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Ho partecipato, come relatore, al festival di Filosofarti, una manifestazione che si tiene da vent’anni e che ha visto ospiti prestigiosi, da Franco Cardini a Umberto Galimberti fino, nientemeno, a Noam Chomsky. Il festival, che quest’anno si sviluppa su cinque settimane, si tiene a Gallarate, il “buco del culo del mondo”. In realtà Gallarate è un centro culturale di tutto rispetto, basta vedere il museo Maga che ha ospitato il mio intervento e i numerosi teatri e centri di convegni che ospita questa cittadina di 50mila abitanti.

Il tema di quest’anno era centrato sul “visibile e l’invisibile”. Dice la volpe nel capolavoro di Saint-Exupery, Il Piccolo Principe: “L’essenziale è invisibile”. Oscar Wilde, per tener fede alla sua fama paradossale: “Il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile”. Pablo Picasso: “Uno non dipinge ciò che vede ma ciò che sente, quello che dice a sé stesso riguardo ciò che ha visto”. E Paul Klee, artista pure lui, più sintetico di Picasso, che era grande sulla tela ma scarso in scrittura: “Rendere visibile l’invisibile è il compito dell’arte”.

Affrontando il “visibile e l’invisibile” si entra giocoforza nella filosofia e non è per caso che il festival si chiami Filosofarti. Maurice Merleau-Ponty, uno degli apostoli dell’esistenzialismo insieme a Sartre e Camus, ha scritto un libro, “Il visibile e l’invisibile”, fortunatamente incompiuto (mi spiace dirlo perché io sono nato in epoca esistenzialista) in cui, a furia di cercare l’essenza dell’invisibile, finisce per cercare l’Assoluto, che non esiste, a meno che uno non abbia la famosa Fede, né nell’arte né in natura, né nella vita degli uomini.

Io ero invitato sul tema “Il visibile e l’invisibile” in quanto autore di Cieco, il mio ultimo libro. Per me la questione è molto semplice: l’”invisibile” è ciò che non vedo. È vero che potrei consolarmi perché nell’opera omerica il veggente, poniamo Tiresia, è cieco, in quanto non vedendo ciò che ha davanti a sé vede “l’oltre da sé”. Purtroppo ero ‘veggente’ anche quando ci vedevo benissimo, per fare solo due esempi tra i tanti ho anticipato con una lettera aperta a Claudio Martelli, allora vicesegretario del Psi, la fine del suo partito, che sarebbe avvenuta dieci anni dopo con Mani Pulite, e, cosa molto più importante, lo scacco in cui si trova oggi il mondo occidentale che si basa sulle crescite esponenziali che, come ho detto millanta volte, esistono in matematica (tu puoi sempre aggiungere un numero) non in natura.

Il giovane intervistatore, molto simpatico, Edoardo, cercava di svicolare dal tema per cui ero stato invitato a Filosofarti, la cecità, sembrandogli troppo pesante, anche se io tentavo di ricordare, non tanto a lui ma al pubblico, poiché come ogni autore speravo di vendere e di autografare alla fine della serata molti libri, come poi è avvenuto, che il libro è alleggerito dal sarcasmo, dall’humour seppur nero, da cui è solcata la vita dei ciechi o, per meglio dire, dei semiciechi, per i quali il nemico principale è il sole. Scriveva Nietzsche, mezzo cieco pure lui, che i ciechi dalla nascita se la cavano molto meglio dei semiciechi perché sono abituati a quella condizione. A parte la cecità alla nascita ci sono altri due modi d’esser ciechi: si può diventarlo a metà della propria vita, come Borges (“Nessuno umili a lagrima o rimbrotto la confessione della maestria di Dio che con magnifica ironia mi diede insieme i volumi e la notte”) ed è un brutto accidente. C’è poi la condizione peggiore, che è la mia, di una cecità che avanza lentamente ma inesorabilmente. Tu non sai se quello che puoi fare oggi lo potrai fare domani. Il primo vero shock, la malattia (glaucoma) aveva appena iniziato a incidere, lo ebbi un’estate a Capri quando stavo con la mia fidanzata storica, Mariella. C’era un cielo stellato meraviglioso, ma io le stelle le vedevo un po’ offuscate. E capii che non avrei mai più visto un cielo stellato.

