Parlando alla kermesse del Movimento animalista, Silvio Berlusconi ha definito “criminale” la sentenza di condanna che gli impedisce di fare il premier. “Criminale” non è la sentenza, ma questa affermazione. Nessun cittadino di uno Stato può esprimersi in questi termini nei confronti di una sentenza definitiva della Magistratura di questo stesso Stato. Perché vuol dire che non crede alla legittimità della Magistratura, delle leggi, votate o confermate dal Parlamento, sulle quali è chiamata a prendere le sue decisioni, delle Istituzioni e dello stesso Stato che le ricomprende. Un soggetto del genere è, concettualmente, un terrorista e dovrebbe, come coerentemente fecero al loro tempo i brigatisti, darsi alla clandestinità. Invece Silvio Berlusconi pretende di fare il Presidente del Consiglio di uno Stato a cui non crede, che non rispetta, che considera “criminale”.
Sempre in quell’occasione Berlusconi ha affermato che i Cinque Stelle “non hanno valori né princìpi”. Per la verità almeno un valore, espresso in un modo anche troppo ossessivo, nelle parole e nei fatti, i Cinque Stelle ce l’hanno, ed è quello della “legalità”. Capiamo perfettamente perché, in questo senso, un tale valore sia particolarmente ostico per Berlusconi. Vorremmo anche sapere a quali valori si ispira un uomo che è stato dichiarato “delinquente naturale” da un Tribunale della Repubblica italiana, che ha usufruito di nove prescrizioni per i più diversi reati (e in almeno tre casi la Cassazione, quest’organo “criminale”, ha accertato che Berlusconi quei reati li aveva effettivamente commessi, anche se, per il tempo intercorso, non erano più perseguibili), che ha tre processi in corso. Io richiamo spesso, probabilmente con una certa sorpresa di qualche lettore, la figura di Renato Vallanzasca. Perché Vallanzasca non ha mai contestato il diritto dello Stato a punirlo per i suoi crimini, a differenza di Berlusconi e dei terroristi. Vallanzasca ha un’etica, sia pur malavitosa. Berlusconi è solo un malavitoso.
Vorremmo anche sapere che valori umani ha un personaggio che, approfittando delle condizioni di inferiorità della sua vittima, ha truffato una minorenne orfana, in circostanze drammatiche, di entrambi i genitori, come ha accertato la Corte di Appello di Roma che ha assolto Giovanni Ruggeri (Gli affari del Presidente-Avvoltoi sulla preda, Kaos Edizioni), L’Espresso e me che quella truffa avevamo pubblicamente denunciato (sentenza del 2.5.08). E che, in un’occasione più recente, mostrando un altrettale cinismo, ha gettato una minorenne nelle braccia di una puttana.
Berlusconi ha anche definito i Cinque Stelle “una setta”. E’ comico che un partito che prende più di otto milioni di voti sia definito “una setta” da un altro che, se va bene, ne prende la metà.
Purtroppo non c’è niente da ridere. A chi agisce con metodi criminali bisognerebbe rispondere con modi altrettanto e, se possibile, più criminali (“A brigante, brigante e mezzo” diceva Sandro Pertini, come richiamai, ormai tanti anni fa, al Palavobis). Svegliatevi ragazzi italiani, perché se costui riprende, in un modo o nell’altro, il Potere, vi troverete a vivere invece che in uno Stato sicuramente con gravi difetti ma ancora legale, in uno Stato criminale e, per sopravviverci, a farvi, a vostra volta, criminali.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 23 gennaio 2018
Lettera al Fatto Quotidiano e risposta
Martedì 16 Gennaio, attratta dallo stimolante titolo (“La pacca e la metafisica del c.”), ho iniziato a leggere il pezzo di Massimo Fini, sempre più coinvolta dalla erudita disamina storico-psicologico-filosofica. Poi mi sono guardata allo specchio e mi sono chiesta se avevo sufficiente bellezza, raffinatezza, eleganza, fama che mi dessero quell’autorevolezza che permette alla signora Deneuve di temere la fine di quello che lei – e immagino M. Fini – definiscono “corteggiamento maschile”. No, assolutamente no, devo ammetterlo: sono una anonima donna di una certa età, che ha dalla sua solo un apparato genitale che le consente, forse, di esprimere, conscia della sua pochezza culturale, qualche pensiero.
Anche se la disamina di M. Fini sul culo è - all’apparenza- democratica, interclassista e coinvolge l’umanità maschile e femminile tutta intera, si rivela, andando avanti nella lettura, dedicata esclusivamente al “luciferino ed orgoglioso” culo femminile, visto il tenero confronto con il seno ( che “si accarezza, si vezzeggia e si mordicchia affettuosamente”). Cosicché mi par evidente che è quello femminile il culo “masochista e remissivo” da “abbattere” e “degradare”.
Consiglio però, M. Fini di fare molta attenzione quando pone la sua mano su uno di quei tanti culi che gli si presentano con quella loro aria di “falsa innocenza” o di “impertinenza” quando non arroganti: si accerti prima se dall’altra parte ci sono due TETTE o due GONADI, perché l’esito della pacca potrebbe non essere quello sperato.
In attesa di un suo prossimo saggio sulla “culità nel pensiero di Platone” o, in alternativa un approfondimento su “il culo in Aristotele: dalla Potenza all’Atto”.
