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Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, chiunque le vincerà o al momento in cui scrivo le abbia già vinte, segnano, per il momento solo simbolicamente, la fine dell’Impero americano. E’ mai possibile che 300 milioni di americani non abbiano saputo trovare come loro rappresentante supremo, ‘il comandante in capo’ come si esprimono, che due personaggi così squallidi, per motivi diversi ma in fondo convergenti, come Hillary Clinton e Donald Trump? Tutta la campagna elettorale si è svolta a livelli rasoterra. E’ stata concentrata non sui programmi ma piuttosto sulle caratteristiche fisiche e antropologiche dei due candidati e dei loro sostenitori. Uno degli esponenti repubblicani, ostile a Donald Trump, ha accusato il tycoon di “averlo piccolo”. E basterebbe questo per rivalutare le elezioni di quel piccolo, modesto, caciarone Paese che è l’Italia. Nemmeno Berlusconi era arrivato a tanto. Lo slogan del Sessantotto era “pagherete caro, pagherete tutto”, io l’ho trasformato in “rimpiangerete caro, rimpiangerete tutto”, non solo Berlusconi, ma anche la vecchia, cara e troppo facilmente dimenticata Democrazia cristiana e forse persino Bettino Craxi che è stato il vero corruttore di questo Paese inaugurando la filiera che dal Cavaliere arriva fino a Matteo Renzi.

Per mia fortuna io non devo partecipare alle elezioni americane. Del resto non voto da quarant’anni nemmeno per quelle italiane, tranne un’eccezione per la prima Lega di Umberto Bossi. Però, se pistola alla tempia, mi si chiede di scegliere fra Donald Trump e Hillary Clinton, preferisco il primo. Per una serie di motivi. 1. Trump parla un linguaggio volgare ma diretto e franco, mentre quella madonnina infilzata di Hillary Clinton è molto più subdola e sotterranea. 2. Tutto il sistema finanziario e mediatico sta con Hillary (Borsa docet). Il che vuol dire che, paradossalmente e non so quanto volontariamente, il grande magnate rappresenta gli altri. 3. Non se ne può più della retorica per cui una donna, in quanto tale, è meglio di un uomo. E’ un razzismo sessuale rovesciato. Le tipe sono diventate intoccabili, bisogna attribuir loro sia le qualità femminili che quelle maschili. L’allenatore del Torino, il serbo Sinisa Mihajlovic, è stato messo sotto accusa dal Codacons per questa frase rivolta ai suoi giocatori: “non si può essere maschi in casa e femmine in trasferta”. Non ci si rende conto che in questo modo, credendo il contrario, si negano le qualità femminili della donna, e in fondo la donna stessa, che tutto può essere, se rimane una donna, fuorché virile. Hillary Clinton è una specie di ircocervo mostruoso per cui non è una donna ma nemmeno un uomo. E’ una sorta di ermafrodito e non credo affatto che abbia il favore delle donne americane, almeno di quella percentuale di donne che sono rimaste tali. 3. E’ il punto più importante e interessante. Storicamente i repubblicani, prima dell’avvento di George Bush, sono stati isolazionisti. Nella campagna elettorale di Trump questo elemento è apparso, sia pure qua e là, quando ha affermato che l’America ha speso milioni di dollari per avventure fallimentari in Afghanistan, in Iraq e insomma in tutto il Medio Oriente. Nessuno può sapere se Trump sia sincero in queste affermazioni. Se lo fosse l’Europa potrebbe tirare un grande sospiro di sollievo perché l’avventurismo americano si è rovesciato sul Vecchio Continente. Quindi via gli americani, raus, foera di bal e l’Europa ricominci a filarsi da sé la propria storia.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2016

N.B. L’articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano il 9 novembre 2016 è stato scritto, ovviamente, il giorno prima, e precisamente la mattina dell’8 novembre quando non si potevano conoscere i risultati delle presidenziali americane. (m.f.)

 

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Tutto il mondo guarda con il fiato sospeso all’esito delle prossime elezioni americane, in particolare il mondo occidentale che vede negli Stati Uniti, per utilizzare un’espressione di Paolo Guzzanti, condivisa da una totalizzante maggioranza, ‘il faro della nostra civiltà’.

E allora andiamola a vedere, necessariamente a volo d’uccello, la storia di questo ‘faro della civiltà’. Comincia con un vile (Winchester contro frecce) e spietato genocidio, non disdegnando l’uso delle ‘armi chimiche’ allora a disposizione, whisky per fiaccare l’integrità di un popolo altamente spirituale come i Pellerossa. Delle decine di milioni di nativi nordamericani oggi ne sono rimasti circa quattro. Inutile dire che tutta la letteratura e filmografia americana, e non solo, fino a Soldato blu, che è del 1970, ha dipinto i conquistatori come il ‘Bene’ che combatteva contro dei barbari e degli ‘scalpatori’(qualcosa del genere arieggia anche oggi in altre aree del mondo). Per la verità, almeno in Italia, molto prima di Soldato blu, era stato l’autore di fumetti Gianluigi Bonelli a riequilibrare un po’ le cose creando nel 1948 la figura di Tex Willer, alias ‘Aquila della Notte’.