Dopo la conferenza si sono avvicinate a me due signore in età affette da Parkinson. Mi dissero che avevo avuto coraggio a fare outing sulla mia malattia. “Non è stato coraggio, risposi, è stata la disperazione”. Del resto detesto chi ostenta e fa un punto d’onore della propria menomazione, tipo Michela Murgia, ma io ho scritto il mio libro molti anni prima.

Le due gentili signore mi hanno chiesto se si poteva fare qualcosa, come se io fossi un taumaturgo. “Non c’è niente da fare, ho risposto crudamente, siamo andati sulla Luna, siamo andati su Marte ma la medicina tecnologica non è stata in grado di trovare il modo per ricreare le cellule nervose”. E questo vale per il glaucoma, per il Parkinson, per l’Alzheimer. E per quanto riguarda il glaucoma non è stata in grado di lenire uno dei peggiori drammi che possa vivere un essere umano: la cecità. Solo la Fede, come ho già detto, può salvarci da questa discesa all’inferno. “Pregherò per te che hai la notte nel cuor, e se tu lo vorrai crederai. Io lo so perché tu la fede non hai, ma se tu lo vorrai crederai. Non devi odiare il sole perché tu non puoi vederlo, ma c’è” (Pregherò, Adriano Celentano).

Il Fatto Quotidiano, 29 febbraio 2024

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Grande idea di Guido Bertolaso, il medico che fu richiamato in tutta fretta, mi pare dall’Africa, per fronteggiare l’emergenza Covid e se lo beccò subito, contagiando altri malati e andando a intasare i letti per la cura intensiva. Si giustificò dicendo che era mezzo sordo e quindi doveva avvicinarsi molto al paziente per capire quello che costui diceva.

Qual è l’ideona di Bertolaso? È la “tessera sanitaria a punti”, per cui, se decidi di smettere di fumare, di bere, assumi uno stile di vita meno sedentario con un’alimentazione più sana e ti sottoponi a degli screening periodici, potresti vincere premi come cure termali, skipass gratuiti, biglietti gratis per grandi eventi e magari anche uno yo-yo.

Bertolaso è in gramaglie perché agli screening da lui proposti ha aderito meno del 50% della popolazione. E lo credo bene. Bertolaso, completamente calato nel “terrorismo diagnostico”, vorrebbe che noi vivessimo con la mentalità dei malati o comunque dei “soggetti a rischio”, anche quando siamo ancora sani. È la solita storia: è vivere che ci fa morire. Che senso ha rinunciare a vivere per un rischio puramente ipotetico? Io sono convinto che l’attesa di uno screening bertolasiano, se ne dovrebbero fare almeno sei all’anno, è molto più stressante e debilitante dell’ipotetica malattia che vorrebbero evitare.

Comunque, se il terrorismo bertolasiano è respinto dalla metà della popolazione, l’altra metà ci casca. Ci informa sul Giornale (17.02) Melania Rizzoli che, oltre ad essere stata la moglie di Angelo, è un medico, un bravo medico: “Gli italiani comprano sempre più farmaci, molecole di ogni tipo, una corsa che non rallenta, ma che registra un aumento delle vendite di oltre il 20% l’anno con una spesa che ha superato la cifra di 8,5 miliardi solo lo scorso anno”. Conferma l’Aifa, Agenzia Italiana del Farmaco, che gli italiani sono un popolo dipendente dai medicinali a tutte le età e in tutte le condizioni psicofisiche. Sette italiani su dieci assumono almeno tre compresse al giorno. Le grandi aziende farmaceutiche ringraziano. Dice ancora la Rizzoli, intesa come persona, non come azienda da cui Angelo Rizzoli jr. fu brutalmente estromesso, focalizzandosi sui farmaci contro la disfunzione erettile: “L’Italia è il secondo Paese al mondo per consumo… Le vendite hanno superato lo scorso anno i 213 milioni di euro per 42 milioni di dosi, collocandoli tra i farmaci più venduti in fascia C nelle farmacie”. Questi farmaci non sono usati solo dagli ultrasessantenni ma anche dai giovani. Io sono convinto che se non viene duro qualche ragione ci sarà e che è bene non usare dopanti, in questo caso come in tutti gli altri (ciclismo, atletica) perché  molto spesso hanno un effetto paradosso, cioè se prima non ti veniva duro adesso ce l’hai molle. In ogni caso qualsiasi introduzione di medicinali nel nostro corpo ne altera l’equilibrio. Io credo che sia bene fidarsi del proprio corpo che ti dà segnali di allarme non intrusivi. Prendiamo il fumo. Spesso non smetti perché te l’ha ordinato il medico ma perché il corpo ti avverte in modo semplice: non ti piace più fumare.