Vittoria Gallo
Gentile signora, la ringrazio per l’attenzione con cui ha letto il mio articolo e anche per l’ironia così diversa dall’aggressività di una lettera al Fatto di Claudia Mori. E’ vero: spesso la cultura serve per confondere le acque. Premesso che il mio articolo sul culo è anche un divertissement, è ovvio che in un pezzo breve non si può esprimere interamente il proprio pensiero. Approfitto della sua lettera per cercare di farlo. Io penso che la donna, per meglio dire la femmina, sia dal punto di vista antropologico la vera protagonista della vicenda umana. Perché è colei che dà la vita, mentre il maschio è solo un inseminatore, un fuco transeunte. E infatti nella tradizione kabbalistica, e peraltro anche in Platone (e ora non mi accusi di eccesso di cultura), l’Essere primigenio è androgino. Con la caduta si scinde in due: la Donna, che viene definita “la Vita” o “la Vivente”, e l’uomo, che è colui che “è escluso dall’Albero della Vita”. Ciò che in definitiva, e nonostante tutto, spinge l’uomo verso la donna è la nostalgia della vita. Nel linguaggio degli innamorati lui le dice “tu sei la mia vita”, “non posso vivere senza di te”. In una bella canzone Tony Del Monaco canta: “Io che avevo ormai perduto tutte quante le speranze/non credevo nei miei occhi quando sei venuta tu/Vita mia, vita mia, l’unica ragione tu, della mia vita”. Lei invece lo chiama amore, tesoro, gioia e con ogni altra sorta di vezzeggiativi, ma quasi mai gli dice “Tu sei la mia vita”. Perché la vita è lei.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2018
E il Papa finalmente lo ha detto, chiaro e tondo: “Non esiste una cultura superiore a un’altra”. Parlava a Temuco nella regione cilena della Araucanìa dove vivono i Mapuche (letteralmente “il popolo della Terra”) i soli nativi del Sudamerica sopravvissuti alla colonizzazione europea e alle violenze di Stato. L’occasione era quindi propizia e Francesco l’ha colta al volo. Ma a ben guardare il discorso del Papa va ben oltre la sorte dei nativi sudamericani e la storia della violenta colonizzazione europea cui parteciparono i pii missionari. Francesco parla dello ieri ma anche, e forse soprattutto, per parlare dell’oggi. Lasciando infatti stare la colonizzazione dei secoli passati sono almeno trent’anni che l’intero Occidente a guida americana si bea d’essere una “cultura superiore” che è il modo attuale di declinare il razzismo, nei suoi vari aspetti, poiché quello classico, dopo Hitler, non è più praticabile. E’ in nome di questa “cultura superiore” che da trent’anni aggrediamo, con la violenza delle armi o dell’economia, altri popoli che hanno vicende storiche diverse dalla nostra e culture che non vogliono omologarsi alla nostra. Tutto ciò, naturalmente, è addobbato con i buoni sentimenti, con la difesa dei cosiddetti “diritti umani” che noi per primi calpestiamo quando irrompiamo in realtà diverse. Quando sento parlare di “diritti umani” metto mano alla pistola perché vuol dire che si sta per aggredire qualcuno. Debbo rifare la filastrocca? La rifaccio, anche se Travaglio sostiene che repetita non iuvant: Serbia (1999), Afghanistan (2001 e, per ora, 2018), Iraq (2003), Somalia (2006/2007), Libia (2011). Ma in questo discorso rientrano anche le decennali sanzioni all’Iran che si permette di essere una teocrazia e non una democrazia, il Venezuela di Chavez e ora di Maduro che con tutta probabilità è il prossimo obbiettivo del nostro imperialismo, e anche la Corea del Nord che osa, nientemeno, essere comunista. Il Papa infatti dice un’altra cosa che è un corollario dell’attacco alla ‘cultura superiore’: “unità non significa un’uniformità asfissiante che nasce dal predominio del più forte”. E’ un attacco diretto e senza remore alla globalizzazione e al modello di sviluppo occidentale che, come dice Francesco, sta asfissiando tutti i popoli del mondo, compreso il nostro.
Ma il Papa dice anche una terza cosa che si collega alle prime due: “non c’è sviluppo in un popolo che volta le spalle alla terra”. Non è un discorso puramente ecologico, e in questo senso quasi banale, ma riguarda il ritorno alla terra, all’agricoltura, dove risiede il nostro futuro semmai, continuando di questo passo, avremo ancora un futuro. Perché è dalla terra che noi traiamo il cibo, non dal cemento, non dal carbone, non dal petrolio, non dall’industria, non dalla finanza.
Questo profondo discorso di Papa Francesco è stato praticamente ignorato o messo sottordine da tutti i giornali, compreso, ahinoi, il nostro. Disturberebbe il manovratore. Il titolo di testa del Corriere della Sera di ieri è centrato su questa fondamentale questione: “Primarie 5 Stelle, liti e ricorsi”. Del discorso del Papa parla sì, e in termini corretti (è l’unico a farlo) ma solo a pagina 13 per la firma di Gian Guido Vecchi. La Repubblica, il più laido dei giornali che si dicono laici, lo fa a pagina 15 ma soffermandosi solo sugli aspetti pietistici del discorso papale. Solo Avvenire coglie la polpa del discorso del Pontefice a Temuco, titolando: “Non c’è una cultura superiore all’altra”.
E così in questa Italia degradata e provinciale, anche giornalisticamente (probabilmente il discorso di Francesco avrebbe avuto un diverso rilievo se avesse parlato dalle logge Vaticane) a noi che ci definiamo degli ‘onesti pagani’ per leggere qualcosa che abbia un senso, che dia una direzione sul nostro presente e sul nostro futuro, ci tocca comprare, d’ora in poi, Avvenire, Famiglia Cristiana e anche L’Osservatore Romano.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 19 gennaio 2017