0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Uno dei passi più interessanti del discorso di Donald Trump è laddove il prossimo presidente americano prospetta la possibile dissoluzione della Nato se i Paesi europei che ne sono membri “non pagheranno molto di più per sostenerla”. Se i Paesi di quella che ormai un po’ anacronisticamente viene chiamata Europa Ovest avessero un minimo di coscienza di sé non prenderebbero l’affermazione di Trump come una minaccia (pagate di più) bensì come una formidabile opportunità (sciogliamo la Nato). Di questa Alleanza totalmente sperequata gli Stati Uniti sono infatti gli assoluti padroni, anche se, per salvare le apparenze, il segretario generale dell’Organizzazione è a rotazione (attualmente è il norvegese Jens Stoltenberg). In realtà la Nato, da quando esiste (il Patto fu firmato nel 1949), è stata lo strumento con cui gli americani hanno tenuto in stato di minorità l’Europa, militarmente, politicamente, economicamente e dai e ridai anche culturalmente. L’Alleanza ha avuto un senso per noi europei finché è esistita l’Unione Sovietica (non è un caso che il Patto sia stato siglato all’inizio della ‘guerra fredda’) perché gli Stati Uniti erano gli unici ad avere il deterrente atomico per dissuadere ‘l’orso russo’ dal tentare avventure militari in Europa Ovest. Ma dal crollo dell’Urss la situazione, con tutta evidenza, è profondamente cambiata. Non è che la Russia, soprattutto dopo l’avvento di Putin che l’ha riportata al rango di grande potenza, sia del tutto rassicurante e non approfitti della situazione per appropriarsi di alcuni territori europei peraltro a lei limitrofi e russofoni (Crimea e addentellati ucraini), ma è del tutto inimmaginabile che si metta a sganciare atomiche sui Paesi europei.

Inoltre, nel tempo, la Nato ha cambiato radicalmente la sua natura. Era nata, ex articolo 5 del Patto, come strumento difensivo: gli Stati membri si impegnavano a venire in soccorso di un altro membro dell’Alleanza qualora fosse stato aggredito o minacciato. E’ da più di un quarto di secolo che si è trasformata in uno strumento offensivo. Nel 1999 fu attaccata la Serbia di Milosevic che non costituiva alcuna minaccia per un qualsiasi membro della Nato. La Nato intervenne per risolvere, del tutto arbitrariamente, una questione interna di quello Stato. Lo stesso discorso si può fare sostanzialmente per l’Iraq di Saddam Hussein che non minacciava alcuno Stato membro della Nato, tantomeno la Turchia con cui aveva invece fatto un patto leonino in funzione anti curda. Idem per la Libia dell’ultimo Gheddafi che aveva da tempo rinunciato ai suoi terrorismi giovanili. L’unico intervento ex articolo 5, cioè difensivo, è stato quello contro l’Afghanistan perché, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, si pensava, peraltro sbagliando bersaglio, che i Talebani ne fossero alle spalle. Ma dopo quattordici anni di guerra anche questo motivo è caduto e la permanenza della Nato in Afghanistan non ha più alcun senso perché quel Paese dell’Asia Centrale non è un pericolo per nessuno, tantomeno per gli Stati europei (noi italiani vi manteniamo soldati e mezzi e ci siamo impegnati con gli Stati Uniti a rimanervi ancora per anni con costi economici non indifferenti).

La dissoluzione della Nato, se Trump parla con lingua dritta, sarebbe per l’Europa l’occasione per riacquistare, almeno parzialmente, un’indipendenza perduta all’indomani della Seconda guerra mondiale. La mia formula per l’Europa, a partire dal 1990, è questa: un’Europa unita, neutrale, armata, nucleare e autarchica. Unita politicamente, cosa che oggi non è ma che dovrà necessariamente diventare perché nessun singolo paese può resistere, da solo, contro le grandi Potenze, sia quelle storiche, Stati Uniti e Russia, sia quelle cosiddette ‘emergenti’, Cina e India. Armata e nucleare non per aggredire nessuno, ma per poterci difendere autonomamente da eventuali minacce, senza dover ricorrere a pelose protezioni altrui. E in questo senso andrebbe tolto, a settant’anni dalla fine della guerra, l’anacronistico divieto alla Germania di essere una potenza nucleare laddove invece è possibile al Pakistan, all’India, a Israele, al Sud Africa e ad altri Stati minori. Neutrale per avere una giusta equidistanza fra Stati Uniti e Russia. Autarchica, attraverso un limitato protezionismo, per parare gli effetti più devastanti della globalizzazione.

