In Sardegna è andato a votare il 52% dei cittadini, contro il 67% delle precedenti regionali e il 68% delle politiche. Se si tiene conto che il 20% si è disperso fra la decina di movimenti indipendentisti, che sono antisistema, si ottiene che solo il 30% è a favore dell'attuale regime, il 70% è contro. La situazione sarda è parallelabile, sia pur in termini meno clamorosi, a quella italiana come dimostrano alcune recenti tornate amministrative.
Cosa contesta questa enorme massa di italiani? La democrazia? No, un sistema che, nell'arco di mezzo secolo, è venuto degenerando in partitocrazia che della liberaldemocrazia è l'esatto opposto, finendo per occupare tutto l'occupabile, giù giù fino ai Consigli di circolo didattico, che sono le associazioni dei genitori all'interno degli istituti scolastici. Anche lì i partiti cercano di mettere persone a loro gradite.
La crisi non è tanto e soltanto di uomini. Anche fra coloro che fanno politica ci sono, pur sempre di meno, delle persone perbene (ma quei geni del Pd sono riusciti a far fuori uno dei loro uomini migliori, Enrico Letta, serio, presentabile, che ci ha restituito un minimo di credibilità internazionale, a favore di Matteo Renzi che è una copia sbiadita di Berlusconi, uno che gioca tutto sull'immagine). La crisi è di sistema. Prendiamo come emblema, ma solo come tale, la Rai. La Rai è un ente di Stato e appartiene quindi a tutti i cittadini. Invece appartiene ai partiti. Tutti sappiamo che non c'è usciere, in Rai, che non sia lottizzato. Naturalmente ai livelli più alti, quelli dei conduttori e dei direttori di Rete, non è necessario prendere una tessera, sarebbe anzi controproducente, ma dimostrare nei fatti la propria appartenenza. Noi ci scandalizziamo per gli emolumenti e i benefits di cui godono i parlamentari, gli amministratori regionali, provinciali, comunali. Ma almeno quelli sono dei rappresentanti delle Istituzioni. Fabio Fazio che è un comune cittadino, ma ben incistato in un'appartenenza politica, prende cinque milioni e mezzo di euro l'anno dalla Rai più un gettone di 600 mila per presentare quel caravanserraglio che è il Festival di Sanremo. Un professore universitario, in quarant'anni di carriera guadagna, si e no, un milione e mezzo. Chi è Fabio Fazio? Un pilota di Formula Uno che ha delle capacità irripetibili? Un calciatore, alla Totti, che sa fare col pallone cose che nessun altro sa fare? No, è uno che fa un mestiere che chiunque dei nostri figli, purchè abbia un po' di faccia tosta unita naturalmente a delle aderenze politiche, potrebbe fare. Il discorso riguarda ovviamente tutta la 'fairy band' che evoluisce allegramente sulle televisioni di Stato, profumatamente pagata, con i nostri soldi, da cittadini da mille euro al mese, perchè la Rai è perennemente in rosso.
Ho preso la Rai solo come simbolo, per la sua macroscopica evidenza. Ma la questione riguarda l'intero sistema-Paese, di una democrazia che solo formalmente è ancora tale.
In Ucraina una parte della popolazione si è rivoltata contro il presidente Janukovich che pur è legittimato dalle elezioni, avendo l'appoggio di tutto l'Occidente 'democratico'. Anche il popolo italiano dovrebbe trovare la forza e la vitalità di ribellarsi senza lasciare la contestazione radicale al solo Grillo. Altrimenti continueremo a rimanere asini al basto, pecore da tosare a frutto dei vari 'lorsignori' che non sono solo i politici ma i loro interessati affiliati. Sudditi, per usare le parole di Lucio Sergio Catilina, « di coloro cui faremmo paura sol che la democrazia esistesse davvero».
Massimo Fini
Il Gazzettino, 21 febbraio 2014
Negli anni 50 ci fu una dura battaglia contro quella che venne chiamata la 'legge truffa', con la quale si voleva attribuire un premio di maggioranza al partito che fosse risultato primo alle elezioni. Sapete qual era la soglia per accedere al premio? Il 50,1% dei voti. Era una legge ragionevole per mettere al riparo il governo dalle imboscate di un pugno di ascari. Ma non passo'.
