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Clamoroso al Cibali: la Marina militare italiana ha abbattuto un drone. Il protagonista di questa eroica prestazione è il capitano di vascello Andrea Quondamatteo, di San Benedetto del Tronto, comandante della Caio Duilio che opera attualmente nel Mar Rosso. L’azione è parsa così meravigliosa che il Corriere della Sera, non il giornalino di parrocchia di San Benedetto, ha pensato di dedicargli un’intervista a tutta pagina. Qui il capitano Quondamatteo, fingendo modestia, ma trasudando orgoglio (l’ordine dell’abbattimento l’ho dato io, proprio io, solo io, non il contrammiraglio Stefano Costantino, mio superiore diretto) ci informa di tutti i dettagli tecnici dell’operazione, ecoradar, telecamere a infrarossi, ma per esser certi del risultato si è avuto bisogno dell’“apprezzamento ottico”, cioè di vedere con i propri occhi che il micidiale drone era caduto in mare. Il timore del capitano Quondamatteo era di colpire un drone amico, tedesco, francese o degli altri Paesi che partecipano alla “missione Aspides”. Forse c’è qualche difetto di collegamento tra la nostra Marina e le altre che operano nel Mar Rosso. Che il drone non fosse amico lo si poteva dedurre facilmente dalla sua direzione, partito dallo Yemen stava solcando il Mar Rosso proprio, o bella, o orrore, nella nostra direzione.

Il comandante della Caio Duilio è stato sommerso dalle congratulazioni: del governo italiano, dei comandanti delle navi Jolly Rosa e Grande Baltimora, dell’ammiraglio Enrico Credendino, capo di stato maggiore della Marina Militare (il contrammiraglio Stefano Costantino, diretto superiore del Quondamatteo, si è prudentemente e saggiamente astenuto, sembrandogli, probabilmente, che troppo fosse il clamore creato da quell’abbattimento). Sui social il capitano Quondamatteo è stato paragonato a Mosè che divise le acque del Mar Rosso e anche a qualche eroe omerico, tipo Achille. Ora della tipologia dell’eroe il capitano Andrea Quondamatteo non ha proprio le caratteristiche. Ha un fisico che, almeno in fotografia, appare qualunque e più che a Ettore o ad Achille somiglia a Enrico Letta o piuttosto al capitano Rigoletto, protagonista di uno straordinario racconto di Dino Buzzati che fotografa, si per dire, la modestia fisica dei comandanti di una grandissima operazione probabilmente atomica. Buzzati, a me par di capire, aveva intuito che nella guerra moderna, tutta tecnologica, il valore fisico sarebbe andato a scomparire.

Ma se un solo drone ci mette in allarme, vuole complicatissime operazioni di collegamento e di raccordo con gli eserciti nostri alleati e addirittura un “apprezzamento ottico”, che dovrebbero dire i comandanti della difesa ucraina che ne affrontano ogni giorno almeno un centinaio?

Il fatto è che noi italiani non siamo più preparati alla guerra. Quando ci capita, spinti a calci in culo dagli americani, treschiamo subito col nemico come abbiamo fatto in Afganistan stringendo patti leonini con i comandanti talebani o in Libano all’epoca della missione, nel 1983, del generale Angioni. Il tradimento, il passare dall’altra parte, quella del vincitore, sta nei nostri geni, intesi come struttura del Dna, non come intelligenze superiori, vedi la prima e la seconda guerra mondiale (pugnalare l’alleato mentre si combatte per la vita o per la morte, fosse pure tedesco e nazista per soprammercato, non mi è mai parsa un’azione lodevole).

Non essere più preparati alla guerra, perché in Europa dal 1945 in poi non ce ne sono state, fino all’aggressione russa all’Ucraina, sembrerebbe di per sé un bene. Ma è anche un male perché la guerra serve, nella vita pubblica e anche privata, ad avere il senso delle proporzioni. Quello che è mancato al governo italiano, ai vari media che si sono lanciati in elogi turibolanti e allo stesso Rigoletto.

