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La condanna in primo grado di Piercamillo Davigo per “rivelazioni di segreto d’ufficio” ha dato la stura ai berluscones, ai paraberluscones, ai criptoberluscones, ai destri di ogni genere, ai conservatori (giornali e politici mixati) per cercare di delegittimare una volta per tutte le inchieste di Mani Pulite, basate non su rivelazioni di pentiti ma su conti correnti, su innumerevoli documenti bancari, su confessioni degli indagati, tentativo già messo in atto durante le stesse inchieste di Mani Pulite quando si profilò che a essere presi con le mani sul tagliere potessero essere Silvio Berlusconi e il suo grande protettore Bettino Craxi.

Ora i berluscones e adepti si sono sempre dichiarati “garantisti”, ammesso che questo termine abbia un senso nel diritto, e quindi queste garanzie dovrebbero valere anche per Piercamillo Davigo, condannato per ora solo in primo grado. Ma non era stato ipso Berlusconi a dichiarare che i magistrati e in particolare i Pubblici ministeri erano “matti, psicologicamente disturbati, antropologicamente diversi dal resto della razza umana”? E allora “matti, psicologicamente disturbati e antropologicamente diversi dal resto della razza umana” sono anche i magistrati che hanno condannato Piercamillo Davigo.

All’epoca delle inchieste di Mani Pulite, 1992-1994, i berluscones non dovevano considerare tanto “matti”, etc., etc. i magistrati se il Cavaliere, non ancora ex, propose ad Antonio Di Pietro, per il suo primo governo, il ministero degli Interni. Di Pietro rifiutò non ritenendo corretto assumere quella carica proprio mentre stava indagando su Craxi e il suo protetto Berlusconi. Ed Ignazio La Russa, questo bel “giglio di campo”, non perché “fascista” ma perché, attraverso il padre Antonino, fu protetto da Michelangelo Virgillito, di Paternò, in odor di mafia anche se mai incriminato.

L’errore più grave lo ha commesso proprio Antonio Di Pietro. Nell’aprile del 1995 lasciò la toga perché inseguito da sette inchieste giudiziarie da cui uscirà regolarmente assolto. In una di queste inchieste Berlusconi aveva arruolato due testimoni falsi perché accusassero l’ex magistrato. I due furono condannati, il mandante no. 

Durante le inchieste di Mani Pulite io non avevo mai nominato né Francesco Saverio Borrelli, né Di Pietro, né Ilda Bocassini, né Davigo, parlavo solo della Procura della Repubblica di Milano, rendendomi ben conto del rischio di personalizzare le inchieste, perché il magistrato può anche essere integerrimo, ma avrà pur sempre una moglie e dei figli, degli amici, attaccabili. Insomma il Magistrato, in un modo o nell’altro, è sempre attaccabile, la funzione no.

Quando Di Pietro, nel 1999, scrisse la sua monumentale autodifesa Memoria, chiese l’introduzione non a Paolo Mieli, che nel pieno del suo fulgore, di Di Pietro intendo, aveva scritto sul Corriere un editoriale intitolato “dieci domande a Tonino”, come se ci avesse mangiato insieme a Montenero di Bisaccia, ma a me che non lo avevo mai nominato e nemmeno conosciuto. Nacque un’amicizia. Gli chiesi perché dopo aver  lasciato la toga non si fosse presentato alle elezioni politiche nelle quali dato il clima di allora e il suo prestigio, avrebbe preso il novanta percento dei voti. “Perché, rispose, non sarebbe stato corretto approfittare della mia notorietà di magistrato, sia pure ex”. “Si, replicai io, ma non si può combattere con una mano dietro la schiena contro chi non solo le usa tutte e due e, quando non bastano, anche il bastone”. Concetto che ripresi al Palavobis di Milano, nel febbraio del 2002, il primo dei grandi “girotondi” affermando, appoggiandomi a Sandro Pertini, “a brigante, brigante e mezzo”. Cosa per cui il ministro della Giustizia Roberto Castelli, leghista, minacciò, nel salotto del sempiterno Vespa, di farmi arrestare. A parte il fatto che un arresto non dipende dal ministro della Giustizia, a meno che non si chiami Nordio, né al ministro degli Interni,  ne sarebbe nato uno scandalo che non conveniva a nessuno, tranne che a me.

Sulla Magistratura si possono avere due posizioni. Uno. Le sentenze della Magistratura si rispettano anche se ovviamente possono essere criticate ma il Potere giudiziario, nelle sue varie strutture, Corte Costituzionale, Corte di Cassazione, Appello, Tribunale di primo grado, magistrati di ogni ordine, non è messo in discussione. Due. Non si crede nel potere giudiziario considerandolo un covo di manigoldi e allora bisogna aprire tutte le carceri perché chiunque può essere stato vittima di questo Potere fellone.

Quanto a Piercamillo Davigo credo che, in buona fede, sia stato vittima, per ora presunta, di un pericoloso, e controproducente, eccesso di zelo.

Il Fatto Quotidiano, 23 giugno 2023

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Le guerre, anche quelle moderne, con l’utilizzo di droni kamikaze, di missili, di supersonici, che tolgono alla guerra, oltre alla sua dimensione epica anche quella etica, alla fine vengono vinte dalla fanteria. La guerra delle Falkland o Malvinas (las islas Malvinas son argentinas) del 1982, dove pure gli inglesi usarono gli Exocet con i quali affondarono l’incrociatore argentino Belgrano, fu decisa dalla fanteria inglese. Nell’ultima isola ancora in mano agli argentini c’era un nido di mitragliatrici che sembrava insuperabile. I soldati inglesi che gli stavano di fronte si sentivano impotenti. Allora il loro comandante uscì dalla trincea, allo scoperto, trascinando in tal modo i suoi uomini alla conquista. Lui ne uscirà ferito in modo grave, ma gli inglesi conquisteranno quell’ultimo baluardo argentino ponendo così fine, di fatto, alla guerra.

