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Paolo Guzzanti in un articolo titolato 'Il vizietto russo del carro armato' (Il Giornale, 2/3), che inizia così «Da quando ho memoria i russi per loro natura invadono», ci ricorda ciò che tutti noi, se si ha una certa età, ricordiamo: i carri armati russi contro gli operai a Berlino Est (1953), la sanguinosa repressione della rivoluzione ungherese del 1956, bollata dai comunisti italiani come una 'rivolta di elementi nazifascisti' (così la liquidò anche il mio professore di Storia al Berchet, Daziano, suscitando un tumulto fra noi ginnasiali), la timida 'primavera di Praga' del 1968 soffocata anch'essa dai blindati sovietici.

Il caso dell'Ucraina è però un po' diverso. Non c'è stata perlomeno la ripugnante ipocrisia della 'chiamata in aiuto di un Paese fratello', il presidente ucraino Janukovich, filorusso, che aveva regolarmente vinto le elezioni del 2010 col 51,8% era stato rovesciato da un golpe, sia pur popolare, la Crimea, a differenza dell'Ungheria e della vecchia Cecoslovacchia, confina con la Russia e, per ragioni storiche, è abitata nella stragrande maggioranza da russi o da russofoni. Ma la questione non è nemmen questa. Guzzanti è l'espressione di quello che ho chiamato 'il vizio oscuro dell'Occidente' che vede le nefandezze altrui, anche molto remote, e dimentica disinvoltamente le proprie, assai più recenti. Se i russi hanno 'il vizietto dei carri armati', gli americani, e i loro alleati, hanno quello dei cacciabombardieri, che sono anche un po' peggio perchè ai carri armati la popolazione può fare in qualche modo opposizione, agli aerei, che sganciano bombe da migliaia di metri di altezza, no. Ma lasciamo perdere il frillo Guzzanti. Il segretario di Stato americano John Kerry ha affermato: «I russi invadono un altro Paese sulla base di pretesti fabbricati ad arte» e ha lamentato, come gli alleati europei, «la violazione del territorio di uno Stato sovrano». Ebbene che cos'è stato nel 1999, quando l'11 settembre era ancora di là da venire, il bombardamento per 72 giorni di una grande capitale europea, Belgrado, se non la violazione dell'integrità di uno Stato sovrano, la Serbia, che aveva i suoi problemi interni come oggi ha l'Ucraina, con la differenza che in quell'occasione ci furono 5500 morti? Che cos'è l'invasione dell'Afghanistan (2001) e la sua occupazione mantenuta prevalentemente con l'uso dell'aviazione e con gli aerei-robot, i Dardo senza pilota ed equipaggio ma armati di missili, in una guerra che dura da 13 anni ed è la più lunga dai tempi di quella dei Trent'anni (più di 100 mila morti civili)? Che cos'è l'aggressione all'Iraq nel 2003 se non l'invasione «di un Paese sulla base di pretesti fabbricati ad arte», nel caso le 'armi di distruzione di massa' che Saddam non aveva più perchè, dopo che Stati Uniti, Francia e Urss, gliele avevano fornite, il rais di Baghdad le aveva usate sui curdi e i soldati iraniani (160 mila morti nella guerra all'Iraq)? Che cos'è l'aggressione alla Somalia (2006/2007), via Etiopia (Paese di specchiata rispettabilità democratica), perchè le Corti Islamiche avevano avuto il torto di sconfiggere 'i signori della guerra' locali e di aver riportato un po' di ordine e di unità in quel Paese? Che cos'è l'aggressione alla Libia (2011) per togliere di mezzo un dittatore, che qualche seguito nel suo popolo ce l'aveva, e mettere al suo posto non si sa bene chi?

