla guerra.
Insomma fino a poco tempo fa i fanti, cioè gli uomini, avevano in guerra una parte e un valore decisivo. Poi sono arrivate armi che avevano perduto anche la forma di armi, armi nucleari, batteriologiche, chimiche. A parte Hiroshima e Nagasaki nella seconda guerra mondiale queste armi, per una sorta di fair play, di rispetto delle regole di quel grande gioco che era stato fino ad allora la guerra, non furono usate da nessuno, nemmeno da Hitler.
Adesso siamo arrivati alla guerra economica, allo strangolamento di Paesi con strumenti finanziari, ai droni per cui la distanza tra chi colpisce e chi può essere colpito è abissale, inarrivabile. Cioè c’è qualcuno che può colpire e un altro che può solo subire. Mentre la straordinaria legittimità di poter uccidere in guerra deriva dal fatto che si può essere altrettanto legittimamente uccisi. Ma adesso stiamo andando ancora oltre. Come dimostrano i documenti resi pubblici dalla Cia si usano piccioni, lucertole, scoiattoli, avvoltoi, corvi, delfini. Insomma la guerra la facciamo fare agli animali non avendo più il coraggio né di Achille né di Giovanni delle Bande Nere, vale a dire il coraggio di essere uomini.
E questo toglie alla guerra la sua epica e la sua etica. E poiché la guerra, come ho cercato di dimostrare in Elogio della guerra, non è che uno specchio, un grande specchio, della società, noi abbiamo oggi, in Occidente ma non solo, una civiltà che sarà anche modernissima ma è quasi completamente priva dell’elemento umano.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2019