Ritornando al discorso di Trump, sulla Nato e sul rapporto con gli altri Stati, mi pare che il prossimo inquilino della Casa Bianca abbia compreso che il ruolo centrale dell’America nella scacchiera del mondo è finito così come quello di ‘gendarme’ dell’ordine planetario. Questo a vantaggio certamente degli stessi Stati Uniti che non possono più permettersi certe spese e hanno bisogno di riequilibrare al proprio interno una situazione economica che da Bush padre fino a Obama, proprio per la pretesa di dominare l’universo mondo, è diventata disastrosa. Ma anche a vantaggio di tutti noi.

Questo è ciò che io spero dal magnate tanto maltrattato. Anche se, conoscendo i miei polli, so che almeno in Italia quasi tutti gli intellettuali e gli opinionisti che gli sono stati avversi, in poco tempo, sia con svolte plateali o più probabilmente con circonvoluzioni algoritmiche che lascino la porta aperta a rapidi ritorni, diventeranno ‘trumpisti’.

In ogni caso il successo di Trump cambia tutti i termini della geopolitica globale e, come ha detto Grillo, è una sorta di ‘vaffa’ mondiale, una ribellione delle genti contro le classi dirigenti, politiche, economiche, finanziarie che da decenni dominano la scena. Ed è anche una rivolta contro l’altezzoso senso di superiorità degli intellettuali che va di pari passo al loro eterno accodarsi ai poteri di turno. Ritengo, e in questo caso penso soprattutto all’Italia, che gli intellettuali siano più responsabili dei politici. Perché per il politico la menzogna, le mezze verità, l’ambiguità sono uno strumento del mestiere visto che, in democrazia, il suo primo obbiettivo è procacciarsi il consenso. L’intellettuale invece è libero di dire ciò che pensa. E quindi se si fa servo è doppiamente colpevole.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2016

 

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, chiunque le vincerà o al momento in cui scrivo le abbia già vinte, segnano, per il momento solo simbolicamente, la fine dell’Impero americano. E’ mai possibile che 300 milioni di americani non abbiano saputo trovare come loro rappresentante supremo, ‘il comandante in capo’ come si esprimono, che due personaggi così squallidi, per motivi diversi ma in fondo convergenti, come Hillary Clinton e Donald Trump? Tutta la campagna elettorale si è svolta a livelli rasoterra. E’ stata concentrata non sui programmi ma piuttosto sulle caratteristiche fisiche e antropologiche dei due candidati e dei loro sostenitori. Uno degli esponenti repubblicani, ostile a Donald Trump, ha accusato il tycoon di “averlo piccolo”. E basterebbe questo per rivalutare le elezioni di quel piccolo, modesto, caciarone Paese che è l’Italia. Nemmeno Berlusconi era arrivato a tanto. Lo slogan del Sessantotto era “pagherete caro, pagherete tutto”, io l’ho trasformato in “rimpiangerete caro, rimpiangerete tutto”, non solo Berlusconi, ma anche la vecchia, cara e troppo facilmente dimenticata Democrazia cristiana e forse persino Bettino Craxi che è stato il vero corruttore di questo Paese inaugurando la filiera che dal Cavaliere arriva fino a Matteo Renzi.

