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Che ArcelorMittal, nei recenti sviluppi del dramma dell’Ilva, abbia torto è fuor di dubbio: ha firmato un contratto e adesso non intende più rispettarlo essendosi accorta (o facendo finta) che i suoi investimenti in Ilva non sarebbero stati remunerativi.

Sarebbe però del tutto fuorviante addebitare l’intero dramma Ilva, che vede in conflitto salute e lavoro, al gruppo indo-francese perché questo è entrato in scena, nella parte di affittuario dell’Ilva, solo nel novembre del 2018. E prima? Prima la storia del colosso siderurgico è una storia italiana, italianissima con protagonisti tutti italiani. Scrive Angelo Bonelli nel suo Good Morning Diossina: “Le proporzioni del dramma sanitario e ambientale nel capoluogo ionico, a partire dai primi anni ‘90, erano evidenti sia alla popolazione che ai medici che constatavano un aumento di malattie da mesotelioma, leucemie, patologie tumorali e malattie della tiroide. Nonostante vi fossero segnali preoccupanti dal punto di vista sanitario, collegati alla grave situazione di inquinamento ambientale, le Istituzioni si dimostravano immobili e latitanti”. Il drammatico conflitto fra salute e lavoro risale quindi ai primi anni 80 quando ArcelorMittal era lungi da essere apparsa a l’onor del mondo italiano. E qui bisogna fare una breve storia del colosso siderurgico di Taranto.

Alla sua nascita, fra il 1960 e il 1965, la proprietà di quella che oggi chiamiamo Ilva era dell’Italsider, società pubblica, di Stato, ovviamente italiana. In grave crisi durante tutti gli anni 80 l’acciaieria venne venduta nel 1995, a prezzi di favore, alla famiglia Riva, italiana. Da quando la magistratura nel 2012 cominciò ad occuparsi del ‘caso Ilva’, che non poteva quindi più restare nascosto, si sono succeduti sei esecutivi, governo Monti, governo Letta, governo Renzi, governo Gentiloni, governo Conte I e governo Conte II. Almeno i primi cinque hanno pasticciato con una serie di decreti e controdecreti, di leggi e di controleggi, in una confusione indescrivibile, senza cavare un ragno dal buco. Adesso Conte (due) cerca di metterci una pezza togliendo di mezzo alcuni pretesti, come lo “scudo penale” con cui Mittal ha cercato di giustificare il suo recesso dal contratto, ma lo stesso Conte ha dovuto onestamente ammettere di “non avere soluzioni in mano” se ArcelorMittal deciderà comunque di ritirarsi. Arvedi, Del Vecchio, gli antichi concorrenti di ArcelorMittal, hanno fatto capire di non essere più interessati. E comunque se anche un gruppo italiano o internazionale decidesse di entrare nell’ex Ilva potrà porre condizioni ancora peggiori di quelle di ArcelorMittal perché il governo italiano è preso per la gola.

Ilva è la più grande acciaieria d’Europa, ma in Europa ci sono molte altre acciaierie di quasi uguale portata e nessuna è nelle sue condizioni. Come mai? Evidentemente le altre acciaierie europee quando hanno installato i loro stabilimenti hanno preso qualche precauzione. Per esempio in Europa la stessa ArcelorMittal piazza i suoi stabilimenti a qualche chilometro dai centri abitati. Probabilmente, ma non lo sappiamo, chi ci va a lavorare si ammala ugualmente di tumore ma almeno l’acciaieria non inquina un’intera comunità come l’Ilva che sta nel bel centro di Taranto.

