La Lega e il 5Stelle sono i due soli movimenti antisistema nati in Italia nell'ultimo quarto di secolo. Fra la Lega delle origini e il movimento di Grillo ci sono parecchie affinità: la lotta alla partitocrazia, alla lottizzazione, all'occupazione arbitraria della Rai, alla corruzione, la riscoperta dell'identità e delle radici. Non stupisce quindi che Grillo abbia riesumato l'antica idea Bossi-Miglio delle macroregioni. L'ipotesi Bossi-Miglio, assolutamente ragionevole, perchè una grande area, omogenea per economia, socialità, storia, costume, tradizioni, clima, ha tutto l'interesse, che non è solo economico, a svilupparsi, o anche a non svilupparsi, secondo le sue vocazioni più profonde, fu ferocemente avverstata dai partiti («le tre Repubblichette») che capivano benissimo che le macroregioni avrebbero tolto loro una buona fetta di potere. E del resto la Lega non fece quasi nulla per far capire alla gente del Sud che se il Meridione era diventato un peso economicamente non più sostenibile per il resto del Paese, d'altro canto l'unità d'Italia, guardata nel corso del suo secolo e mezzo di vita, aveva danneggiato il Sud molto più del Nord che lo aveva colonizzato col suo devastante e totalmente deficitario industrialismo ('le cattedrali nel deserto') , espropriandolo anche, ai propri fini, delle sue energie migliori e più sane costrette a salire a Milano, a Torino, a Genova. L'ipotesi Bossi-Miglio si è così trasformata, tanto per dare un contentino alla Lega, nell'ipotesi di un federalismo spalmato su una ventina di Regioni che non solo non ha alcun senso ma è dannoso. Perchè una macroregione può fare programmi di un certo respiro una piccola, poniamo l'Umbria o il Molise, da sola non va da nessuna parte. E questo federalismo è dannoso perchè costa più di quanto non risparmi.
Oggi però la partitocrazia, dopo vent'anni di scandali igniominiosi e di un'altrettanto ignominiosa inefficenza, con un'astensione alle stelle, un governo tenuto su con lo sputo, è molto più debole di allora. E' quindi possibile che quello che non è riuscito a Bossi riesca a Grillo.
Però Grillo, come il Matteo Salvini che ne ha accolto con favore quella che, al solito, viene chiamata una 'provocazione', ma provocazione non è, è un'idea, un progetto, c'è una contraddizione. Bossi e Miglio guardavano lontano. Ad un'Europa politicamente unita dove i punti di riferimento periferici non sarebbero stati gli Stati nazionali, che sarebbero scomparsi, ma, appunto, le macroregioni. Ora, sia Grillo sia, più moderatamente, Salvini, sono antieuropeisti. Invece un'Europa politicamente unita è essenziale anche per il progetto delle macroregioni. Sullo stesso blog di Grillo c'è chi lo ha contestato: «Mentre tutti si aprono e i confini diventano interplanetari, il grande pioniere della democrazia e della società del futuro vuole tornare indietro». E' così. Grillo è un antimodernista, sia pur un po' confusionario. Ciò che, oggi, ci sta strangolando tutti è proprio la 'globalizzazione interplanetaria' più di quanto farebbe un'Europa, secondo la mia formula, «unita, neutrale, armata, nucleare ed economicamente autarchica» che ci porrebbe perlomeno al riparo dagli effetti più devastanti, anche sul piano umano, della globalizzazione. Una società del futuro non può che essere un ritorno, sia pur graduale, limitato e ragionato, al passato. L'Italia migliore, in economia, nelle arti figurative, in letteratura, è stata quella dei Comuni, delle Repubbliche marinare, dei Ducati e dei Granducati. Sulla storia dell'Italia unitaria, ha ragione Grillo, è meglio stendere un velo pietoso.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 14 marzo 2014
Paolo Guzzanti in un articolo titolato 'Il vizietto russo del carro armato' (Il Giornale, 2/3), che inizia così «Da quando ho memoria i russi per loro natura invadono», ci ricorda ciò che tutti noi, se si ha una certa età, ricordiamo: i carri armati russi contro gli operai a Berlino Est (1953), la sanguinosa repressione della rivoluzione ungherese del 1956, bollata dai comunisti italiani come una 'rivolta di elementi nazifascisti' (così la liquidò anche il mio professore di Storia al Berchet, Daziano, suscitando un tumulto fra noi ginnasiali), la timida 'primavera di Praga' del 1968 soffocata anch'essa dai blindati sovietici.
