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Io credo che l’Occidente stia perdendo la testa. In Italia si vuole proibire l’odio, adesso, negli Stati Uniti, anche l’amore. Il lettore sarà forse al corrente della vicenda di Steve Easterbrook, amministratore delegato di McDonald’s, costretto alle dimissioni per avere una relazione consensuale con una collega. La vittima, Easterbrook, dando le dimissioni si è detto pentito del suo comportamento e d’accordo con l’Azienda. Questo mi ricorda un’altra vicenda che ho letto in Doctor Faustus di Thomas Mann. Siamo sul finire del secolo XV, in piena Inquisizione, a Merseburg presso Costanza dove vive un giovane bottaio “bello d’aspetto e sano”. Il bottaio ama, riamato, Barbara la più bella ragazza del paese. La relazione, sia pur malvista, è nota a tutti. Un giorno Heinz viene trascinato dagli amici in un bordello di Costanza. Davanti alla bagascia lui fa cilecca, cosa normalissima perché lui è attivo sessualmente con la sua amata,  che se ne fa di una troia? Il fallimento di Heinz reso noto dai suoi compagni arriva alle orecchie di Santa Madre Chiesa la quale ne ricava che il ragazzo deve essere stato stregato dalla sua fidanzata con uno speciale unguento fornitogli da una fattucchiera. In breve: lei viene bruciata viva sulla pubblica piazza. E qui viene la parte più spaventosa della storia: “Heinz, lo stregato, era in mezzo agli spettatori, a capo scoperto, e mormorava preghiere. Le grida della sua diletta soffocate dal fumo e irriconoscibilmente arrochite gli parvero la voce del Demonio che da lei usciva recalcitrando e urlando”. Il ragazzo si era fatto convincere che il suo amore era colpevole.

Su un piano meno drammatico, ma altrettanto significativo, si pone la vicenda dell’amministratore delegato di McDonald’s. E poco importa che il regolamento interno di McDonald’s interdica le relazioni amorose fra i dipendenti anche se del tutto consensuali perché nessun regolamento interno di qualsiasi azienda o consimili può impedire quelli che sono diritti (anzi molto più che diritti) indisponibili della persona. C’è quasi da vergognarsi a dover sottolineare questa ovvietà. Io mi innamoro di una mia collega con cui sono in contatto tutto il santo giorno, lei mi corrisponde, niente di più scontato, di più ovvio, milioni di coppie si sono formate così, e poi dobbiamo nasconderci, come ladri di galline, per sfuggire alla punizione della Santa Inquisizione Aziendale. La McDonald’s ha tenuto a chiarire che “non saranno forniti dati sul flirt”. E ci mancherebbe. La Santa Inquisizione Aziendale è entrata in camera da letto dei due: si saranno mica baciati, lei gli ha fatto un pompino, lui gli ha strizzato i seni?

Stiamo raggiungendo, e forse sorpassando, i vertici del più estremo radicalismo islamico. L’età giovane dei fratelli Dardenne, film bellissimo, racconta la storia di un adolescente che viene radicalizzato e plagiato da un Imam al punto che quando una volta si lascia andare a dare un castissimo bacio a una bella ragazza che lo desidera si sente talmente in colpa di fronte alla sua religione da dover poi passare un’ora in bagno a sciacquarsi la bocca. In questa disposizione d’animo più o meno deve essersi sentito Steve Easterbrook quando ha dato le dimissioni e ammesso la sua colpa. Unica differenza: nell’islamismo l’interdetto è religioso, qui è laico.

Il puritanesimo imperante di marca yankee (#Metoo compreso), che è poi solo l’altra faccia della nostra violenza, diffuso ormai anche in Europa, ci vuole ridurre a esseri disincarnati, a figure puramente astratte, senza odii, senza amori, senza passioni, costretti a portar sacrifici, dei veri sacrifici umani, a un altro dei Totem di una Modernità sempre più incalzante, dilagante, asfissiante: il Lavoro.

