La decisione della regione Emilia-Romagna di non ammettere agli asili nido i bambini che non siano stati vaccinati contro la poliomielite, la difterite, l’epatite B, il tetano ha suscitato qualche polemica ma in linea di massima è stata accolta in senso favorevole e una analoga norma dovrebbe essere presto adottata dalla regione Lazio.
Qui sono in contrasto due diritti: quello di libertà garantito dalla Costituzione all’articolo 32 che recita “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e quello della difesa della salute pubblica. Per aggirare l’articolo 32 la regione Emilia-Romagna ha adottato un escamotage intelligente: non impone ai genitori (che sono i titolari del diritto di libertà richiamato dalla norma costituzionale) di vaccinare i loro bambini ma li esclude dalla frequentazione dell’asilo nido. Perché dico che si tratta di un escamotage? Perché per imporre la vaccinazione occorrerebbe, come dice l’articolo 32, una legge che non può che essere nazionale. E’ quindi una decisione di buonsenso, in attesa che arrivi questa legge. La decisione della regione Emilia-Romagna riguarda infatti sostanzialmente malattie infettive che possono essere trasmesse ad altri soggetti. Se io non ho una malattia infettiva, poniamo un tumore, non posso essere obbligato a seguire le cure che mi consigliano, e certe volte cercano di impormi, i medici. Quando al cantautore francese Jacques Brel fu diagnosticato un tumore, girò il culo, salì sulla sua barca a vela, girò per due anni sui mari e morì nel modo che lui riteneva più degno. Quando Claudio Villa schiacciando sul pedale della sua moto fu colpito da infarto, ricoverato, intubato, monitorizzato, si strappò tutti quegli aggeggi riscattando con questa morte, che oserei chiamare eroica, quarant’anni di canzoni insopportabili (‘Binario triste e solitario’, ‘Mamma’ e via cantando).
Del tutto diverso è il discorso per le malattie infettive. Non a caso in antiquo le navi che portavano a bordo una persona infetta inalberavano la bandiera gialla. Niente da dire quindi sull’obbligo della vaccinazione per malattie che oltre a essere infettive sono particolarmente pericolose e spesso mortali per chi le contrae. La mia infanzia, la mia adolescenza furono turbate da quest’incubo della poliomielite cui le nostre madri cercavano di proteggerci con metodi empirici e sicuramente inefficaci come delle collane da cui pendeva un medaglione di canfora. Mi ricordo che una notte mi svegliai e scendendo dal letto non riuscivo a camminare. Non era la malattia ma il terrore ad avermi paralizzato (nella fantasia di noi bambini la ‘polio’ faceva molta più paura della morte perché portava alla paralisi. La felicità di un bambino è correre). Nel 1966 la vaccinazione antipolio secondo il metodo Sabin fu adottata anche in Italia e da allora questa terribile malattia è scomparsa dal nostro mondo.
Ho qualche dubbio invece sulle vaccinazioni a tappeto per le malattie infettive ma non particolarmente pericolose, come quelle esantematiche (il morbillo, la varicella) o per altre di tipo leggero come la pertosse detta ai miei tempi ‘tosse asinina’. Ai miei tempi pleistocenici a volte le mamme avvicinavano apposta il loro figlioletto sano a uno ammalato di morbillo perché se lo prendesse, era una specie di autoimmunizzazione ‘fai da te’. E la mia perplessità nasce proprio da qui, che a furia di proteggerci da tutto si indeboliscano le nostre difese immunitarie complessive. Quando ero ragazzino, d’inverno io uscivo scamiciato e non mi sono mai preso un’influenza. La madre dei quattro figli di Giovanni Mosca (il famoso vignettista e umorista) che abitavano due piani sotto di me, li faceva uscire imbacuccati fino all’inverosimile e si beccavano quattro influenze a stagione.
Quindi, come sempre, come in tutte le cose della vita, è una questione di equilibrio. Benissimo perciò la decisione della regione Emilia-Romagna, ma non portiamo le cose troppo oltre, non pretendiamo l’immunità da tutto. Perché non esiste e può portare a effetti paradossi.
Nel contempo un dossier dell’Agenzia dell’Unione Europea ci informa che lo smog uccide, in Europa, 467 mila persone all’anno, infinitamente di più di quante potrebbe farne qualsiasi epidemia di morbillo, di varicella, di pertosse e anche di meningite. Questa è una delle grandi emergenze dell’epoca moderna in materia di salute, e anche di qualità della vita, ma gli Stati fanno solo finta di occuparsene. Perché se lo facessero seriamente disturberebbero il ‘Grande Manovratore’ alias quell’economia industriale che tutti ci stressa e molto spesso, dati alla mano, ci fa ammalare e morire.