Che fare ora? Si dice: nazionalizziamo l’ex Ilva. Ma a parte che non è affatto detto che questo sia compatibile con le norme europee i precedenti non sono incoraggianti. Quante volte lo Stato è intervenuto in Alitalia perdendoci un mucchio di quattrini, i quattrini dei contribuenti, e adesso siamo costretti a chiedere l’elemosina a Lufthansa o a qualche altra compagnia aerea che certamente non si accollerà Alitalia gratuitamente ma chiedendoci un prezzo pesante? A mio avviso è evidente che, al di là del ‘caso Ilva’, esiste una ‘tara Italia’ che affonda le sue radici molto lontano nel tempo e che dipende dall’incapacità, dall’insipienza, dalla corruzione dei nostri governanti. Il colossale debito pubblico, che ci rende difficile muoverci in qualsiasi settore, lo abbiamo accumulato a partire dalla metà degli anni 80 con l’allegra e corruttiva gestione della cosa pubblica da parte del cosiddetto CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) e in questo caso non è responsabilità né di Berlusconi né di tutti i governi che si sono succeduti dal 1994 dopo che Mani Pulite aveva cercato, senza riuscirvi, di richiamare la nostra classe dirigente, politica e imprenditoriale, al rispetto delle leggi e alle proprie responsabilità. Il ‘caso Ilva’ non è quindi che la punta dell’iceberg di una mala gestione decennale in cui sono coinvolti tutti i governi e anche noi cittadini che non ci siamo mai ribellati salvo quando abbiamo dovuto renderci conto di un dramma che sembra irrisolvibile: o vai a lavorare e ti ammali o non ci vai e non hai i soldi per vivere e devi ricorrere a una carità pubblica che il ‘sistema Italia’ non è in grado di sostenere. Auguri.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 13 novembre 2019

 

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Io credo che l’Occidente stia perdendo la testa. In Italia si vuole proibire l’odio, adesso, negli Stati Uniti, anche l’amore. Il lettore sarà forse al corrente della vicenda di Steve Easterbrook, amministratore delegato di McDonald’s, costretto alle dimissioni per avere una relazione consensuale con una collega. La vittima, Easterbrook, dando le dimissioni si è detto pentito del suo comportamento e d’accordo con l’Azienda. Questo mi ricorda un’altra vicenda che ho letto in Doctor Faustus di Thomas Mann. Siamo sul finire del secolo XV, in piena Inquisizione, a Merseburg presso Costanza dove vive un giovane bottaio “bello d’aspetto e sano”. Il bottaio ama, riamato, Barbara la più bella ragazza del paese. La relazione, sia pur malvista, è nota a tutti. Un giorno Heinz viene trascinato dagli amici in un bordello di Costanza. Davanti alla bagascia lui fa cilecca, cosa normalissima perché lui è attivo sessualmente con la sua amata,  che se ne fa di una troia? Il fallimento di Heinz reso noto dai suoi compagni arriva alle orecchie di Santa Madre Chiesa la quale ne ricava che il ragazzo deve essere stato stregato dalla sua fidanzata con uno speciale unguento fornitogli da una fattucchiera. In breve: lei viene bruciata viva sulla pubblica piazza. E qui viene la parte più spaventosa della storia: “Heinz, lo stregato, era in mezzo agli spettatori, a capo scoperto, e mormorava preghiere. Le grida della sua diletta soffocate dal fumo e irriconoscibilmente arrochite gli parvero la voce del Demonio che da lei usciva recalcitrando e urlando”. Il ragazzo si era fatto convincere che il suo amore era colpevole.

Su un piano meno drammatico, ma altrettanto significativo, si pone la vicenda dell’amministratore delegato di McDonald’s. E poco importa che il regolamento interno di McDonald’s interdica le relazioni amorose fra i dipendenti anche se del tutto consensuali perché nessun regolamento interno di qualsiasi azienda o consimili può impedire quelli che sono diritti (anzi molto più che diritti) indisponibili della persona. C’è quasi da vergognarsi a dover sottolineare questa ovvietà. Io mi innamoro di una mia collega con cui sono in contatto tutto il santo giorno, lei mi corrisponde, niente di più scontato, di più ovvio, milioni di coppie si sono formate così, e poi dobbiamo nasconderci, come ladri di galline, per sfuggire alla punizione della Santa Inquisizione Aziendale. La McDonald’s ha tenuto a chiarire che “non saranno forniti dati sul flirt”. E ci mancherebbe. La Santa Inquisizione Aziendale è entrata in camera da letto dei due: si saranno mica baciati, lei gli ha fatto un pompino, lui gli ha strizzato i seni?

