A
Acri, Adi, Adisc, Agea, Aiad, Aifa, Aise, Aisi, Ance, Anci, Anpal, Ansfisa, Ansv, Apsa, Arpa, Asp, Aspi.
B
Bcg, Bei, Bev, Bper, Br.
C
Cara, Care, Caricom, Casagit, Cdc, Cdp, Cedu, Cepell, Certet, Cig, Cipe, Coisp, Conaf, Coreper, Cpr, Crvi, Cv.
D
Dlf, Dna.
E
Eba, Ecowas, Enac, Endas, Enea, Enpi, Ens, Entes, Epl, Etsi.
F
Fabi, Fials, Fiaso, Fimiv, Fipsas, Fita, Fitel, Fitp, Fpl, Frbb, Fsb, Fsp.
G
Gco, Gom, Gpdp, Gse.
H
Hrmmu, Hts.
I
Iaea, Icao, Ice, Ieee, Ifel, Ifrc, Imo, Imrcc, Inaf, Inmp, Inpgi, Invimit, Iom, Ipcc, Irccs, Irs, Isin, Ismu, Iso, Ispi,
Iveser.
L
Labanof, Laf, Lavs, Lc, Lep, Lni.
M
Mart, Mcl, Mef, Mibac, Mit, Ms, Msf, Msp.
N
Nic, Noi.
O
Odg, Oecd, Omct, Opa, Osa, Oss.
P
Pac, Paho, Pgs, Pmi, Potop.
R
Ram, Ras, Rfi, Rsa, Rse.
S
Sap, Sat, Sbu, Scia, Scu, Siap, Silp, Sinagi, Siulp, Slapp, Sogei, Sogin, Sos, Stem.
T
Tai, Tci, Tis, Tml, Tusma.
U
Uama, Ucla, Uif, Uits, Uncalm, Uncem, Unep, Unhcr, Unifil, Unms, Unpli, Unrwa, Unuci, Unwto, Upi, Upm.
W
Wao, Wbg, Wco, Wdo, Wfp, Wfo, Who, Wipo, Wmo, Woat, Wosm, Wto.
La neolingua ai tempi mostri.
Il Fatto Quotidiano, 6 aprile 2024
C’è voluto del bello e del buono perché si accettasse che l’attentato Isis a Mosca fosse davvero dell’Isis. C’è voluta una documentazione, anche fotografica, inconfutabile. Solo la Russia si ostina a puntare sugli ucraini come mandanti, mentre la Turchia parla nebulosamente, senza uno straccio di prova, di appoggi di non si sa bene quali “servizi segreti esteri”. Ora l’Ucraina non solo non è una criptoalleata della Jihad, ma ne è una potenziale vittima. Per Isis infatti tutti coloro che appartengono all’orbita culturale occidentale, in questo senso Russia compresa, sono i nemici da combattere. Insomma ci è voluto del bello e del buono perché si accettasse l’Inaccettabile e cioè che sulla scena mondiale si affacciasse un “terzo attore” come ha scritto Goffredo Buccini sul Corriere (29.03). In realtà questo “terzo attore” esisteva già da tempo, ben prima che nel 2013 fosse fondato lo Stato Islamico con la guida di al-Baghdadi, l’attentato di Mosca l’ha solo pantografato.
Come ho scritto in quell’occasione, secondo me è stato un errore abbattere lo Stato Islamico che si era radicato a Raqqa e Mosul. Perché lo Stato Islamico aveva un territorio individuato e circoscritto e un capo preciso, al-Baghdadi, con cui si sarebbe potuto prendere anche accordi e non è nemmeno vero che fosse, come scrive Buccini, un’“enclave dell’orrore”: seguendo i dettami della Sharia e più in generale della concezione islamista per cui alle donne spetta la cura della famiglia, agli uomini il suo mantenimento (tanto che molte compagne di foreign fighters venuti dall’Europa accorsero a Raqqa) alle donne erano assicurate cure in gravidanza e nella fase successiva, quella dedicata all’accudimento dei figli. E parecchie donne erano anche combattenti, una parità di genere che dovrebbe incuriosire l’Occidente dove a combattere sono gli uomini e alle donne spetta, quasi sempre, la funzione delle “crocerossine”.