Massimo Fini
Il Fato Quotidiano, 26 novembre 2016
La Scienza, nel suo inesausto tentativo di spazzar via dalla nostra vita tutto ciò che è umano, sta preparando altri piatti tanto appetitosi quanto avvelenati. Al lettore non sarà certamente sfuggito (sul Fatto ne ha parlato Caterina Soffici) il caso della ragazzina londinese di quattordici anni che si è fatta ibernare nella speranza di poter un giorno risuscitare attraverso la tecnica chiamata della criogenesi. Ma non è la sola, negli Stati Uniti ci sono già 200 persone criogenicamente ibernate e duemila in attesa di poter accedere a questa pratica.
Si è parlato di costi, di profitti, di truffe nell’alimentare speranze illusorie. Ma il tema è assai più profondo. La nostra è la prima società che rifiuta la morte, la morte biologica, s’intende, che è inevitabile, da quella violenta si può sempre sperare di scapolarsela. La verità è che nella nostra società la morte è stata scomunicata, interdetta, proibita, dichiarata pornografica. La morte è diventata il Grande Tabù, “il Vizio che non osa dire il suo nome” (altro che la pederastia di vittoriana memoria) tanto che non si osa chiamarla col suo nome nemmeno là dove parrebbe inevitabile. Basta leggere i necrologi: “la scomparsa”, “la perdita”, “la dipartita”, “si è spento”, “ci ha lasciati”, “è mancato all’affetto dei suoi cari”, “i parenti piangono”, “è terminata la giornata terrena” c’è di tutto tranne la parola morte ad indicare ciò che è realmente avvenuto (quando morì mio padre il necrologio fu affidato, non so perché dato che ero il più giovane della famiglia, a me e io ribellandomi a queste ipocrisie scrissi: “è morto Tal dei Tali”).
Tutti questi interdetti e scomuniche significano una cosa sola: una paura della morte sconosciuta, in ugual misura, nelle società che ci hanno preceduto. E come diceva il vecchio e saggio Epicuro “muore mille volte chi ha paura della morte”.
Nella società agricola, premoderna, l’uomo viveva in intimo contatto con la Natura e, attraverso il ciclo seme-pianta-seme, era consapevole che la morte non è solo la conclusione inevitabile della vita, ma ne è la precondizione. Sapeva che non c’è la vita senza la morte. Sentiva di far parte di un tutto, di un destino più ampio, della sua famiglia, della comunità, della specie, della natura stessa, in cui la sua vita e la sua morte si scioglievano nell’eterno gioco del passaggio di testimone fra generazioni, fra i vecchi e i giovani. E quindi, anche se a nessuno è mai piaciuto morire, accettava, insieme alla vecchiaia (altro tabù contemporaneo), questo nucleo tragico dell’esistenza come lo chiamavano i filosofi quando esistevano ancora.
Ma questi motivi che consentivano all’uomo di ieri di accettare la morte con una certa serenità, sono, capovolti, gli stessi che lo impediscono a noi. Noi viviamo lontani dalla Natura, a contatto con oggetti che non si riproducono ma semmai si sostituiscono, e alla cui sorte ci sentiamo sinistramente omologhi, abbiamo perso il senso di un destino collettivo e quindi sentiamo la nostra morte come un evento radicale, definitivo, assoluto, esclusivamente individuale e quindi totalmente inaccettabile.
Ma poniamo che i nuovi Frankenstein realizzino il loro obbiettivo. Ciò avverrebbe gradualmente. All’inizio ci sarebbero alcune centinaia di individui ‘resuscitati’, poniamo, dopo qualche decennio. Come ha notato anche il padre della sfortunata ragazza si troverebbero in un totale spaesamento, a fianco di figli lasciati bambini e ora ottantenni. Ma andiamo ancora avanti in questo delirio seguendo il mito dell’immortalità (almeno le religioni, un po’ più sapienti, l’avevano pensata metafisica, noi la pretendiamo fisica) e che gli scienziati completino la loro opera per tutti. Alla fine, se non altro per mancanza di spazio, non ci sarebbe più alcun rinnovo. Ci troveremmo di fronte ad una umanità pietrificata. E quindi, paradossalmente, l’immortalità porterebbe alla morte.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 22 novembre 2016
Ora che si è quasi esaurita l’orgia sulle elezioni americane e sul controverso personaggio Donald Trump, in Italia l’attenzione torna a concentrarsi sul Referendum costituzionale.