Per mia fortuna io non devo partecipare alle elezioni americane. Del resto non voto da quarant’anni nemmeno per quelle italiane, tranne un’eccezione per la prima Lega di Umberto Bossi. Però, se pistola alla tempia, mi si chiede di scegliere fra Donald Trump e Hillary Clinton, preferisco il primo. Per una serie di motivi. 1. Trump parla un linguaggio volgare ma diretto e franco, mentre quella madonnina infilzata di Hillary Clinton è molto più subdola e sotterranea. 2. Tutto il sistema finanziario e mediatico sta con Hillary (Borsa docet). Il che vuol dire che, paradossalmente e non so quanto volontariamente, il grande magnate rappresenta gli altri. 3. Non se ne può più della retorica per cui una donna, in quanto tale, è meglio di un uomo. E’ un razzismo sessuale rovesciato. Le tipe sono diventate intoccabili, bisogna attribuir loro sia le qualità femminili che quelle maschili. L’allenatore del Torino, il serbo Sinisa Mihajlovic, è stato messo sotto accusa dal Codacons per questa frase rivolta ai suoi giocatori: “non si può essere maschi in casa e femmine in trasferta”. Non ci si rende conto che in questo modo, credendo il contrario, si negano le qualità femminili della donna, e in fondo la donna stessa, che tutto può essere, se rimane una donna, fuorché virile. Hillary Clinton è una specie di ircocervo mostruoso per cui non è una donna ma nemmeno un uomo. E’ una sorta di ermafrodito e non credo affatto che abbia il favore delle donne americane, almeno di quella percentuale di donne che sono rimaste tali. 3. E’ il punto più importante e interessante. Storicamente i repubblicani, prima dell’avvento di George Bush, sono stati isolazionisti. Nella campagna elettorale di Trump questo elemento è apparso, sia pure qua e là, quando ha affermato che l’America ha speso milioni di dollari per avventure fallimentari in Afghanistan, in Iraq e insomma in tutto il Medio Oriente. Nessuno può sapere se Trump sia sincero in queste affermazioni. Se lo fosse l’Europa potrebbe tirare un grande sospiro di sollievo perché l’avventurismo americano si è rovesciato sul Vecchio Continente. Quindi via gli americani, raus, foera di bal e l’Europa ricominci a filarsi da sé la propria storia.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2016

N.B. L’articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano il 9 novembre 2016 è stato scritto, ovviamente, il giorno prima, e precisamente la mattina dell’8 novembre quando non si potevano conoscere i risultati delle presidenziali americane. (m.f.)

 

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Tutto il mondo guarda con il fiato sospeso all’esito delle prossime elezioni americane, in particolare il mondo occidentale che vede negli Stati Uniti, per utilizzare un’espressione di Paolo Guzzanti, condivisa da una totalizzante maggioranza, ‘il faro della nostra civiltà’.

E allora andiamola a vedere, necessariamente a volo d’uccello, la storia di questo ‘faro della civiltà’. Comincia con un vile (Winchester contro frecce) e spietato genocidio, non disdegnando l’uso delle ‘armi chimiche’ allora a disposizione, whisky per fiaccare l’integrità di un popolo altamente spirituale come i Pellerossa. Delle decine di milioni di nativi nordamericani oggi ne sono rimasti circa quattro. Inutile dire che tutta la letteratura e filmografia americana, e non solo, fino a Soldato blu, che è del 1970, ha dipinto i conquistatori come il ‘Bene’ che combatteva contro dei barbari e degli ‘scalpatori’(qualcosa del genere arieggia anche oggi in altre aree del mondo). Per la verità, almeno in Italia, molto prima di Soldato blu, era stato l’autore di fumetti Gianluigi Bonelli a riequilibrare un po’ le cose creando nel 1948 la figura di Tex Willer, alias ‘Aquila della Notte’.

L’America è stata l’ultimo Stato democratico ad abolire, nel 1865, la schiavitù scomparsa in Europa dalla caduta dell’Impero romano. E in questa speciale classifica negativa gli americani sono sorpassati solo dalla Mauritania, che notoriamente non è considerata un ‘faro della civiltà’ e all’epoca non era certamente un regime democratico, che l’abolì solo dieci anni dopo.

Gli Stati Uniti hanno avuto l’apartheid fino al 1964/1965. E avevano appena finito di abolirla che, col consueto moralismo a posteriori, si scagliavano contro l’apartheid sudafricana che qualche ragione in più ce l’aveva poiché 5 milioni di bianchi vivevano circondati da 20 milioni di neri. Peraltro negli Stati Uniti l’abolizione dell’apartheid sembra più formale che sostanziale, basta osservare l’impressionante sequenza di omicidi a danno degli afroamericani ad opera della polizia yankee.