La nuova legge elettorale, concordata fra Berlusconi e Renzi, peraltro ancora in stand by, prevede una soglia del 37%. I sondaggi danno Forza Italia in ascesa, anche grazie al consueto autocannibalismo di cui si nutre la cosiddetta sinistra, e col Ncd e altre frattaglie potrebbe portare il cosiddetto centrodestra oltre la soglia del fatidico 37% e quella coalizione risultare prima e godere dell'abnorme premio di maggioranza. Chi è il leader indiscusso del centrodestra? Berlusconi. A chi dovrebbe essere affidato l'incarico di premier? A Berlusconi. Sarebbe la prima volta al mondo che un condannato, in fase, almeno formalmente, di espiazione della pena, fa il presidente del Consiglio di un Paese democratico o anche non democratico. Dice: non è giuridicamente possibile. Abbiamo imparato ormai che in Italia tutto è possibile. Intanto, nonostante la sentenza di condanna risalga al I° agosto del 2013, per il momento Berlusconi non sta scontando alcuna pena, è a piede libero ed evoluisce come vuole incontrando anche rappresentanti delle Istituzioni, ministri e, a quanto pare, persino il Presidente della Repubblica. Inizierà il percorso penitenziale dei servizi sociali solo il 10 aprile, percorso che si concluderà, se va bene, il prossimo agosto ad un anno esatto della sentenza di condanna. Da quel momento comincierà ad espiare la pena, ma godrà di ampi spazi di libertà e di movimento concessigli dal Giudice di Sorveglianza. Non si vorrà mica impedire a un premier di partecipare alle sedute del Consiglio dei ministri? Dice: ma c'è l'interdizione dai pubblici uffici. Intanto questa interdizione, nell'eterno rimpallo fra l'Appello e Cassazione, non è ancora arrivata. E quando arriverà ci potrebbe essere un ricorso sospensivo a una qualche Corte europea.
Questa narrazione è solo di poco forzata. Perchè di fatto, se non di diritto, il 'delinquente naturale' continua a determinare la politica italiana.
Chi ha la mia età è cinquant'anni che assiste a staffette, vere o ipotizzate, agguati, congiure, Midas, lotte di correnti, a governi balneari, istituzionali, tecnici, a crisi extraparlamentari, a solenni promesse di 'cambiamento' (parola magica, taumaturgica, che ci rimbomba nelle orecchie e che leggiamo sui giornali da almeno mezzo secolo) e di riforme. In realtà sono tutte lotte per il potere in cui quel «bene del Paese» di cui costoro si riempiono sempre la bocca non c'entra nulla. Quando si sente messo alle strette il sistema si inventa qualche 'homo novus'. Ma i 'giovani quarantenni' di oggi non sono affatto nuovi, e meno di tutti lo è il 'novissimo' Matteo Renzi, sono espressione dell'eterna partitocrazia italiana.
Questa classe politica è talmente sgangherata, e ha infiltrato la burocrazia, asse portante di ogni Paese, di partitanti, che non è più nemmeno capace di fare le leggi. Le deve fare la Consulta correggendone gli errori e sostituendosi al legislatore. Michele Ainis, sul Corriere, ne dà un florilegio: dalla legge elettorale alla Fini-Giovanardi.
A Intelligonews ho detto che se la crisi economica si acuirà ulteriormente il popolo italiano, svegliandosi di soprassalto dal suo torpore, potrebbe dare il via a una rivolta 'alla tunisina'.
«Lei ne vede il rischio?» mi ha chiesto la gentile intervistatrice.