A Paolo Guzzanti suona «terribile il cingolo dei carri armati». A me il rombo dei bombardieri.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 8 marzo 2014

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«Di solito non leggo l'intervento di Massimo Fini (preferisco Gervaso e la Graziottin), non solo perchè il suo cognome mi ricorda il tradimento, ma soprattutto per la sua aperta simpatia per i talebani. L'articolo del 28/2 ha però risvegliato il mio interesse. Mi riconosco in molte delle sue affermazioni, specie quando critica i nostri politici (in questo momento è anche particolarmente facile farlo), quando sottolinea la loro incapacità (o mancanza di volontà) di risolvere i problemi del Paese...Non condivido gli attacchi sul piano personale («gli occhi da serpente») che nulla hanno a che vedere con una valutazione dell'impegno e dell'entusiasmo dimostrati dal nuovo premier...Ma sappiamo che Renzi è comunista e le scelte saranno coerenti col suo credo politico. I comunisti se hanno le mani in tasca l'hanno stretta a pugno. Siamo tutti curiosi e sospettosi, a destra e a sinistra, sul futuro del nostro paese sotto la sua guida.

Vorrei infine confessare che sono d'accordo con Massimo Fini sul fatto che i talebani hanno coraggio fisico e morale. Ci vuole tanto coraggio fisico e morale per distruggere a cannonate incredibili tesori artistici. Ci vuole tanto coraggio fisico e morale per uccidere decine di persone per impedire le vaccinazioni ai bambini. Ci vuole tanto coraggio fisico e morale per massacrare le donne a sassate in mezzo alla strada. E' proprio vero, e cito le sue parole, che «il prestigio si conquista con le azioni», non certo con le cattiverie scritte seduti comodamente davanti al computer». Prof. Luciano Bevilacqua

Non ci vuole coraggio, nè fisico nè morale, per combattere una guerriglia, che non possiede contraerea, quasi esclusivamente con l'aviazione facendo, nella confusione, più di 100 mila vittime civili, vecchi, donne e bambini compresi. Non ci vuole coraggio, nè fisico nè morale, per uccidere con un missile dieci bambine, dai 9 agli 11 anni, che stavano facendo legna in un bosco, scambiandole per guerriglieri (Nangarhar, 18/12/2012, ma è solo un episodio fra mille). Non ci vuole coraggio, nè fisico nè morale, a lanciare dagli aerei senza pilota e senza equipaggio, i Dardo, missili assassini standosene a 10 mila chilometri di distanza, a Nellis nel Nevada.

Ci vuole invece tanto, troppo, coraggio, fisico e morale, a tener testa per 13 anni (la guerra più lunga che si ricordi nella Modernità), in una condizione di totale inferiorità militare, al più potente, tecnologico e robotico esercito del mondo, appoggiato, per sopramercato, anche dalla Russia e dall'Iran.

Ritenere Matteo Renzi un comunista è un insulto, non a Renzi ma ai comunisti italiani che, pur con tutte le loro nefandezze e menzogne, erano per lo meno una cosa seria.

Quanto a me di coraggio, almeno morale, ne ho dimostrato in dosi industriali mettendomi contro da trent'anni (e non da ora, da ieri o l'altro ieri) la partitocrazia, ogni genere di lobby, lasciando la mia classe d'origine, la borghesia, e ottenendo l'ostilità di buona parte del giornalismo italiano. Se avessi avuto un po' meno coraggio avrei avuto una vita molto più facile, personale e professionale, e non avrei dovuto saltabeccare da un giornale all'altro per trovare spazi di libertà.

Eppoi basta con questa storia di criticare stando «seduti comodamente davanti al computer». Appartengo a un'altra generazione di giornalisti. Non uso il computer e per trenta dei miei quarant'anni di carriera ho fatto il cronista, poi l'inviato, in Italia e all'estero, alzando quasi ogni giorno il culo dalla sedia, cosa che non mi pare di poter dire per molti dei miei più giovani colleghi.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 7 marzo 2014