Basta. Ribelliamoci. Io voglio poter continuare ad amoreggiare con la mia compagna di banco, senza che nessuno ci ficchi il suo ipocrita, perbenista e sporco becco.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2019

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Detesto gli ebrei, detesto i musulmani, detesto i serbi, detesto i croati, detesto gli italiani, detesto gli americani, detesto gli omosessuali, sono orgoglioso di essere ebreo, sono orgoglioso di essere musulmano, sono orgoglioso di essere serbo, sono orgoglioso di essere croato, sono orgoglioso di essere italiano, sono orgoglioso di essere americano, sono orgoglioso di essere omosessuale. Se scrivo queste cose passerò sotto le forche caudine della Commissione straordinaria la cui istituzione è stata votata il 30 ottobre per il contrasto a “intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nelle loro diverse manifestazioni di tipo razziale, etnico nazionale, religioso, politico e sessuale”? E poco importa se queste affermazioni io le faccio su web o su carta stampata o parlando in televisione o in qualsiasi altro luogo pubblico perché il contrasto ai fenomeni messi all’indice dalla Commissione deve essere, a rigor di logica, omnicomprensivo. Qui non è in discussione la figura della senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, che ha diritto, come ogni altro cittadino, al rispetto e che ha, come ogni altro cittadino, a disposizione per sua difesa il Codice penale che punisce il reato di ingiuria, qui sono in gioco princìpi fondamentali e indisponibili di libertà garantiti dalla nostra Costituzione all’articolo 21. Non è necessario essere di destra o essere Matteo Salvini per condividere in pieno questa sua affermazione: “Non vogliamo bavagli, non vogliamo uno stato di polizia che ci riporti ad Orwell”.

Qui siamo al di là anche della pur discutibilissima legge Mancino del 1993 che punisce “discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. L’odio è un sentimento, come la gelosia, l’ira, l’amore e ai sentimenti, in quanto tali, non si possono mettere le manette. Per quanto ci risulta, come abbiamo già avuto modo di scrivere su questo giornale, neanche i peggiori totalitarismi si erano spinti fino a questo punto: punivano le azioni, le ideologie, le opinioni ma non i sentimenti. In una democrazia tutte le opinioni o ideologie o espressioni sentimentali, giuste o sbagliate che siano, dovrebbero avere diritto di cittadinanza. L’unico discrimine è che nessuna opinione, nessuna ideologia, nessun sentimento può essere fatto valere con la violenza. Io ho il diritto di odiare chi mi pare, ma se gli torco anche solo un capello devo finire in galera.

L’istituita Commissione va oltre la legge Mancino perché si focalizza anche sui nazionalismi, gli etnocentrismi e sulla politica. In base a questa concezione Donald Trump che afferma “America first” dovrebbe finire in gattabuia. E con lui qualsiasi formazione politica che non sia in linea con le opinioni del grande fratello di orwelliana memoria o che abbia un orgoglio etnico.

A nostro avviso i parlamentari italiani invece di istituire Commissioni che non si sa se definire tragiche o ridicole dovrebbero smetterla di azzuffarsi ogni giorno nei talk in modo scomposto e verbalmente violento dando così un pessimo esempio a quella popolazione che dicono di voler formare. Un minimo di buona educazione, ecco quello che dobbiamo pretendere dai nostri parlamentari. A noi basterebbe. Ce ne sarebbe anzi d’avanzo.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2019

 

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Vigliacco! Piangeva, gridava. Era terrorizzato. Altro che eroe, è morto come un codardo. Si è fatto esplodere, trascinando con sé tre bambini”. Questa la dichiarazione, a reti unificate, di un tronfio Donald Trump il giorno in cui ha dato la notizia dell’uccisione di Al Baghdadi.

Non mi pare che uno che si suicida facendosi saltare in aria possa essere accusato di vigliaccheria. E’ una morte da mujaheddin, da combattente. Mi piacerebbe sapere come si comporterebbe in una situazione analoga Donald Trump, comandante in capo dell’esercito statunitense, che fa il fenomeno dietro una scrivania. I precedenti non sono incoraggianti. Quando ci fu l’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono George W. Bush fu ficcato a forza sull’Air Force One e portato prudentemente lontano dal luogo delle operazioni. Un comportamento non precisamente da eroe, come ebbe il coraggio di far notare la scrittrice statunitense Susan Sontag.