In quanto all’impotenza giovanile, e qui entriamo in un campo che più che medico è sociale, è dovuta in gran parte all’eccessiva esposizione del corpo femminile, nella pubblicità, nei film, nei siti propriamente porno, che sono deprimenti anche perché fanno vedere gli organi sessuali in action dimenticando le sottigliezze dell’eros, che nulla hanno a che fare col fatto fisico ma piuttosto col mentale. Non si deve poi dimenticare il #metoo. Ma chi si azzarda più a corteggiare una ragazza se poi quella ti accusa di averle palpato il culo magari vent’anni fa? Chi non ha mai fatto la “mano morta” sui tram o su qualche altro mezzo pubblico alzi la mano e gli verrà mozzata per menzogna manifesta.

Ci sono poi i disturbi alimentari che non sono riconducibili, io credo, ai nostri singoli stili di vita ma allo stress in cui ci comprime l’attuale modello di sviluppo e al fatto che noi, sempre per esigenze economiche, mangiamo carni di animali malati che, stabulati, 24 ore su 24, sotto potenti riflettori per aumentarne il peso corporeo (in realtà è quasi tutta acqua) sviluppano malattie propriamente umane che non avevano mai conosciuto: stress, nevrosi, depressione, obesità, diabete che non avevano mai avuto. Insomma si confonde la causa con l’effetto.

Dell’utilità di un farmaco sono però convinto. Un farmaco che migliori l’acustica. Di Guido Bertolaso.

Il Fatto Quotidiano, 25 febbraio 2024

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Nel maggio 2017 Angela Merkel in un discorso pubblico tenuto a Monaco di Baviera disse: “I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono in una certa misura finiti… Noi europei dobbiamo veramente prendere il nostro destino nelle nostre mani… Dobbiamo essere noi stessi a combattere per il nostro futuro”. Noi sul Fatto demmo alla notizia il risalto che meritava, ma fu praticamente ignorata non solo dagli Stati europei ma anche dai media europei. Ora che la situazione geopolitica si sta facendo sempre più inquietante, qualcuno comincia a svegliarsi. Manfred Weber, il capogruppo del Partito popolare europeo, ha affermato: “L’Europa deve diventare militarmente così forte che nessuno voglia misurarsi con noi”. E sul Corriere della Sera Mara Gergolet e Stefano Montefiori si chiedono: “Servono armi nucleari proprie alla Ue, ossia c’è bisogno di uno scudo atomico?” e ancora “Anche il tabù di una bomba atomica europea - tale per tutto il dopoguerra - si sta incrinando. Quantomeno in Germania e in Francia”.

Quello di mettere in piedi un’autonoma difesa europea, autonoma rispetto alla Nato cioè agli americani che l’hanno in mano, è, direbbe De Gaulle, “un vasto programma”. Del resto è da quasi un quarto di secolo che gli americani, o sub specie Nato o con coalizioni dei cosiddetti “volenterosi”, trascinano i Paesi del Vecchio Continente in guerre che sono venute tutte in culo agli europei: guerra alla Serbia (1999), guerra all’Iraq (2003-2007, dai 600mila ai 700mila morti civili), guerra alla Libia del colonnello Muammar Gheddafi (2011). Poi c’è la guerra all’Afganistan dei Talebani, iniziata sotto l’egida dell’Onu in risposta agli attentati dell’11 settembre ma poi trasformata in una coalizione di “volenterosi” quando divenne chiaro che i Talebani del mullah Omar non c’entravano niente con l’11 settembre. Questa guerra puramente ideologica (non ci piaceva come viveva quella gente) è durata vent’anni con un numero di vittime civili afgane incalcolabile, nel senso che non è mai stato calcolato perché, si sa, gli afgani sotto guida talebana non erano propriamente esseri umani come gli altri. Siccome ho seguito molto da vicino quella vicenda posso fare una stima approssimativa di 300 o 400mila caduti, stima depurata dai combattenti talebani morti. Quella guerra, dopo vent’anni di occupazione, siamo riusciti anche a perderla nel modo più vergognoso contro gente che combatteva pressoché a mani nude (kalashnikov e Yed).