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Sappiamo che la storia dell'Ucraina è particolare. Nondimeno la cacciata con la violenza delle armi del presidente Yanukovich, di cui è stata richiesta anche l'incriminazione davanti al Tribunale internazionale dell'Aja, pone delle importanti questioni di principio. Finora per le democrazie occidentali era pacifico che una rivolta armata della popolazione fosse legittima quando era contro un dittatore, come è avvenuto in Tunisia con Ben Alì, in Egitto con Mubarak, in Libia con Gheddafi (anche se, per la verità, in questo caso più che il popolo furono i missili francesi a cacciare il rais di Tripoli). Ma Yanukovich era arrivato al potere democraticamente nel 2010 col 51,8% dei voti, in elezioni che erano state considerate regolari anche da quell'Occidente che deve sempre ficcare il naso dappertutto. Eppure in Ucraina l'Occidente si è schierato dalla parte della piazza e di una rivolta armata estremamente violenta (quando si sequestrano una sessantina di poliziotti si è fuori da qualsiasi manifestazione, per quanto dura, espressa democraticamente) e contro il presidente che aveva dalla sua il suffragio della maggioranza e che ha reagito con altrettale, e forse anche maggiore, violenza. Finchè Yanukovich, sotto le pressioni della piazza e dell'Occidente, è stato costretto a fuggire.

Ebbene se vale in principio affermato dall'Occidente in Ucraina, e cioè che anche un regime democraticamente eletto può essere legittimamente rovesciato con la violenza, non si vede perchè non possa essere applicato anche in Italia. Anzi a maggior ragione in Italia in cui da cinquant'anni almeno non esiste più una democrazia ma una partitocrazia, dove cioè i partiti, scavalcando completamente il ruolo loro affidato dalla Costituzione (art.49), hanno arbitrariamente e illegalmente occupato tutto l'occupabile, dalle Istituzioni (Presidenza della Repubblica, Parlamento, consigli regionali, provinciali, comunali, comitati di zona), il parastato, la Rai e anche ampi settori del privato spingendosi giù giù fino ai Consigli di circolo didattico, che sono associazioni di genitori all'interno degli istituti scolastici.

Tranquilli. Non succederà nulla. Gli italiani sono troppo slombati, infiacchiti dal cosiddetto 'benessere' per avere la vitalità di ribellarsi. Solo se la crisi economica dovesse acuirsi ulteriormente e se si arrivasse alla fame, quella vera (che non vuol dire essere costretti a fare acquisti più oculati alle Coop), poichè 'il bisognino fa trottar la vecchia', come dicono in Toscana, ci potrebbe forse essere una rivolta violenta anche da noi contro questo regime (oltretutto ladro in maniera al cospetto della quale gli struzzi e i rubinetti d'oro di Yanukovich fanno ridere).

Solo il Movimento 5 Stelle avrebbe potuto tentare un'avventura del genere. Ma Grillo ha scelto, responsabilmente, la via di una rivoluzione pacifica, ma pur sempre antisistema. Lo disse chiaramente fin dall'inizio, l'8 settembre del 2007, al primo V-day di Bologna, cui partecipai anch'io, Gabanelli, la Guzzanti, Travaglio: «Noi viviamo in una partitocrazia, non in una democrazia». E lo ha ribadito fino alla nausea e ancora pochi giorni fa nello 'streaming' con Renzi: «Io non posso essere democratico con te» (sottinteso: perchè tu rappresenti un regime antidemocratico). Ecco perchè non si può essere 'aperturisti' come i quattro senatori che sono stati espulsi. Sarebbe come se, durante il regime mussoliniano, un gruppo di antifascisti avesse cercato un accordo con i fascisti. Con i fascisti, per restare a questa metafora, non si tratta.

Semmai l'errore di Grillo, nella sua ansia di democratizzazione universale via web, è stato quello di affidare la decisione delle questioni più importanti alla Rete e di non aver capito che un movimento rivoluzionario, sia pur pacifico, ai suoi inizi non può che essere leninista. Trotskij represse nel sangue la rivolta dei marinai di Kronstadt cui pur era sentimentalmente vicino. Siamo in un'altra epoca, in un'altra situazione, in un altro tutto. Qui ci sono state solo quattro espulsioni di senatori che, come probabilmente molti elettori di 5 Stelle, non hanno capito qual è l'autentica sostanza del movimento di Beppe Grillo.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2014