Chi sono i meno svantaggiati dal Coronavirus? Gli anziani. Perché fanno quello che hanno sempre fatto: stare a casa. Le giornate sono lunghe, immobili, inutili, come sempre. Nulla è cambiato. Ci si sveglia fra le 4 e le 5 del mattino, ma c’è la compensazione del tempo che ci si mette a vestirsi, diciamo un paio d’ore, perché quando infilarsi le mutande diventa un problema tutto si fa difficile.
Quanto ai giornali, a parte che è meglio non leggerli perché stressano e basta, l’unica, vera questione è che è inutile comprare la Gazzetta dello Sport. Eh sì, il ghiotto bottino degli Europei, e forse anche della Champions (quel baraccone delle Olimpiadi non le guarda più nemmeno un centenario) è sfuggito di mano, il 2021 sembra, ed è, tremendamente lontano, un anziano, Corona o non Corona, non può ragionare con prospettive così lontane. Però se è single ha alcuni vantaggi non trascurabili, oltre a quello, implicito, di essersi sbarazzato a tempo, in un modo o nell’altro, di un coniuge rompicoglioni: gli portano il cibo a casa. Gratis. Si narra che a Genova il tripudio sia stato grande e che una task force di anziani sia stata approntata per infettare, volontariamente e proditoriamente, il resto della cittadinanza, il che spiegherebbe, secondo alcuni epidemiologi, i picchi di quella città. E così col cibo che, facendo un numero dedicato, ti portano a casa bell’e pronto, ti puoi anche liberare di quell’antica domestica che sta da tempo immemorabile in casa tua e ormai non sa far più altro che cucinare, male, e nel cui inesorabile declinare ti rispecchi.
Ma il vero poker d’assi calato dal Corona a favore degli anziani sono i nipotini. Basta con questa lacrimevole impostura. Basta con questa retorica. Basta con questa pratica egoistica e ipocrita per cui i genitori te li appioppano a comodo loro, mentre tu vorresti dormire, riposare, guardarti una cassetta porno in santa pace (l’attuale generazione di anziani è quella della cassetta, non dei dvd) e quelli fanno un baccano infernale e pretendono da te prestazioni che non sei più in grado di dare.
Infine puoi toglierti alcuni sfizi, piccoli e grandi, innocenti e meno. Girare spavaldamente in città, mentre i giovani, tappati in casa, tremano di paura, tanto per te se non è oggi sarà domani, è quindi meglio spendersi gli ultimi spiccioli in libertà (infatti, se vi guardate in giro, fra gli sparuti passanti predominano gli anziani). Oppure puoi accoppare finalmente quel borioso, tracotante quarantenne, tuo vicino di casa, che a ogni momento ti fa pesare la sua insopportabile giovinezza. Tanto il massimo che ti possono fare è metterti ai “domiciliari”. E tu ci sei già.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 3 aprile 2020
Quello che si respira nell’aria non è solo il Coronavirus, ma una paura collettiva, alimentata anche dall’immagine spettrale della città, deserta, metafisica come in un quadro di Savinio e di De Chirico o in un qualche romanzo di fantascienza. E c’è il modo sordido di questo morire, monitorizzati, intubati, oggetti, senza la possibilità che la salma del ‘caro estinto’ sia vegliata e portata a quella che pudicamente viene chiamata ‘l’ultima dimora’ da coloro che gli hanno voluto bene (quest’ultima cosa non mi riguarda, non credo che l’anima, se mai esiste, continui ad albergare nel corpo, se ne andrà altrove come narra Alberto Savinio in un bellissimo racconto raccolto nel libro Tutta la vita intitolato appunto “Anima”).
Ghiacciai che si sciolgono, foreste che scompaiono, le barriere coralline che perdono il loro colore per sbiadirsi progressivamente. Si respira un’atmosfera da fine del mondo, di un certo mondo, quello creato, con l’ottuso ottimismo di Candide, dall’uomo occidentale negli ultimi due secoli e che ha invaso ormai quasi l’intero pianeta. Ma non è la fine del mondo, di questo mondo, ne è solo una inevitabile anticipazione, perché le crescite esponenziali su cui si basa, e che gli uomini politici continuano stolidamente a cavalcare, esistono in matematica non in natura e alla fine l’attuale modello di sviluppo collasserà su se stesso. Si salverà la gente di campagna o chi, anticipando gli altri, vi si sarà ritirato, avrà imparato a lavorare di zappa, a mungere una mucca e si sarà provvidenzialmente provvisto di un paio di kalashnikov. Si salveranno le comunità autoctone, gli indigeni delle Isole Andamane che sfuggirono allo tsunami e cacciarono a colpi di freccia l’elicottero indiano che veniva ad accertare quel che ne era di loro, si salveranno gli indios dell’Amazzonia che nessun Bolsonaro potrà abbattere con le sue armi modernissime perché non ci sarà più nulla per alimentarle. Si salveranno insomma i “disconnessi”.