Il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2024

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Berlusconi è morto e consuma il suo Eterno Riposo nel mausoleo di Arcore, ma la sua anima, sarebbe meglio dire il suo spirito, aleggia ancora, se non in Cielo, perché sarebbe azzardatissimo dire quale posto occupi l’ex Cavaliere in quel lontanissimo e remoto Empireo, perché innanzitutto bisognerebbe dare per presupposto che esista un Cielo e che in quel luogo si eserciti, oltre a quello di primo grado, l’Appello, la Cassazione, la Revisione, la Corte internazionale dei diritti dell’uomo, anche un sesto e insindacabile giudizio, il Giudizio Universale, che dovrebbe punire alla fine dei Tempi i disonesti, i corrotti, i corruttori, i truffatori di ragazze minorenni ed orfane, e premiare coloro che in vita si sono comportati correttamente, cioè gli eterni fessi, insieme ai risparmiatori, ripagati, secondo il Verbo del Cristo, perché “è dei poveri di spirito il Regno dei Cieli” e poi “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco varchi la porta del Paradiso”. Campa cavallo, anzi cammello, perché per avere un po’ di giustizia dovremmo aspettare la fine dei Tempi.

Comunque, se non si può sapere se lo spirito di Berlusconi aleggi nel Regno dei Cieli, non si sa mai, agisce, e molto concretamente, nient’affatto spiritualmente, sulla Terra. Si sa che a Berlusconi i magistrati non sono mai stati molto simpatici. Li definì “antropologicamente pazzi”, non esseri umani in senso proprio, così come non gli è mai andata a genio la Magistratura nel suo complesso, per cui, lui premier, in terra di Spagna definì il legittimo, anzi doveroso, agire di Mani Pulite “una guerra civile”. Queste sì sono cose che non stanno né in Cielo né in Terra e che possono avvenire solo in Italia. In nessun altro Paese sarebbero passate senza qualche bacchettata del Presidente della Repubblica, da noi niente, aggiungendo così brace al fuoco della protervia berlusconiana cui contribuì parecchio Vittorio Feltri per cui per anni, sul Giornale da lui diretto (ho la raccolta completa), non c’era errore di un magistrato, commesso sia pure in Nuova Zelanda, che non trovasse posto in prima pagina.

Adesso sull’onda dello Spirito berlusconiano si riaffaccia la proposta di un test psicologico non solo per chi sta facendo tirocinio per entrare in magistratura, ma anche, come pare di capire nel confusissimo dibattito che questa proposta ha generato, ai magistrati già in servizio. Si è parlato anche di un Tso per costoro.

È ovvio che se passasse questa proposta, che vede come capofila, non a caso, un senatore di Forza Italia, Pierantonio Zanettin, appena un Pm prendesse un’iniziativa sgradita o un giudice deliberasse in modo altrettanto sgradito, si scatenerebbe mediaticamente e anche politicamente la caccia al magistrato. Emblematico è il caso del giudice Raimondo Mesiano, nel 2009, che aveva condannato Fininvest a risarcire la Cir di De Benedetti. Dopo un’udienza fu pescato da una troupe di Mediaset seduto su una panchina mentre fumava e gli si vedevano, sotto il risvolto, dei calzini color turchese. Segno inequivocabile, secondo la troupe di Mediaset, ripresa poi da altri media berlusconiani, di un’instabilità mentale. La troupe fu poi condannata per violazione della privacy e il direttore di Videonews, Claudio Brachino, fu sospeso dall’Ordine dei giornalisti. Ma intanto la minaccia mafiosa era arrivata. Stessa sorte era toccata a John Henry Woodcock, non a caso di origine inglese, uno dei nostri magistrati più irreprensibili, non rilascia interviste e quando lascia la città dove vive per una qualche indagine non ne informa nemmeno la propria fidanzata. Il giovane magistrato (allora era giovane, oggi ha 56 anni) fu pescato mentre inforcava una moto, non era normale.

Da Mani Pulite in poi si è fatta una lotta senza quartiere alla Magistratura, da parte dei berluscones ma non solo, che continua ancora oggi, come la proposta del “test attitudinale” dimostra.  

Berlusconi è morto e sia pace all’anima sua, il berlusconismo no e “lotta insieme a noi”, i mascalzoni.

Il Fatto Quotidiano, 6 marzo 2024

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"Non è il sonno ma il sogno della Ragione che genera mostri" (M. F.)