Adesso Isis è una galassia difficilmente individuabile sparsa in tutto il mondo se si escludono i Paesi sudamericani e, per il momento, ma solo per il momento, Stati Uniti e Canada perché troppo lontani territorialmente dalle basi Isis in Europa e in Africa. E se si esclude la Cina che anche in questo caso fa storia a sé, per cui in realtà si dovrebbe parlare non di terzo ma di “quarto attore”. Isis sta in Somalia dove gli Shabaab hanno giurato fedeltà e sottomissione allo Stato Islamico, sta in Mali, sta nel Sahara, sta nelle Maldive, sta in Pakistan, sta in Bangladesh, sta nei Balcani, sta in Europa anche se per ora solo come potenziali “lupi solitari” non organizzati fra di loro. Sta in Egitto, soprattutto in Sinai, per cui sconsiglierei oggi una vacanza a Sharm el-Sheikh. Scrive sul Giornale (19.03) Alessandro Sallusti, che di tutto s’intende tranne che di geopolitica: “Al Sisi (…) è l’ultimo baluardo contro il dilagare dell’islamismo estremista religioso e politico verso l’Europa”. Invece questo nobile generale tagliagole e golpista è all’origine del radicalismo islamico in Egitto. Col suo colpo di Stato del 2014 fece fuori i Fratelli Musulmani, all’epoca islamici non radicali ma moderati che durante il loro breve governo (un anno e mezzo) non avevano imposto alcuna Sharia, uccidendone 2500 e mandandone altrettanti nel limbo dei desaparecidos. E molti dei Fratelli hanno aderito all’Isis. Un po’ come quello che avvenne nel 1991 dopo le prime elezioni libere in Algeria vinte dal Fis, Fronte Islamico di Salvezza, anch’esso di un islamismo moderato, per ribadire nel sangue, con l’appoggio dell’intero Occidente, il governo dei generali tagliagole che era stato sconfitto. E così oggi Isis è presente in Algeria, nel Maghreb, com’è presente in Libia dopo la defenestrazione violenta e totalmente illegittima secondo i dettami del diritto internazionale (che valgono solo quando gli aggressori sono gli altri, vedi Russia, non quando siamo noi) del colonnello Gheddafi. Oggi gli scafisti per lasciare le coste libiche devono pagare una taglia all’Isis che tra le decine di gruppi combattenti che si sono creati in quel Paese è il più forte perché meglio organizzato. Isis è presente naturalmente in Iraq e in Siria. Isis è presente anche nell’Afganistan talebano. Se si esclude la distruzione di Iraq e Mosul, i Talebani sono stati i soli a combattere seriamente Isis. Ma dovendo combattere contemporaneamente anche con gli occupanti occidentali, Isis è riuscito a rimaner presente anche in Afganistan. L’11 gennaio 2023 c’è stato un attentato kamikaze Isis a Kabul, con cinque morti, da cui, anche se su questo particolare si è sorvolato, risultò che più di 200 donne lavorano come magistrati, anche in posizioni apicali, alla Corte Suprema afgana. Con tanti saluti alla vulgata secondo la quale le donne nell’Afganistan talebano non hanno diritto al lavoro.
Isis combatte al fianco di Hamas nella guerra israelo-palestinese. Ma gli obiettivi dei due movimenti sono molto diversi. Hamas vuole spazzar via dalla faccia della Terra Israele, Isis ha obiettivi più globali, vuole spazzar via gli “infedeli” da tutto il globo. Per questo gli Isis simpatizzano con gli Houthi ma al tempo stesso ne diffidano perché gli Houthi, oltre ad avere una storia particolare, sono un’emanazione dell’Iran, anch’esso nel mirino della Jihad perché l’Iran, in sostanza persiano, ha di fatto troppi traffici con gli Stati degli “infedeli”.
Naturalmente negli anni anche lo Stato Islamico si è raffinato. Lo abbiamo visto proprio nel recente attentato a Mosca col metodo di reclutamento per cui ottengono finanziamenti non coi canali tradizionali, carte prepagate e bonifici, ma semplicemente facendo avere direttamente soldi, in altro modo, ai kamikaze che non sono necessariamente affiliati all’Isis ma provengono dalle legioni di poveracci che per 5000 dollari sono disposti a tutto. L’ordine Isis era: uccidete chi vi pare purché siano degli “infedeli”. Anche un abitante delle banlieue parigine o delle periferie milanesi o romane può, per questo motivo, rivelarsi improvvisamente una manovalanza Isis. Credo però che l’Italia sia per il momento abbastanza al sicuro. Per i suoi vizi, non per le sue virtù. Roma è un tale crocevia di traffici illeciti, di armi, di stupefacenti, di malavita mafiosa in tutte le salse che non conviene a nessuno svegliare il can che dorme, cioè nemmeno gli inefficienti servizi segreti e polizieschi italiani, per quanto inefficienti.
Il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2024
Sul Fatto Michela Iaccarino ci ha raccontato come in Corea del Sud chi lavora troppo, chi ha “il vizio del lavoro” (in quel Paese si “fatica”, per dirla alla napoletana, 14 ore al giorno) venga spedito in carcere senza tanti complimenti e soprattutto senza cellulare e senza orologio. Non è un caso che questa lezione, peraltro data in termini autoritari, da Corea del Nord, ci venga da un Paese orientale. Il valore del lavoro era sconosciuto al pensiero orientale. Il Libro della norma di Lao Tse che è alla base di quasi tutto il pensiero orientale è centrato sulla ‘in azione’, cioè la non azione e lo stesso vale per il Buddismo propriamente detto, dove la serenità si raggiunge con l’atarassia, cioè con la indifferenza alle cose del mondo (naturalmente, scrivendo per un quotidiano, sono costretto, per obbligo di sintesi, a un’estrema semplificazione). Ho detto era perché abbiamo talmente ibridato quelle popolazioni che oggi la Cina, che è il più grande erede, in termini numerici, di quel pensiero, si è inserita nel meccanismo industrial produttivo di quello che chiamiamo mondo occidentale. La sola differenza, peraltro da non disprezzare, è che la Cina conquista economicamente e non con sanguinose guerre come ci hanno abituato gli Stati Uniti che sono la punta di lancia dell’odierno modello di sviluppo.