Ma potrebbe anche andare diversamente. Finalmente rinsaviti ci convinceremo a fare parecchi passi indietro abbandonando un mondo che, anche in situazione normale, rulla a un ritmo che ci fa basculare fra nevrosi e depressione, la nevrosi di chi cerca di starne al passo, la depressione di chi non ci riesce, si sente inadeguato e inesorabilmente tagliato fuori.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2020
Le Autorità ci dicono: “Pazientate, è come essere in guerra”. No: è molto peggio. A Milano, pur martellata dalle “fortezze volanti” americane e dai bombardieri inglesi, si poteva uscire di casa non solo, prendendo il tram, per lavoro, ma per incontrare un conoscente, recarsi al cinema, riunirsi con gli amici o andare semplicemente a spasso. A fare jogging, termine che allora neppur conoscevamo, non ci pensavamo nemmeno, eravamo già sufficientemente asciutti, i più svantaggiati erano quelli che stavano in città che dovevano servirsi della “tessera annonaria”, in campagna per il cibo non c’erano problemi.
Ovviamente quando suonava l’allarme e si cominciavano a sentire i primi colpi della contraerea si scappava nei rifugi, pochi, o nelle cantine. Certo con gli americani che bombardavano come sempre “a chi cojo cojo” se una bomba centrava la tua casa eri spacciato. Gli inglesi erano più professionali, mandavano, a bassa quota per sfuggire ai radar, un piccolo aereo da ricognizione per individuare nel modo più preciso possibile i bersagli da colpire. E a volte avevano gesti di un inusitato fair play. Non dimenticherò mai quel che accadde in un piccolo paese dove c’era una caserma. Passò l’aereo da ricognizione e lasciò cadere dei volantini che dicevano più o meno: fra poco bombardiamo. Tutti gli abitanti fuggirono nei boschi tranne le sentinelle della caserma, due giovani di vent’anni. Erano o non erano le sentinelle? Il loro compito era rimanere lì. Passò il bombardiere, centrò la caserma e i ragazzi morirono. La gente che noi chiamiamo ‘comune’ sa bene, al momento del dunque, quali sono i suoi doveri mentre la classe dirigente si squaglia e se la squaglia.
Poi si poteva “sfollare”. I mariti restavano in città a lavorare, le famiglie, donne e bambini, si rifugiavano in zone meno esposte, in genere le Prealpi. Chi poteva, cioè i meglio ammanicati e i ricchi, due categorie che in genere si sovrappongono, si rifugiava in Svizzera. C’erano poi delle circostanze inaspettatamente favorevoli. Una sera di molti anni fa portavo Guglielmo Zucconi, mio direttore al Giorno, a Modena, sua città natale dove doveva ricevere un Premio. Sull’autostrada c’era una nebbia fittissima e io sacramentavo. “Vedi –mi disse il vecchio Zuc- quando noi eravamo ragazzini la nebbia era la felicità”. “Perché?” chiesi. “Perché con la nebbia non bombardavano e noi potevamo uscire a giocare sicuri di non beccarci una bomba”. Insomma si sapeva da dove veniva il pericolo e come cercare di schivarlo.
Il Coronavirus è un nemico invisibile. E’ ovunque. Può stare nell’aria o nel fiato del vicino o su una banana che compri al supermercato. Non conosce confini e frontiere ed è inutile rifugiarsi in Svizzera o a Montecarlo (e per una volta, come in ‘A livella di Totò, ricchi e poveri sono sullo stesso piano).
Le Autorità prendono di continuo nuove misure, probabilmente giuste. Ma per il cittadino è come avere una corda al collo che si stringe progressivamente. L’acquisto e il consumo di ansiolitici è verticale. Qui va a finire che moriremo più per lo stress che per il Coronavirus.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 25 marzo 2020