La Costituzione, qualsiasi Costituzione, non è un tabù. Risente del momento storico in cui è stata concepita. La nostra è stata varata alla fine della guerra, dopo la caduta del fascismo e ha fra i suoi intenti principali quello di impedire il riaffiorare di un ‘uomo forte’ ed è quindi fatta di una serie di pesi e contrappesi, di misure e contromisure, di istituzioni che dovrebbero controllare altre istituzioni, appesantendola fortemente in un’epoca-turbo in cui le decisioni devono essere prese il più rapidamente possibile.
Ma in realtà la nostra Costituzione, come ogni altra Costituzione, è solo una mera e simbolica dichiarazione di intenti e di princìpi, in cui c’è tutto e il suo contrario per cui la si può piegare in un senso o in un altro sostituendola con la cosiddetta ‘costituzione materiale’, come è avvenuto in Italia e come ammette anche quel grande studioso della liberal-democrazia che è Giovanni Sartori (Democrazia e definizioni). Tant’è che in alcuni Paesi, molto pragmatici, come la Gran Bretagna si è rinunciato ad avere una Costituzione sostituendola con la ‘common law’.
L’errore è alla base. Non si può porre una questione così complessa, che implica il cambiamento di decine di norme, sotto forma di referendum che vuole un netto Sì o un netto No a tutto il pacchetto. In aggiunta non si può fare una riforma di questo genere in quattro e quattr’otto perché al presidente del Consiglio gli è venuta la fregola del ‘cambiamento’. Ci vorrebbe come minimo un lunghissimo e ponderato esame parlamentare. L’Assemblea Costituente, in cui erano presenti i maggiori giuristi italiani, a cominciare da Meuccio Ruini che ne divenne presidente (“Commissione dei 75”), ci mise circa un anno e mezzo di lavori per preparare il testo che sarà alla base della Costituzione attualmente vigente promulgata il 1° gennaio del 1948.
Inoltre le nuove norme sono formulate in termini talmente involuti da non essere comprensibili non dico al comune cittadino ma anche agli esperti. Marco Travaglio ha cercato di tradurre in italiano queste norme, ma è stata una fatica improba come trasformare un testo sanscrito in un linguaggio attuale.
In realtà fatte tutte queste premesse, il Referendum costituzionale diventa una questione di lana caprina. E’ semplicemente un Sì o un No a Matteo Renzi e alla sua politica. E’ stato lo stesso Renzi, ubbriacato dal successo alle elezioni europee che con quelle italiane hanno poco a che vedere, a trasformare imprudentemente il Referendum costituzionale in un referendum su se stesso. Chi vuole che Renzi resti al suo posto voterà quindi Sì gli altri No. Anche se non è affatto certo che se vince il No Renzi se ne vada a casa come aveva inizialmente promesso (“mi ritirerò dalla vita politica”). Perché poi ha fatto marcia indietro dicendo che se il partito glielo chiede resta al suo posto. Adesso ha fatto finta di cambiare nuovamente idea (“non sono uno abituato a galleggiare”). Del resto che credibilità può avere un tipo che dice all’amico “stai sereno” e due giorni dopo gli sfila il posto? Se lo avesse fatto in un bar non avrebbe potuto più rientrarci. Da noi è diventato presidente del Consiglio. Questa è l’Italia, di Renzi e degli ultimi trent’anni.
In verità si sarebbero dovute invertire le due questioni. Prima varare una legge elettorale che modifichi la precedente (il cosiddetto ‘Italicum’) e poi, semmai, pensare alla questione costituzionale. Perché almeno sapremmo qual è la consistenza dei partiti che a questa Costituzione dovrebbero poi porre mano. Oggi invece sono in campo partiti che non esistono più, come Forza Italia col suo presidente ottuagenario e in pieno marasma senile o Ncd che ha percentuali da albumina o misteriose neoformazioni come Ala o l’Udc del sempreverde Pier Ferdinando Casini, mentre non sappiamo la reale consistenza delle due formazioni che si giocano la partita, i Cinque Stelle e il Pd. Elezioni subito, questa è la questione. Tutto il resto è fuffa.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2016