L’America è stata l’ultimo Stato democratico ad abolire, nel 1865, la schiavitù scomparsa in Europa dalla caduta dell’Impero romano. E in questa speciale classifica negativa gli americani sono sorpassati solo dalla Mauritania, che notoriamente non è considerata un ‘faro della civiltà’ e all’epoca non era certamente un regime democratico, che l’abolì solo dieci anni dopo.

Gli Stati Uniti hanno avuto l’apartheid fino al 1964/1965. E avevano appena finito di abolirla che, col consueto moralismo a posteriori, si scagliavano contro l’apartheid sudafricana che qualche ragione in più ce l’aveva poiché 5 milioni di bianchi vivevano circondati da 20 milioni di neri. Peraltro negli Stati Uniti l’abolizione dell’apartheid sembra più formale che sostanziale, basta osservare l’impressionante sequenza di omicidi a danno degli afroamericani ad opera della polizia yankee.

Durante la Seconda guerra mondiale per precisa direttiva dei loro comandi politici e militari gli americani bombardarono appositamente, a Dresda, a Lipsia, a Stoccarda e a Berlino, la popolazione civile, facendo milioni di morti, “per fiaccare –come dissero- la resistenza del popolo tedesco”. Era la guerra, d’accordo. Ma allora il tambureggiante moralismo americano è inaccettabile quando in situazioni analoghe sono altri a infierire sui civili. Peraltro con gli americani non si sa mai dove finisca la loro violenza e la loro prepotenza e dove inizi la loro superficialità bellica. Quando bimbo di due anni arrivai a Milano la città era semidistrutta dai bombardamenti, si vedevano le facciate delle case con le loro orbite vuote, erano come delle quinte di teatro perché dietro non c’era nulla. In particolare fu bombardata l’area dove abito adesso in cui ora sorgono i famosi grattacieli, e più in là quella che allora veniva chiamata ‘l’isola di Milano’. Ma la Stazione centrale unico obbiettivo militare di quella zona rimase intatta. In Afghanistan, nonostante gli occhiutissimi mezzi a loro disposizione, sono decine le volte in cui hanno scambiato dei matrimoni per un raggruppamento di guerriglieri spazzando via, insieme agli sposi, le centinaia di persone che partecipavano a quel rito. Insomma, come sempre han fatto, bombardano ‘a chi cojo cojo’ col massimo disprezzo per le vite altrui.

Sono gli unici ad aver sganciato la Bomba Atomica, a guerra praticamente finita, prima su Hiroshima e tre giorni dopo, quando si sapeva bene quanto devastante fosse la scissione dell’atomo, su Nagasaki. E il pilota di Enola Gay quando seppe delle conseguenze di ciò che gli era stato ordinato di fare impazzì. Evidentemente era una brava persona. Questo lo dico anche per chiarire che il mio discorso non è contro il popolo americano, dove ci sono, come in ogni popolo, anche dei ‘bravi guaglioni’ ma contro i celebratissimi United States of America.

Non sono i soli ad aver usato le armi chimiche (ci siamo anche noi italiani, in Etiopia) ma certo lo hanno fatto in modo sistematico: napalm in Vietnam, proiettili all’uranio impoverito, che sono all’origine di migliaia di casi di cancro, in Bosnia, in Serbia, in Afghanistan, in Iraq. Perfino Hitler aveva rinunciato all’uso di queste armi, dopo le rovinose conseguenze sulla salute che avevano provocato durante la Prima guerra mondiale. E Khomeini durante la guerra Iraq-Iran proibì l’uso delle armi chimiche nonostante, dall’altra parte, Saddam Hussein, che le aveva avute proprio dagli Stati Uniti, le utilizzasse contro l’esercito iraniano.

Nel dopoguerra hanno fatto, in combutta con l’Unione Sovietica, decine di guerre per interposta persona o attacchi del tutto immotivati. Lo scrittore americano Gore Vidal ha contato in 166 gli attacchi degli Stati Uniti ad altri Stati non motivati da aggressioni. Il resto è storia recente che tutti conosciamo: attacco alla Serbia (1999), attacco all’Iraq (2003), attacco alla Libia (2011) cioè a Stati sovrani rappresentati all’Onu e contro la volontà della stessa Onu.

Anche sulla mitizzata democrazia americana c’è poi qualcosa da dire. Nel Paese più ricco, più potente del mondo, che gode ancora della rendita di posizione acquisita dopo la vittoria nella Seconda guerra mondiale, ci sono 36 milioni di poveri, il 9 percento della popolazione, homeless buttati sulla strada senza alcuna copertura sanitaria. E almeno negli ultimi tempi questa democrazia sembra essersi trasformata in un regime basato sulla dinastia del sangue: prima Bush padre poi Bush figlio, in seguito Clinton marito, ora, molto probabilmente, Clinton moglie, mentre già si prepara sulla pista di lancio Michelle Obama.