Agli americani non basta vincere, hanno il morboso bisogno di umiliare il nemico sconfitto. Lo fecero anche con Osama Bin Laden quando finsero di averlo ucciso nel 2011 ad Abbottabad in Pakistan, affermando che il Califfo saudita al momento del dunque aveva vigliaccamente cercato di proteggersi dietro una delle sue mogli e scovando materiale pornografico nel suo nascondiglio. Dico “finsero” perché nessuno può credere, tranne il loro popolo che è ingenuo e naif (ed è il suo aspetto più simpatico), che si cattura il “pericolo pubblico numero uno”, lo si uccide ma non se ne fanno vedere le spoglie e si butta frettolosamente il cadavere in mare in modo che nessuno possa più controllare niente. Pratica che è stata usata anche adesso con Al Baghdadi, per cui c’è qualcuno, come il New York Times, che dubita che il Califfo sia stato veramente ucciso nel giorno indicato da Trump, ma che la data sia stata sfasata per gli interessi elettorali dell’inquilino della Casa Bianca (sia detto di passata, Bin Laden deve essere morto fra il 2004 e il 2005, probabilmente per malattia –aveva i reni gravemente compromessi– oppure ucciso dagli stessi americani per tappargli la bocca, perché sapeva troppe cose compromettenti. Altrimenti non si capirebbe perché fino al 2004 il Califfo saudita abbia sculato davanti a ogni video possibile e immaginabile per poi scomparire improvvisamente, di colpo, e rispuntare magicamente sei o sette anni dopo).

Un’altra specialità yankee è quella di negare una degna sepoltura ai propri nemici. Lo hanno fatto, stando alla loro narrazione, con Osama Bin Laden, lo fanno ora con Al Baghdadi: in mare, ai pesci e non se ne parli più. In epoche passate, quando gli americani non erano ancora comparsi all’onor del mondo, una tomba e le relative onoranze funebri non si negavano a nessuno, foss’anche il peggior nemico. Quando Catilina osò sfidare lo Stato romano prendendo le parti dei piccoli proprietari terrieri e dei plebei contro le oligarchie senatorie, latifondiste e fainéant che depredavano i primi e opprimevano i secondi, e cadde eroicamente in battaglia, in una lotta impari, il suo cadavere fu restituito agli anziani genitori. Quando l’imperatore Nerone, colpito da ‘damnatio memoriae’, la più definitiva pena per un cittadino romano, fu costretto al suicidio, nessuno si sognò di negargli le onoranze funebri, che furono curate dalle sue nutrici Egloge e Alessandra, né tantomeno una tomba sulla quale la plebe di Roma, che lo aveva molto amato, continuò a portar fiori per trent’anni ancora.

Ma torniamo al piacere di umiliare i nemici sconfitti. Nel lungo viaggio che li portava a Guantanamo i guerriglieri talebani che erano stati catturati ed esposti alla curiosità di tutte le televisioni (trattamento alla Saddam Hussein) furono narcotizzati e muniti di pannoloni per umiliarli e in quella famigerata prigione venivano trasportati in carriola per renderli ridicoli e rinchiusi in gabbie illuminate notte e giorno. Questa di mettere i nemici in gabbia è proprio una mania yankee. Nell’immediato dopoguerra il poeta Ezra Pound, mallevadore di molti letterati statunitensi, colpevole di essere vissuto in Italia e di non aver osteggiato il fascismo fu messo anche lui in una gabbia illuminata giorno e notte ed esposto, come una bestia, alla curiosità della canaglia che poteva osservarlo anche mentre cacava. E il grande Ezra, una volta liberato, per dieci anni si chiuse, per ripicca, in un mutismo assoluto. L’orrore sadico e perverso di Abu Ghraib lo ricordiamo tutti. Durante il processo di Norimberga i criminali nazisti venivano ridicolizzati obbligandoli a deporre in piedi indossando dei pantaloni privi di cintura e costretti a tenerseli su con le mani.

Pare che durante l’incursione nei cunicoli di Barisha alla caccia di Al Baghdadi i commandos americani fossero guidati da un cane che, ferito, è stato subito elevato a eroe nazionale. Gli altri si fanno saltare in aria, da noi, tecnologicamente avanzatissimi, gli “eroi” possono essere solo dei cani.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 1 novembre 2019