Michele Emiliano, sindaco di Bari, ha proposto di sottrarre ai genitori mafiosi i loro figli «perchè i mafiosi non possono essere custodi di valori positivi». Credo che neanche Pol Pot sia arrivato a tanto.
Questo è lo Stato etico, contro cui i liberali si sono sempre battuti e che gli pseudoliberali di oggi tentano ad ogni momento di reintrodurre, che vuole imporre con la forza i propri valori a cittadini non più tali, ma diventati sudditi. E' lo Stato fascista, nazista, sovietico, cambogiano. Un concetto come quello espresso dal sindaco di Bari, sia pur con le migliori intenzioni (ma si sa che l'Inferno è lastricato di buone intenzioni), non dovrebbe esistere in una liberaldemocrazia.
Premetto che se c'è un mondo che mi fa orrore è quello mafioso. Non perchè è criminale -di criminali in giro ce ne sono a carrettate- ma perchè fa moralmente schifo. Il mafioso mette nell'acido il bambino sequestrato e poi la sera si commuove ascoltando 'My way' di Frank Sinatra. Bisogna essere almeno all'altezza delle proprie cattive azioni. Preferisco i nazisti. Sono più coerenti nella loro crudeltà.
La proposta del sindaco di Bari è pericolosa perchè, come ogni volta che si sfonda un principio, si sa dove si comincia ma non dove si va a finire. Si comincia con i figli dei mafiosi, si continua con i figli di soggetti considerati 'viziosi' (cocainomani, alcolisti, ludo dipendenti, eccetera) e si finisce col sottrarre i figli «alle famiglie povere che hanno problemi educativi» come si esprime lo stesso Emiliano (cosa che peraltro è già successa come se la povera gente fosse più incapace di educare i propri figli delle madri delle 'parioline' che spingevano le loro 'bambine' a prostituirsi).
La mafia si combatte innanzitutto con la repressione. L'unico a provarci seriamente fu il fascismo che, col prefetto Mori, la sbaraccò. Perchè un regime forte non tollera al proprio interno altri poteri forti (è lo stesso motivo per cui Saddam Hussein non ne voleva sapere di avere Bin Laden fra i piedi). Purtroppo pur di sconfiggere il fascismo gli americani si servirono della mafia siciliana che, in un paio di giorni, gli aprì l'isola come una scatola di sardine. E queste cose si pagano. Da allora la debole democrazia italiana ha dovuto avere rapporti con la mafia. Non solo Andreotti, contro cui si accanisce Marco Travaglio, ma proprio tutti i politici compreso l'integerrimo La Malfa (quello vero, Ugo) attraverso il suo uomo in Sicilia, Gunnella.
L'altro modo per combattere la mafia è culturale. Ma qui sta il punto. La mafia di oggi ci fa particolarmente orrore perchè ammazza bambini e donne e ha perso anche i suoi antichi codici. Ma la malavita, si tratti di mafia, di camorra, di criminalità finanziaria, non è che il riflesso malato della società civile. E una società senza dignità e senza onore, qual'è, in tutti i settori, la nostra, non può che produrre una malavita senza dignità e senza onore.
Il sindaco Michele Emiliano ritorni in sè. O saremo costretti, poichè parla di genitori «incapaci di essere custodi di valori positivi per i figli», a sottrarre a Silvio Berlusconi la partia potestà su Pier Silvio, Marina, Barbara e il famoso nipotino, lasciandogli solo Dudù (ma anche i cani possono essere influenzati dalle cattive compagnie).
Massimo Fini
Il fatto Quotidiano, 22 marzo 2014
La notizia, in sè, non è di quelle che dovrebbero fare particolare rumore da noi, visto che il fatto è avvenuto in un'altro Paese. Uli Hoeness, a suo tempo grande calciatore, divenuto in seguito prestigioso e ricchissimo presidente del Bayern contribuendo a portare quella società ai più alti livelli europei, condannato a tre anni di carcere per una frode fiscale di 27,2 milioni, non solo si è immediatamente dimesso da tutte le sue cariche ma ha rinunciato a interporre appello, cosa che gli avrebbe consentito di guadagnare tempo. «Ho sbagliato ed è giusto che paghi» ha dichiarato «Accetto le conseguenze dei miei errori, in linea con la mia idea di decenza, comportamento e responsabilità personale». La notizia è stata ripresa con grande rilievo in Italia perchè è venuto istintivo un paragone col comportamento di Berlusconi. Uno che non accetta le sentenze dei Tribunali del suo Paese, di cui è stato presidente del Consiglio e quindi rappresentante, nemmeno quando sono definitive, che non ne accetta le inevitabili conseguenze, che non accetta 'l'affido ai servizi sociali' pur essendo stato lui stesso a chiederli, che ha preteso fino a ieri di candidarsi alle elezioni europee non solo contro le leggi italiane e UE, ma contro la più elementare decenza. Che in passato ha sfasciato il Codice penale, a suo uso e consumo, depenalizzando reati di cui era accusato come il falso in bilancio (negli Stati Uniti si prendono fino a 28 anni), dimezzando i termini della prescrizione proprio mentre i tempi dei processi si allungavano, così ha potuto usufruire di otto prescrizioni ma intanto dal carcere sono usciti migliaia di delinquenti, che ha corrotto un magistrato, il giudice Metta, perchè aggiustasse a suo favore il 'lodo Mondadori', ma è riuscito a venirne fuori indenne, sempre per prescrizione, poichè la Cassazione ha riconosciuto a lui, il mandante, le 'attenuanti generiche' (motivo: nel frattempo era diventato presidente del Consiglio- a parer mio avrebbe dovuto essere un'aggravante), 'attenuanti' che non ha riconosciuto a Previti che era semplicemente l'esecutore materiale della corruzione, non il diretto interessato, che ha corrotto un testimone in giudizio, l'avvocato Mills che infatti è stato condannato per essersi fatto corrompere dal Cavaliere ma ne è uscito anche qui grazie alle incongruenze delle nostre leggi, che da decenni delegittima la Magistratura del suo Paese (pardon del «mio Paese») definendola, anche all'estero, «il cancro della democrazia». Insomma Berlusconi, a differenza di Hoeness, non ha mai accettato la responsabilità dei suoi atti, l'ha sempre negata.