Il caso dell'Ucraina è però un po' diverso. Non c'è stata perlomeno la ripugnante ipocrisia della 'chiamata in aiuto di un Paese fratello', il presidente ucraino Janukovich, filorusso, che aveva regolarmente vinto le elezioni del 2010 col 51,8% era stato rovesciato da un golpe, sia pur popolare, la Crimea, a differenza dell'Ungheria e della vecchia Cecoslovacchia, confina con la Russia e, per ragioni storiche, è abitata nella stragrande maggioranza da russi o da russofoni. Ma la questione non è nemmen questa. Guzzanti è l'espressione di quello che ho chiamato 'il vizio oscuro dell'Occidente' che vede le nefandezze altrui, anche molto remote, e dimentica disinvoltamente le proprie, assai più recenti. Se i russi hanno 'il vizietto dei carri armati', gli americani, e i loro alleati, hanno quello dei cacciabombardieri, che sono anche un po' peggio perchè ai carri armati la popolazione può fare in qualche modo opposizione, agli aerei, che sganciano bombe da migliaia di metri di altezza, no. Ma lasciamo perdere il frillo Guzzanti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha affermato: «I russi invadono un altro Paese sulla base di pretesti fabbricati ad arte» e ha lamentato, come gli alleati europei, «la violazione del territorio di uno Stato sovrano». Ebbene che cos'è stato nel 1999, quando l'11 settembre era ancora di là da venire, il bombardamento per 72 giorni di una grande capitale europea, Belgrado, se non la violazione dell'integrità di uno Stato sovrano, la Serbia, che aveva i suoi problemi interni come oggi ha l'Ucraina, con la differenza che in quell'occasione ci furono 5500 morti? Che cos'è l'invasione dell'Afghanistan (2001) e la sua occupazione mantenuta prevalentemente con l'uso dell'aviazione e con gli aerei-robot, i Dardo senza pilota ed equipaggio ma armati di missili, in una guerra che dura da 13 anni ed è la più lunga dai tempi di quella dei Trent'anni (più di 100 mila morti civili)? Che cos'è l'aggressione all'Iraq nel 2003 se non l'invasione «di un Paese sulla base di pretesti fabbricati ad arte», nel caso le 'armi di distruzione di massa' che Saddam non aveva più perchè, dopo che Stati Uniti, Francia e Urss, gliele avevano fornite, il rais di Baghdad le aveva usate sui curdi e i soldati iraniani (160 mila morti nella guerra all'Iraq)? Che cos'è l'aggressione alla Somalia (2006/2007), via Etiopia (Paese di specchiata rispettabilità democratica), perchè le Corti Islamiche avevano avuto il torto di sconfiggere 'i signori della guerra' locali e di aver riportato un po' di ordine e di unità in quel Paese? Che cos'è l'aggressione alla Libia (2011) per togliere di mezzo un dittatore, che qualche seguito nel suo popolo ce l'aveva, e mettere al suo posto non si sa bene chi?
A Paolo Guzzanti suona «terribile il cingolo dei carri armati». A me il rombo dei bombardieri.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2014
«Di solito non leggo l'intervento di Massimo Fini (preferisco Gervaso e la Graziottin), non solo perchè il suo cognome mi ricorda il tradimento, ma soprattutto per la sua aperta simpatia per i talebani. L'articolo del 28/2 ha però risvegliato il mio interesse. Mi riconosco in molte delle sue affermazioni, specie quando critica i nostri politici (in questo momento è anche particolarmente facile farlo), quando sottolinea la loro incapacità (o mancanza di volontà) di risolvere i problemi del Paese...Non condivido gli attacchi sul piano personale («gli occhi da serpente») che nulla hanno a che vedere con una valutazione dell'impegno e dell'entusiasmo dimostrati dal nuovo premier...Ma sappiamo che Renzi è comunista e le scelte saranno coerenti col suo credo politico. I comunisti se hanno le mani in tasca l'hanno stretta a pugno. Siamo tutti curiosi e sospettosi, a destra e a sinistra, sul futuro del nostro paese sotto la sua guida.
Vorrei infine confessare che sono d'accordo con Massimo Fini sul fatto che i talebani hanno coraggio fisico e morale. Ci vuole tanto coraggio fisico e morale per distruggere a cannonate incredibili tesori artistici. Ci vuole tanto coraggio fisico e morale per uccidere decine di persone per impedire le vaccinazioni ai bambini. Ci vuole tanto coraggio fisico e morale per massacrare le donne a sassate in mezzo alla strada. E' proprio vero, e cito le sue parole, che «il prestigio si conquista con le azioni», non certo con le cattiverie scritte seduti comodamente davanti al computer». Prof. Luciano Bevilacqua
Non ci vuole coraggio, nè fisico nè morale, per combattere una guerriglia, che non possiede contraerea, quasi esclusivamente con l'aviazione facendo, nella confusione, più di 100 mila vittime civili, vecchi, donne e bambini compresi. Non ci vuole coraggio, nè fisico nè morale, per uccidere con un missile dieci bambine, dai 9 agli 11 anni, che stavano facendo legna in un bosco, scambiandole per guerriglieri (Nangarhar, 18/12/2012, ma è solo un episodio fra mille). Non ci vuole coraggio, nè fisico nè morale, a lanciare dagli aerei senza pilota e senza equipaggio, i Dardo, missili assassini standosene a 10 mila chilometri di distanza, a Nellis nel Nevada.
Ci vuole invece tanto, troppo, coraggio, fisico e morale, a tener testa per 13 anni (la guerra più lunga che si ricordi nella Modernità), in una condizione di totale inferiorità militare, al più potente, tecnologico e robotico esercito del mondo, appoggiato, per sopramercato, anche dalla Russia e dall'Iran.
Ritenere Matteo Renzi un comunista è un insulto, non a Renzi ma ai comunisti italiani che, pur con tutte le loro nefandezze e menzogne, erano per lo meno una cosa seria.
Quanto a me di coraggio, almeno morale, ne ho dimostrato in dosi industriali mettendomi contro da trent'anni (e non da ora, da ieri o l'altro ieri) la partitocrazia, ogni genere di lobby, lasciando la mia classe d'origine, la borghesia, e ottenendo l'ostilità di buona parte del giornalismo italiano. Se avessi avuto un po' meno coraggio avrei avuto una vita molto più facile, personale e professionale, e non avrei dovuto saltabeccare da un giornale all'altro per trovare spazi di libertà.
Eppoi basta con questa storia di criticare stando «seduti comodamente davanti al computer». Appartengo a un'altra generazione di giornalisti. Non uso il computer e per trenta dei miei quarant'anni di carriera ho fatto il cronista, poi l'inviato, in Italia e all'estero, alzando quasi ogni giorno il culo dalla sedia, cosa che non mi pare di poter dire per molti dei miei più giovani colleghi.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 7 marzo 2014