Ero stato facile profeta quando il 16 dicembre del 2022 scrissi un pezzo per il Fatto intitolato “Né l’Ucraina né la Russia: sarà la Bosnia a saltare”. Sostenevo cioè che di lì a non molto sarebbe riesplosa la polveriera dei Balcani. Ed è quanto sta avvenendo.
Il premier serbo Aleksandar Vucevic si è dimesso difronte a grandi manifestazioni popolari. I pretesti per le proteste sono motivate dall’”iper-nazionalismo” di Vucic, dalla corruzione della burocrazia, dall’appoggio alla Russia di Putin e alla Cina di Xi. Appare curioso che il nazionalismo di Belgrado sia considerato inaccettabile in sé e per sé, ma sia considerato ancor più inaccettabile quando si lega ai nazionalismi di Putin e di Xi. Ma la vera questione riguarda il Kosovo. Per una lunga parte del suo mandato Vucic ha cercato di entrare nell’Unione europea ma è stato respinto perché la Serbia non avrebbe i requisiti democratici (li ha l’Ucraina). Recentemente Vucevic ha cambiato rotta fino a sostenere la sovranità sul Kosovo. E non è certo per questo che i belgradesi lo contestano, ma per aver aspirato per troppo tempo all’ingresso nella Ue. La stragrande maggioranza dei serbi è filo-russa e contro la Ue. Ma per capire che cosa succede nei Balcani bisogna fare molti passi indietro.
La Jugoslavia è esistita come Stato dal 1918, inglobando popoli diversissimi, i croati, tendenzialmente fascisti, i serbi, tendenzialmente socialisti, i montenegrini, gli sloveni, la componente islamica. E’ stato un miracolo dell’Impero austro-ungarico e poi di Tito tenere insieme queste popolazioni così diverse e tendenzialmente antagoniste.
Ciò che mandò all’aria questa convivenza nonostante tutto, anche se con molte difficoltà, pacifica, fu il collasso dell’Urss nel 1991. Allora la Croazia chiese di staccarsi dalla Jugoslavia e di diventare uno Stato indipendente, cosa che gli fu concessa grazie all’appoggio della Germania e della Chiesa. A quel punto anche i serbi di Bosnia, uno Stato mai esistito, chiesero l’indipendenza o quantomeno l’unione con la madrepatria serba. Ma gli fu negata. A questo punto i serbi di Bosnia scesero in guerra e la stavano vincendo facilmente perché, a detta di chi si intende di queste cose, sul terreno sono i migliori combattenti del mondo prima della comparsa degli Isis. I serbi di Bosnia avevano l’appoggio della Serbia, ma anche i croati di Bosnia avevano l’appoggio della Croazia, in inferiorità erano invece gli islamici che ricevevano qualche sporadico aiuto dall’Iran. Per fermare questa guerra, il 14 dicembre 1995, particolarmente feroce perché tutti erano contro tutti e inoltre c’erano anche questioni personali da regolare dovuti ad antichi odi pregressi (si legga lo straordinario libro di Francesco Battistini e Marzio Mian Maledetta Sarajevo) a Dayton fu firmato un accordo di pace: firmarono Slobodan Milosevic, presidente della Serbia, il presidente della Croazia Franjo Tudjman, l’islamico Muhamed Sacirbey, leader della componente musulmana in Bosnia, e Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Unione europea. L’accordo prevedeva l’intangibilità delle frontiere, uguali ai confini fra le repubbliche di quel che rimaneva della Jugoslavia, e la creazione di due entità interne allo Stato di Bosnia che, come si è detto, a differenza di Croazia e Serbia, non era mai esistito come Stato, fu creato al momento dell’accordo e diviso in tre settori: federazione croato-musulmana e la Repubblica Srpska, serba. Ma nel frattempo era nata la questione Kosovo. In Kosovo, terra serba da sempre, considerata anzi la “culla della nazione serba” (“Il Kosovo è serbo e rimarrà sempre serbo”, Djokovic) gli albanesi, di religione islamica, erano diventati la maggioranza e combattevano la Serbia con atti terroristici com’è proprio di ogni resistenza. A questi