Peraltro nemmeno in Occidente il lavoro è sempre stato un valore. San Paolo lo definisce “uno spiacevole sudore della fronte”. Naturalmente nemmeno nel Medioevo, a meno di non essere Santi, si disprezzava la ricchezza, raggiunta però per qualche caso favorevole, tipo tombola o “albero della Fortuna”, ma che la ricchezza dovesse essere conquistata col lavoro, questo, almeno a sentire Sombart e Max Weber, era l’inammissibile.
Il nostro modello, quello che attualmente viviamo, si basa sull’invidia che Papa Francesco ha scomunicato dal punto di vista morale (alle critiche Berlusconi replicava sempre che erano frutto di pura invidia) ma che, concretamente, è una delle basi costitutive, forse la principale, del modello di sviluppo occidentale, come dichiara senza vergognarsene Ludwig von Mises, uno dei più coerenti ed estremi teorici del capitalismo (termine peraltro stranamente quasi scomparso nella narrazione pubblicistica, ne parla, a volte, solo Il Manifesto). Io ho una Panda ma voglio avere una Opel come il mio vicino e quando ho finalmente la sospirata Opel voglio una Ferrari o una Lamborghini o qualcosa del genere. È questo il meccanismo che ci impedisce di raggiungere un momento di quiete e di serenità, salito un gradino bisogna salirne un altro e poi un altro ancora, da qui le nevrosi e le depressioni che sono patologie tipiche della Modernità, pressoché sconosciute in era medievale (esistevano certamente anche allora il pazzo o lo “scemo del villaggio” che però la sapienza antica riusciva a inglobare, senza bisogno delle sperimentazioni, peraltro fallite, di Franco Basaglia ritenendo che il pazzo, lo “scemo del villaggio” o anche il mendico avessero un loro rapporto privilegiato con Dio). Tout se tient.
Viaggiavo parecchi anni fa in Sudafrica, mi trovavo precisamente in Transkei, vedevo huts decorose, con tetti di paglia e struttura in mattone, studenti, ragazzi e ragazze con divise collegiali all’inglese, con occhi luminosi, brillanti, cui non mancava nulla per essere felici, soprattutto mancava, e questo è l’essenziale, la consapevolezza di esserlo, perché quando si ha la consapevolezza di possedere qualcosa, si tratti della felicità o della giovinezza, la si perde all’istante. Vedevo però, anche, che i campi erano coltivati a regola d’arte, ma solo a metà. Mi spiegò mio cugino Valerio Baldini che mi accompagnava in quel viaggio e che aveva vissuto, come geologo, parecchi anni in Sudafrica: “Vedi, il nero ha una cultura completamente diversa dalla nostra. Non ha voglia di guadagnare, di andare avanti, di fare profitti, si accontenta di quello che ha. Un bianco vuole sempre di più, se ha un campo lo coltiva tutto, il nero lo coltiva solo per quella parte che gli serve”. Ecco spiegato, in due parole, lo spirito del capitalismo. Si dirà che il Sudafrica ha una storia a parte rispetto all’Africa Nera. Ma in Africa Nera, dove ho viaggiato a lungo negli anni Settanta e primi Ottanta, il concetto è lo stesso. Per precisare meglio le parole di mio cugino: per quella gente le cose vanno bene quando sono in equilibrio con la Natura. Ecologismo elementare. Per questo i neri africani, un tempo in larga parte animisti, sono sempre stati ostili alle falciatrici meccaniche perché alteravano questo equilibrio. E questa era moneta corrente anche da noi, in Europa, in Italia. Dicevano i nostri contadini, soprattutto quelli della Brianza: “Non farò mai entrare quelle macchine puzzolenti che buttano fumo nei miei campi”. Come si vede hanno perso la partita.
Adesso, per non farci mancar nulla, stiamo per andare in Africa Nera col Piano Mattei che ha scopi predatori, nonostante le smentite, anzi proprio per queste, di Giorgia Meloni (l’Africa ha un sottosuolo ricchissimo di risorse) ma, ciò che è peggio, altereremo definitivamente quel magico equilibrio.
Noi siamo arrivati al punto, oserei dire epilettico, per cui, come aveva già notato Adam Smith che pur è uno dei padri di questo sistema, noi non produciamo più per consumare, ma consumiamo per poter produrre.
Io predico bene ma razzolo malissimo. Tanto che ad ottant’anni sono ancora qui a lavorare.
Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2024