Allora quale sarebbe la road map, termine sinistro e malaugurante perché ogni volta che è stato usato non ha portato a nulla, per dare all’Europa un’effettiva difesa che prescinda dalla Nato e dagli americani? Il primo passo è togliere alla Germania l’anacronistico divieto di possedere l’Atomica. Non è possibile che l’atomica la abbiano, oltre a Stati Uniti, Russia e Cina anche Pakistan, Israele e persino la Corea del Nord, e non il più importante Paese europeo. La Germania di oggi, democratica, non ha più nulla a che vedere con quella nazista da cui nel dopoguerra nacque il tabù. Attualmente in Europa la Bomba ce l’hanno solo i francesi e gli inglesi, ma è opinione comune che né Francia né Gran Bretagna abbiano la deterrenza necessaria per sventare aggressioni. Peraltro la Gran Bretagna è troppo storicamente alleata degli Stati Uniti perché si possa pensare che usi quell’Arma a prescindere dagli interessi americani.

È possibile pensare a una difesa europea che prescinda dalla Nato? Teoricamente sì, ma ci vorrebbe una Nato europea che raccolga tutti gli Stati del Vecchio Continente. Questi Stati dovrebbero quindi uscire dalla Nato propriamente detta, crearne una propria e configurare un’alleanza con gli Stati Uniti meno sperequata. Gli Usa hanno in Europa un’infinità di basi militari, alcune atomiche, almeno 120 in Germania e altrettante in Italia. Non c’è alcuna base militare europea negli Stati Uniti. Ed è noto che in Italia il personale militare americano/Nato gode di fatto dell’impunità. Si ricorderà la vicenda del Cermis dove un Rambo americano tagliò i cavi della funivia facendo venti morti senza andare sotto processo né in Europa né, a maggior ragione, negli Stati Uniti. Si ricorderanno meno le decine di ragazze italiane, soprattutto a Napoli, stuprate dai militari Usa, anche qui senza processo. Siamo ancora alla Pelle di Curzio Malaparte.

Avendone la forza si dovrebbe intimare agli Stati Uniti di diminuire di molto la loro presenza militare in Europa. Se Donald Trump ridiventerà, come crediamo, Presidente degli Stati Uniti, possiamo contare sul suo “isolazionismo”. A “The Donald”, che prima di diventare politico è stato imprenditore e ne ha quindi la mentalità, non garba punto di spendere milioni di dollari per una difesa europea che nei suoi programmi è marginale (gli interessa di più la competizione, economica e non militare, con la Cina). E fu per questo motivo, economico, che ritirò le truppe dall’Afganistan per una guerra che, come affermava lo stesso Pentagono, “non si poteva vincere”. L’Afganistan è noto come “tomba degli Imperi”: gli afgani, non ancora talebani, ci hanno messo trent’anni per cacciare gli inglesi, dieci per cacciare i sovietici e venti per cacciare gli americani e i loro servi, fra i quali c’era naturalmente l’Italia, che in Afghanistan si è comportata come sempre si comporta: facendo di nascosto alleanze con i comandanti talebani (fare tresche col nemico è la nostra specialità, si veda il comportamento del generale Angioni in Libano nel periodo 1982-84).

Se Trump ridiventerà Presidente si può scommettere che la guerra russo-ucraina terminerà in pochi mesi. Non contano tanto i suoi buoni rapporti con Putin ma il fatto che, come si sgola da tempo il generale americano Mark Milley, anche questa “è una guerra che nessuno può vincere”.

“Vasto programma” quindi, con un percorso molto lungo e accidentato. Per quanto riguarda l’Italia, Meloni non può essere allo stesso tempo nazionalista, europeista e superatlantista, perché questo vuol dire avere sul collo lo scarpone americano per un altro secolo.

Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2024