atti rispondeva l’esercito regolare serbo appoggiato da formazioni paramilitari come le famigerate “tigri di Arkan”. Era quindi una questione interna allo Stato serbo che doveva essere decisa dal rapporto delle forze in campo ma gli Stati Uniti decisero che i serbi avevano torto e i kosovari indipendentisti ragione. Dopo i farseschi Accordi di Rambouillet, inaccettabili per la Serbia perché prevedevano non solo l’indipendenza del Kosovo ma anche una supervisione internazionale sulla Serbia (una “sfera d’influenza” per dirla con Danilo Taino) gli americani bombardarono per 75 giorni Belgrado, facendo 5500 morti, fra cui 500 kosovari albanesi, cioè quelli che pretendevano di difendere. Era la prima volta, dopo la fine della Seconda guerra mondiale che veniva bombardata una grande capitale europea. Aggiungo una colta capitale europea (Kusturica, Bregović, le università). Ma a chi fu data la colpa di quei morti, agli americani? Non sia mai. A Slobodan Milošević presidente della Serbia che fu trascinato davanti alla Corte penale internazionale per “crimini di guerra”. In particolare sotto accusa furono messi i suoi corrispondenti in Bosnia, Ratko Mladić e Radovan Karadžić colpevoli, fra le altre cose, dell’assedio di Sarajevo che sarebbe come incriminare Annibale per l’assedio di Sagunto. Storicamente in tutte le guerre l’assedio è stato uno degli aspetti di una guerra.
Il processo a Milošević cominciò con grandi strombazzamenti. Ma poi se ne persero quasi le tracce. Milošević, avvocato, si difese avendo buone carte in mano, era stato o non era stato uno dei firmatari degli Accordi di Dayton? Il presidente croato Tudjman, l’autore di una delle più grandi “pulizie etniche” dei Balcani, 800 mila serbi cacciati in un sol giorno dalle Krajine, morirà invece nel suo letto. Del resto questa pulizia etnica, con l’appoggio della Kfor, la forza internazionale di pace cui partecipano anche gli italiani, si è ripetuta in Kosovo dove i serbi da 300 mila che erano si sono ridotti a 60 mila.
Infine qualche dettaglio che però dettaglio non è. Mentre i croati furono responsabili, alla fine della Seconda guerra mondiale, delle foibe, l’Italia non ha mai avuto contenziosi con la Serbia. Anzi. Alla fine della Prima guerra mondiale a Belgrado si pubblicava un quotidiano titolato Piemonte perché i serbi, allora divisi, vedevano nell’Italia, che aveva raggiunto l’unità nel 1861, un esempio da seguire.
Io, che sono a metà russo, mi riconosco quindi nei serbi perché ne condivido in parte la lingua (il serbo è scritto in cirillico e molte espressioni sono identiche a quelle russe) ne condivido la cultura musicale (Bregović) e mi identifico nella loro vocazione alla sconfitta, ma soprattutto per le violenze che sono state fatte ai serbi dall’aggressione a Belgrado in poi (altro che Ucraina) ma ci metterei anche la cacciata della Jugoslavia dagli Europei di Svezia, una squadra meravigliosa (allora esisteva ancora Capodistria e abbiamo potuto vedere le partite di qualificazione che la Jugoslavia vinse tutte tranne una pareggiata) dove erano presenti Stojkovic, serbo, Savićević, montenegrino, Prosinečki, croato, Mihajlović, serbo, il basilare bosniaco Baždarević, regista e capitano, Boban, croato, che giocava ‘libero’, Jugović, serbo, mentre l’allenatore era Osim, bosniaco. Basta leggere i nomi e le provenienze di questi giocatori per comprende la complessità dei Balcani. Solo, come si è detto, l’Impero austro-ungarico e il maresciallo Tito seppero tenere insieme queste popolazioni diversissime. La violenza americana ha scompigliato tutto. Comunque io sto appassionatamente e perdutamente con Novak Djokovic, il più grande tennista di tutti i tempi insieme a Rod Laver: “Il Kosovo è serbo e rimarrà sempre serbo”.
5 febbraio 2025, il Fatto Quotidiano