Durante la Seconda guerra mondiale per precisa direttiva dei loro comandi politici e militari gli americani bombardarono appositamente, a Dresda, a Lipsia, a Stoccarda e a Berlino, la popolazione civile, facendo milioni di morti, “per fiaccare –come dissero- la resistenza del popolo tedesco”. Era la guerra, d’accordo. Ma allora il tambureggiante moralismo americano è inaccettabile quando in situazioni analoghe sono altri a infierire sui civili. Peraltro con gli americani non si sa mai dove finisca la loro violenza e la loro prepotenza e dove inizi la loro superficialità bellica. Quando bimbo di due anni arrivai a Milano la città era semidistrutta dai bombardamenti, si vedevano le facciate delle case con le loro orbite vuote, erano come delle quinte di teatro perché dietro non c’era nulla. In particolare fu bombardata l’area dove abito adesso in cui ora sorgono i famosi grattacieli, e più in là quella che allora veniva chiamata ‘l’isola di Milano’. Ma la Stazione centrale unico obbiettivo militare di quella zona rimase intatta. In Afghanistan, nonostante gli occhiutissimi mezzi a loro disposizione, sono decine le volte in cui hanno scambiato dei matrimoni per un raggruppamento di guerriglieri spazzando via, insieme agli sposi, le centinaia di persone che partecipavano a quel rito. Insomma, come sempre han fatto, bombardano ‘a chi cojo cojo’ col massimo disprezzo per le vite altrui.

Sono gli unici ad aver sganciato la Bomba Atomica, a guerra praticamente finita, prima su Hiroshima e tre giorni dopo, quando si sapeva bene quanto devastante fosse la scissione dell’atomo, su Nagasaki. E il pilota di Enola Gay quando seppe delle conseguenze di ciò che gli era stato ordinato di fare impazzì. Evidentemente era una brava persona. Questo lo dico anche per chiarire che il mio discorso non è contro il popolo americano, dove ci sono, come in ogni popolo, anche dei ‘bravi guaglioni’ ma contro i celebratissimi United States of America.

Non sono i soli ad aver usato le armi chimiche (ci siamo anche noi italiani, in Etiopia) ma certo lo hanno fatto in modo sistematico: napalm in Vietnam, proiettili all’uranio impoverito, che sono all’origine di migliaia di casi di cancro, in Bosnia, in Serbia, in Afghanistan, in Iraq. Perfino Hitler aveva rinunciato all’uso di queste armi, dopo le rovinose conseguenze sulla salute che avevano provocato durante la Prima guerra mondiale. E Khomeini durante la guerra Iraq-Iran proibì l’uso delle armi chimiche nonostante, dall’altra parte, Saddam Hussein, che le aveva avute proprio dagli Stati Uniti, le utilizzasse contro l’esercito iraniano.

Nel dopoguerra hanno fatto, in combutta con l’Unione Sovietica, decine di guerre per interposta persona o attacchi del tutto immotivati. Lo scrittore americano Gore Vidal ha contato in 166 gli attacchi degli Stati Uniti ad altri Stati non motivati da aggressioni. Il resto è storia recente che tutti conosciamo: attacco alla Serbia (1999), attacco all’Iraq (2003), attacco alla Libia (2011) cioè a Stati sovrani rappresentati all’Onu e contro la volontà della stessa Onu.

Anche sulla mitizzata democrazia americana c’è poi qualcosa da dire. Nel Paese più ricco, più potente del mondo, che gode ancora della rendita di posizione acquisita dopo la vittoria nella Seconda guerra mondiale, ci sono 36 milioni di poveri, il 9 percento della popolazione, homeless buttati sulla strada senza alcuna copertura sanitaria. E almeno negli ultimi tempi questa democrazia sembra essersi trasformata in un regime basato sulla dinastia del sangue: prima Bush padre poi Bush figlio, in seguito Clinton marito, ora, molto probabilmente, Clinton moglie, mentre già si prepara sulla pista di lancio Michelle Obama.

Se questo è ‘il faro della civiltà’ preferiamo farne a meno. Preferiamo “la vecchia e stanca Europa” come la definì sprezzantemente Colin Powell. Che non è monda di errori e orrori. Erano appena risuonate le sacre parole della Rivoluzione francese liberté, égalité, fraternité che cominciava il colonialismo sistematico dei francesi, degli inglesi, dei belgi. Ci sono poi i tredici anni della follia razzista di Hitler che è stata poi cinicamente utilizzata perché individuato nel Fuhrer “il Male Assoluto”, gli Stati Uniti (e altri con loro) si sono potuti permettere violenze che forse non erano “il male assoluto” ma gli assomigliavano molto. Ma insomma detto degli orrori compiuti dagli europei anche in tempi recenti a me sembra che l’Europa attraverso la filiera della cultura greca, di quella latina, di quella cristiano-medioevale, oltre che di quel Giano bifronte che è l’Illuminismo, qualcosa al mondo abbia dato. L’America non so.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2016