I russi sono 143 milioni, gli ucraini 43. Non è facile immaginare che gli ucraini, pur con tutto l’appoggio di armi e quattrini dell’intero occidente, possano vincere la guerra a meno che gli occidentali scendano direttamente sul campo. Non vedo un italiano o un francese battersi sul campo, noi europei non lo facciamo dalla fine della seconda guerra mondiale. E nemmeno un tedesco a meno che non avesse lo spirito della Wehrmacht. Forse solo gli inglesi, come ci dice anche l’episodio della guerra delle Falkland, hanno conservato questo spirito.

Nelle guerre però contano anche, e molto, le motivazioni e le passioni dei combattenti. Altrimenti non si spiegherebbe come i talebani abbiano potuto sconfiggere e cacciare a pedate nel culo il più forte, il più numeroso, il più armato esercito del mondo, quale non si era mai visto nei tempi recenti, mentre gli straccioni Talebani avevano solo kalashnikov, mitra e Jed.

Certamente nell’attuale guerra gli ucraini sono molto più motivati dei pelandroni e ubriaconi russi (sia detto di passata, ogni volta che si parla della guerra russo-ucraina bisogna premettere che c’è un aggressore e un aggredito, distinzione che non si è mai fatta quando ad aggredire erano gli occidentali, in Serbia, in Iraq, in Libia). Ma con i russi bisogna stare attenti, per capire la loro anima, e quindi Putin e quindi anche la guerra, bisogna aver letto cinque volte i Karamazov, almeno quattro i Demoni e messo a fuoco le figure del principe Stavrogin, di Ivan Karamazov, di Alioscia, di padre Sergij (protagonista di un delizioso racconto di Tolstoj). I russi sono notoriamente ubriaconi, fannulloni, spendaccioni ma da un momento all’altro possono trasformare tutto questo in coraggio, senza che se ne veda alcuna ragione. Il personaggio del principe Stavrogin è il più significativo. Sfidato a duello da Gaganov, cui qualche anno prima a San Pietroburgo aveva scopato la moglie, Stavrogin si profonde in mille scuse, ma Gaganov non vuole sentire ragioni. Nel duello alla pistola, fissato al terzo sangue, al primo colpo Gaganov ferisce leggermente Stavrogin a un dito. Stavrogin non si fa medicare e tira a casaccio. Gaganov a questo punto, sicuro di vincere, si porta in avanti fino al limite consentito, dodici passi. La mano gli trema perché l’indifferenza dell’avversario lo rende furioso e sbaglia mira. Stavrogin tira, in modo ancora più evidente, a casaccio. Gaganov è fuori di sé e sbaglia ancora il colpo. Stavrogin fingerà solo di tirare il terzo. Gaganov è annientato dall’umiliazione. Il vincitore è Stavrogin che nel frattempo, mentre attorno gli cascano ai piedi bellissime donne dell’aristocrazia, ha deciso di sposare una ragazza pazza e zoppa. C’è insomma in ogni russo un germe di pazzia che bisogna conoscere. Io lo conosco, anzi lo vivo. Quando Giorgio Bocca mi ha definito: “Un anarcoide, un russo mezzo pazzo” mi ha centrato in pieno. Aveva letto i Demoni.

Ora Putin non è Stavrogin, ma un germe di pazzia alberga anche in lui e può essere capace di tutto. Il coraggio ce l’ha, anche se non lo ostenta a differenza di quel comico da avanspettacolo che è Zelensky. E può interpretare la guerra anche come un gioco ludico. Gioco e coraggio sono ciò che lo uniscono a Berlusconi con cui credo abbia avuto una sincera amicizia. Che l’ex Cavaliere ha ricambiato esponendosi in suo favore e contro Zelensky mettendo l’Italia e tutti gli altri Paesi europei in una situazione emotiva molto vicina a quella di Gaganov. È stato Berlusconi a scrivere direttamente e letteralmente all’ameba Joe Biden: “Tu – lui dava del tu a tutti – dì a Zelensky che gli proponiamo un grande piano Marshall per la ricostruzione del suo Paese, ma devi metterti immediatamente a trattare altrimenti non ti diamo più armi né dollari”. Un atto molto coraggioso perché ci vuole del fegato a mettersi contro i gloriosi United States of America. Soprattutto tenendo conto che Berlusconi è sempre stato più americano degli americani.

Che anche Berlusconi fosse pazzo? È possibile. Che fosse pazzo alla moda di Stavrogin lo escudo. Non solo perché Stavrogin è bellissimo e Berlusconi, anche da giovane, non era certo un Adone, ma perché uno che ha vissuto buona parte della sua vita fra il varesotto ed Arcore non può avere nulla a che vedere con i russi, tranne giocarci, una volta tanto, a calciobalilla.

I russi sono melodrammatici, con una forte propensione al drammatico, Berlusconi non conosce la dimensione del drammatico. E’ solo ridicolo come un altro personaggio de I Demoni di cui vi racconterò un’altra volta. Intanto leggete.

Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2023

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Disastro Sky Chiara Martinoli è scomparsa del tutto dagli schermi.  Poiché è la più brava e la più graziosa (diciamo una Bibi Anderson quando nel settimo sigillo di Bergman porge un cesto di fragole all’immalinconito Cavaliere) non se ne capisce il motivo. Se l’ufficio stampa di Sky avesse la buona creanza di spiegarcelo gliene saremo grati.

m.f