Stiamo raggiungendo, e forse sorpassando, i vertici del più estremo radicalismo islamico. L’età giovane dei fratelli Dardenne, film bellissimo, racconta la storia di un adolescente che viene radicalizzato e plagiato da un Imam al punto che quando una volta si lascia andare a dare un castissimo bacio a una bella ragazza che lo desidera si sente talmente in colpa di fronte alla sua religione da dover poi passare un’ora in bagno a sciacquarsi la bocca. In questa disposizione d’animo più o meno deve essersi sentito Steve Easterbrook quando ha dato le dimissioni e ammesso la sua colpa. Unica differenza: nell’islamismo l’interdetto è religioso, qui è laico.

Il puritanesimo imperante di marca yankee (#Metoo compreso), che è poi solo l’altra faccia della nostra violenza, diffuso ormai anche in Europa, ci vuole ridurre a esseri disincarnati, a figure puramente astratte, senza odii, senza amori, senza passioni, costretti a portar sacrifici, dei veri sacrifici umani, a un altro dei Totem di una Modernità sempre più incalzante, dilagante, asfissiante: il Lavoro.

Basta. Ribelliamoci. Io voglio poter continuare ad amoreggiare con la mia compagna di banco, senza che nessuno ci ficchi il suo ipocrita, perbenista e sporco becco.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2019

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Detesto gli ebrei, detesto i musulmani, detesto i serbi, detesto i croati, detesto gli italiani, detesto gli americani, detesto gli omosessuali, sono orgoglioso di essere ebreo, sono orgoglioso di essere musulmano, sono orgoglioso di essere serbo, sono orgoglioso di essere croato, sono orgoglioso di essere italiano, sono orgoglioso di essere americano, sono orgoglioso di essere omosessuale. Se scrivo queste cose passerò sotto le forche caudine della Commissione straordinaria la cui istituzione è stata votata il 30 ottobre per il contrasto a “intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nelle loro diverse manifestazioni di tipo razziale, etnico nazionale, religioso, politico e sessuale”? E poco importa se queste affermazioni io le faccio su web o su carta stampata o parlando in televisione o in qualsiasi altro luogo pubblico perché il contrasto ai fenomeni messi all’indice dalla Commissione deve essere, a rigor di logica, omnicomprensivo. Qui non è in discussione la figura della senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, che ha diritto, come ogni altro cittadino, al rispetto e che ha, come ogni altro cittadino, a disposizione per sua difesa il Codice penale che punisce il reato di ingiuria, qui sono in gioco princìpi fondamentali e indisponibili di libertà garantiti dalla nostra Costituzione all’articolo 21. Non è necessario essere di destra o essere Matteo Salvini per condividere in pieno questa sua affermazione: “Non vogliamo bavagli, non vogliamo uno stato di polizia che ci riporti ad Orwell”.

Qui siamo al di là anche della pur discutibilissima legge Mancino del 1993 che punisce “discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. L’odio è un sentimento, come la gelosia, l’ira, l’amore e ai sentimenti, in quanto tali, non si possono mettere le manette. Per quanto ci risulta, come abbiamo già avuto modo di scrivere su questo giornale, neanche i peggiori totalitarismi si erano spinti fino a questo punto: punivano le azioni, le ideologie, le opinioni ma non i sentimenti. In una democrazia tutte le opinioni o ideologie o espressioni sentimentali, giuste o sbagliate che siano, dovrebbero avere diritto di cittadinanza. L’unico discrimine è che nessuna opinione, nessuna ideologia, nessun sentimento può essere fatto valere con la violenza. Io ho il diritto di odiare chi mi pare, ma se gli torco anche solo un capello devo finire in galera.

L’istituita Commissione va oltre la legge Mancino perché si focalizza anche sui nazionalismi, gli etnocentrismi e sulla politica. In base a questa concezione Donald Trump che afferma “America first” dovrebbe finire in gattabuia. E con lui qualsiasi formazione politica che non sia in linea con le opinioni del grande fratello di orwelliana memoria o che abbia un orgoglio etnico.

A nostro avviso i parlamentari italiani invece di istituire Commissioni che non si sa se definire tragiche o ridicole dovrebbero smetterla di azzuffarsi ogni giorno nei talk in modo scomposto e verbalmente violento dando così un pessimo esempio a quella popolazione che dicono di voler formare. Un minimo di buona educazione, ecco quello che dobbiamo pretendere dai nostri parlamentari. A noi basterebbe. Ce ne sarebbe anzi d’avanzo.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2019