Se questo è ‘il faro della civiltà’ preferiamo farne a meno. Preferiamo “la vecchia e stanca Europa” come la definì sprezzantemente Colin Powell. Che non è monda di errori e orrori. Erano appena risuonate le sacre parole della Rivoluzione francese liberté, égalité, fraternité che cominciava il colonialismo sistematico dei francesi, degli inglesi, dei belgi. Ci sono poi i tredici anni della follia razzista di Hitler che è stata poi cinicamente utilizzata perché individuato nel Fuhrer “il Male Assoluto”, gli Stati Uniti (e altri con loro) si sono potuti permettere violenze che forse non erano “il male assoluto” ma gli assomigliavano molto. Ma insomma detto degli orrori compiuti dagli europei anche in tempi recenti a me sembra che l’Europa attraverso la filiera della cultura greca, di quella latina, di quella cristiano-medioevale, oltre che di quel Giano bifronte che è l’Illuminismo, qualcosa al mondo abbia dato. L’America non so.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2016

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Ora l’WMO, l’Organizzazione meteorologica mondiale, la più antica istituzione del mondo sul clima fondata nel 1873, diventata agenzia delle Nazioni Unite, certifica ufficialmente che dalla Rivoluzione industriale in poi la temperatura del pianeta è aumentata di 2 gradi centigradi. Cosa che produce fenomeni inquietanti, sia nell’immediato e soprattutto nel futuro, come la contrazione dei ghiacciai, l’innalzamento dei mari, la riduzione della terra disponibile, fenomeni meteorologici imprevisti e disastrosi. Ma aldilà di questi grandi eventi geofisici ci sono le conseguenze del ‘qui ed ora’ sulla nostra salute. Prendiamo un fenomeno marginale ma significativo dell’intera questione. Quando ero giovane, e quindi non parliamo di epoche pleistoceniche, le allergie praticamente non esistevano o comunque erano casi assai rari. Oggi non c’è quasi ragazzo o ragazza che non ne sia affetto (allergie alimentari, allergie stagionali e tutta un’altra serie di risposte ad un ambiente che ci fa star male). Tutta questa serie di fenomeni, sia quelli macro che quelli micro, sono dovuti allo straordinario, e in velocissima progressione, aumento dell’anidride carbonica, Co2, nell’atmosfera. Chi è responsabile di questo aumento? La produzione industriale, come ci dice chiaramente e finalmente il report dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Per tamponare il fenomeno si pensa ad ogni sorta di soluzioni, a cominciare dalle cosiddette ‘energie rinnovabili’. Ma nessuna energia applicata in modo massivo è innocente e indolore. Un paio di decenni fa in una regione fra Olanda e Belgio sfruttando il vento impetuoso del mare del Nord (motivo per cui i belgi e gli olandesi sono stati protagonisti del recente campionato del mondo di ciclismo che si correva in Qatar, dove il percorso era totalmente pianeggiante ma le difficoltà venivano dal vento fortissimo, ora a favore, ora contro) furono costruite trecento enormi torri eoliche. Gli abitanti ne uscirono quasi pazzi, per due motivi, uno culturale, erano abituati ad avere davanti a sé una pianura sterminata e si trovavano invece questi Gulliver che chiudevano l’orizzonte, l’altro molto pratico: il rumore era assordante. Insomma all’inquinamento climatico si sostituiva quello acustico. Il problema quindi è la massa. Un foglio di carta in una casa non dà problemi, un quintale di fogli di carta ti rendono difficile respirare.

Naturalmente c’è anche chi ha visto in questo innalzamento della temperatura del pianeta una formidabile occasione economica (e come poteva essere diversamente?) come il commendevole professor Claudio Carraro, vicepresidente dell’Ipcc, l’organismo dell’Onu sui cambiamenti climatici: “in Olanda in previsione dell’aumento del livello del mare stanno già intervenendo realizzando ad esempio colline sotto le quali insediano linee ferroviarie e altri impianti necessari alla vita civile”. Evviva.

In realtà c’è un’unica soluzione per tentare di salvare l’equilibrio del pianeta e, con esso, la nostra pelle: ridurre la produzione. Smetterla di inventarci oggetti assolutamente inutili di cui la pubblicità ci dà puntualmente ed entusiasticamente conto, di inventarci bisogni di cui l’uomo non ha mai avuto alcun bisogno. Dobbiamo rinunciare al mito demenziale delle crescite esponenziali e come suggeriscono alcune inascoltate correnti di pensiero americane, il bioregionalismo e il neocomunitarismo, ritornare “in modo ragionato, graduale e limitato a forme di autoproduzione e autoconsumo che passano per il recupero della terra e l’inevitabile ridimensionamento drastico dell’apparato industriale e finanziario”. Ma business is business. E in nome di questo Dio, il Dio Quattrino, il solo ormai riconosciuto, questo tumore dell’universo che è diventato l’uomo farà la fine che si merita e di cui avvertiamo solo ora, e con grandissimo ritardo, le prime avvisaglie.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 29 ottobre 2016