Ma la questione va al di là di questi due personaggi. Ha scritto Peter Schneider, importante opinionista tedesco: «In Germania la gente è unita da un certo senso della responsabilità verso la legge e l'interesse collettivo». Qui sta il punto. Noi abbiamo espresso grandissime individualità, soprattutto nelle arti figurative e in letteratura, ma non siamo mai stati un popolo. Siamo un mostruoso incrocio fra l'Italia del Guicciardini (l'interesse per il proprio 'particulare' a scapito degli altri) e quella di Macchiavelli (ogni mezzo, anche illegale, è buono per raggiungere i propri fini).
Il buon Renzi ha donato alla Merkel la maglia di Mario Gomez, centravanti della Fiorentina e della nazionale tedesca. D'Alema ha regalato a Renzi la maglia di Totti. Una sola cosa ci unisce: la calciofilia.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 21 marzo 2014
La vicenda che più si avvicina a quanto sta accadendo in Crimea è quella del Kosovo, come qualcuno ha notato finalmente anche in Italia (Riccardo Pelliccetti, Il Giornale, 12/3). In Kosovo gli albanesi, divenuti maggioranza negli ultimi decenni, reclamavano la secessione dalla Serbia. Gli indipendentisti, foraggiati e armati dagli americani, facevano guerriglia e anche uso di terrorismo, l'esercito serbo e le milizie paramilitari ('le tigri di Arkan') rispondevano con durezza. C'erano due ragioni a confronto: quella degli indipendentisti albanesi e quella della Serbia a conservare l'integrità dei propri confini. Gli americani decisero che le ragioni stavano solo dalla parte degli indipendentisti e per 72 giorni bombardarono una grande città europea, Belgrado, capitale di un Paese, la Serbia, che, fra le altre cose, aveva il grave torto di essere rimasto l'unico paracomunista in Europa. I morti sono stati 13 mila, 5500 sotto le bombe il resto negli scontri che ci furono in Kosovo fra albanesi e serbi.
Nel 2008 gli albanesi proclamarono unilateralmente l'indipendenza che non è da tutti riconosciuta giuridicamente ma lo è di fatto. Nel frattempo in Kosovo si è realizzata la più grande 'pulizia etnica' dei Balcani, dei 360 mila serbi che ci vivevano ne sono rimasti 60 mila.
Fra la vicenda della Crimea e quella kosovara ci sono però alcune differenze. Il Kosovo, considerato 'la culla della patria serba', appartiene da secoli, storicamente e giuridicamente, alla Serbia, la Crimea fa parte dell'Ucraina solo da qualche decennio, gentile regalo di Kruscev all'interno della Federazione sovietica. La Crimea, abitata in maggioranza da russi o da russofoni, confina con la Russia. L'America, con tutta evidenza, non confina col Kosovo, sta a diecimila chilometri di distanza. Il democratico Bill Clinton per spiegare ai suoi connazionali le ragioni dell'intervento dovette prendere una carta geografica e indicare dove mai fosse questo Kosovo di cui gli americani ignoravano l'esistenza. L'aggressione americana alla Serbia non aveva alcuna giustificazione, nè materiale nè, tantomeno, giuridica e infatti l'Onu non l'avallò.
Insomma pare difficile sostenere che la violazione della sovranità dell'Ucraina è «illegittima», mentre quella della Serbia, che aveva molte meno giustificazioni, anzi nessuna, invece non lo è.
Gli americani hanno anche sostenuto che il referendum sull'indipendenza della Crimea «viola la Costituzione dell'Ucraina». Ma spetterà o no agli ucraini decidere se un referendum all'interno del proprio Paese viola o no la loro Costituzione? O spetta agli americani?
Intanto mentre gli F-35 e gli Awacs della Nato volano minacciosi per i cieli dell'Europa dell'Est, il Corriere si chiede, comicamente, se per caso «non sia cambiata la sua natura». Il Patto Atlantico nasce come mutuo soccorso ogni volta che sia «minacciata l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o la sicurezza» di uno dei Paesi membri. Era quindi un Patto difensivo, ma è da quel dì che, violando il suo stesso statuto, si è trasformato in offensivo. Minacciava forse qualche Paese della Nato la Serbia di Milosevic? O l'Iraq di Saddam? O la Libia di Gheddafi? La Nato è diventata semplicemente «il poliziotto del mondo». Chi gliene abbia dato la patente non si sa.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 15 marzo 2014