«Non è un rischio. E' una speranza» ho risposto.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 15 febbraio 2014
Qualche giorno fa in via Domenico Capitelli, nel centro di Napoli, una donna è vittima di un tentativo di scippo da parte di un malvivente che a bordo di uno scooter cerca di strapparle la borsetta. Lei resiste, il malintenzionato perde il controllo e cade a terra. Intorno i passanti assistono indifferenti alla scena. Solo un giovane clochard, seduto a mendicare, scatta d'istinto, rincuora la donna in stato di choc, prende a male parole l'aggressore finché è a terra e quando costui risale sullo scooter tenta di stopparlo, senza peraltro riuscirci. Dirà poi il mendicante, un senegalese di nome Benjamin, ai giornalisti che già lo definiscono un 'eroe': «Non ci trovo nulla di strano. Quando vedi qualcuno in difficoltà ti viene naturale cercare di aiutarlo».
Sulla A4, fra i caselli di Dalmine e Bergamo, una macchina perde il controllo, va a sbattere contro il guard rail e resta ferma nel bel mezzo di quell'autostrada trafficatissima. A bordo c'è una bambina di otto anni gravemente ferita. Sopraggiunge un Tir. Il camionista capendo che l'auto ferma corre il rischio di essere presa in pieno da altre macchine mette il suo mezzo di traverso per proteggerla. Aspetta che arrivino polizia e ambulanza, poi se ne va. Il camionista, subito ribattezzato 'l'Angelo della strada', verrà rintracciato il giorno dopo. E' un rumeno di 29 anni, Ion Purice.
A Cagliari una donna di mezz'età inciampa sui gradini di un parcheggio, capitombola, batte la testa, perde sangue. Dall'altra parte della strada tre uomini hanno visto tutto, ma non alzano paia, entrano in un bar. La donna, tamponandosi il sangue con un fazzoletto, chiede aiuto a una distinta signora che ha appena parcheggiato. «No, ho fretta». Si avvicina una extracomunitaria, forse una prostituta, «Ti hanno picchiata o sei caduta?». Le sta vicina, la conforta e aspetta con lei il taxi che la donna ha chiamato.
A Bollate, nell'hinterland milanese, una ragazzina di 16 anni ne aggredisce una di 14, pare per motivi di gelosia. La prende a schiaffi e pugni, la afferra per i capelli, la trascina a terra dove la prende ancora a calci, anche in testa. La vittima grida, chiede disperatamente aiuto. Intorno i ragazzi, maschi, non intervengono, incitano anzi la 'bulla', ridono, scherniscono la vittima, battuta e umiliata. E' una scena che abbiamo visto tutti in Tv.
Che cosa ci raccontano queste storie? Che noi italiani abbiamo perso vitalità, istintualità, coraggio, solidarietà, valori elementari, antropologici. Immersi nella grascia del benessere, timorosi di tutto, non siamo disposti a rischiare nulla. Nevrotizzati, non siamo disposti a dare nulla («No, ho fretta»).
Negli anni '50 noi ragazzini, divisi per bande, ci prendevamo a botte quasi tutti i giorni. Prima, per quel che mi riguarda, nella periferica via Washington, poi nella più elegante zona Repubblica che pero' era adiacente all' 'isola di Milano', un 'terrain vague' adattissimo a quelle zuffe. Pero' c'erano delle regole. Solo cazzotti, niente calci. Se il 'nemico' cadeva a terra non lo si poteva più toccare. Se la cosa pareva più grave del solito ci fermavamo tutti per soccorrerlo, come si fa oggi sui campi di calcio quando un giocatore si fa male seriamente. Finchè ho vissuto in periferia episodi di 'bullismo' non ne ho visti, in Repubblica qualche volta si', da parte dei cosiddetti 'figli dei giornalisti' (i giornalisti avevano fatto una piccola speculazione sapendo che di li' a poco in quella zona sarebbe sorta la 'city'). Ma in linea generale la regola era che il più debole va protetto. E chi si azzardava a schernirlo prendeva un sacco di botte. Era la nostra 'educazione sentimentale', fatta sulla strada. Insomma ragazzini o adulti che fossimo avevamo un'etica, magari rozza, ma un'etica. Ma quella era un'altra Milano. E un'altra Italia.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 14 febbraio 2014