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Finalmente anche la stampa internazionale e italiana ha dovuto accorgersi che qualcosa succede in Afghanistan. L’attacco talebano a un check-point di polizia in pieno centro di Kabul, vicino al ministero degli Interni e alle ultraprotette ambasciate e organizzazioni straniere, era davvero difficile da ignorare. Ha provocato 103 morti e circa 150 feriti.

Attacco legittimo perché l’obbiettivo era militare come ha tenuto a precisare il portavoce dei Talebani Zabihullah Mujahid. Molte delle vittime sono civili, “effetti collaterali” inevitabili in questo tipo di azioni, così come lo sono quando un drone o un bombardiere americano sgancia un missile.

Naturalmente si è scritto che i Talebani sono dei terroristi. Non è così. Sono dei resistenti che usano anche l’atto terroristico per opporsi all’occupazione dello straniero, come ha sempre fatto ogni resistenza, compresa la tanto celebrata Resistenza italiana. Terroristi sono quelli dell’Isis che hanno, quasi sempre, come obbiettivo primario i civili, prevalentemente sciiti, e colpiscono nel mucchio. I Talebani hanno sempre condannato, senza se e senza ma, questo tipo di azioni, come hanno fatto, ma è solo un esempio, per l’attacco Isis alla scuola dei figli dei militari pachistani avvenuto a Peshawar nel dicembre 2014. Ma i media internazionali, non so quanto involontariamente, continuano a fare d’ogni erba un fascio confondendo due fenomeni profondamente diversi: quello talebano è un movimento indipendentista che non ha altra mira che liberare la propria terra dallo straniero, l’Isis è un movimento ideologico che ha estensione e ambizioni planetarie.

Quasi negli stessi giorni c’è stato in Italia l’incidente ferroviario a Pioltello, che ha fatto, giustamente, molta impressione, anche perché ha colpito dei poveracci che si erano alzati alle cinque del mattino per andare a lavorare a Milano e al quale i nostri media hanno dedicato fino a nove pagine. Ma le vittime sono state solo tre, in Afghanistan gli occupanti occidentali, noi italiani compresi, in sedici anni di guerra di occupazione hanno fatto un numero incalcolabile e incalcolato di vittime civili: chi dice 150 mila, chi 200 mila, chi 300 mila, cui vanno aggiunti tutti coloro che sono stati resi invalidi, o sono nati deformi, a causa delle contaminazioni dei proiettili all’uranio (altro che le dieci scimmie esposte ai gas di scarico di alcune marche automobilistiche tedesche su cui ci si è molto impietositi).

In sedici anni siamo riusciti in ciò che non avevano fatto i sovietici: a distruggere un’economia, povera ma autosufficiente, una socialità, una cultura, un’etica. Qualche dato random sull’economia. La disoccupazione che nei sei anni e mezzo in cui ha governato il Mullah Omar era all’8%, ora raggiunge il 40%. A Kabul vivono 8 milioni di persone (ai tempi di Omar erano un milione e 200 mila). Che alternative ha un ragazzo di Kabul? O si arruola nell’esercito ‘regolare’ e nella polizia, senza nessuna convinzione (e questo spiega l’estrema debolezza degli apparati di sicurezza governativi che devono essere continuamente supportati dall’intervento, prevalentemente aereo, degli occupanti) o va ad accrescere, con maggiori motivazioni, le forze talebane oppure fugge dal Paese come dimostra l’esodo in massa di afgani negli anni più recenti. Negli ultimi due anni del suo governo il Mullah Omar era riuscito a ridurre quasi a zero la produzione di oppio, oggi l’Afghanistan produce il 93% dell’oppio mondiale con la complicità anche delle forze di occupazione.

Ma anche il ricorso agli atti terroristici è una novità, dovuta al nostro modo di combattere o piuttosto di non combattere. Gli afgani non avevano fatto uso del terrorismo né con i sovietici né nelle guerre che si sono fatti fra di loro, hanno sempre combattuto in modo tradizionale e con armi tradizionali. Nel 2006 i comandanti talebani chiesero al Mullah Omar licenza di poter usare anche il terrorismo perché per loro era estremamente difficile combattere con un nemico ‘invisibile’ che utilizzava quasi esclusivamente l’aviazione. Omar, uomo di grande saggezza che un giorno, spero, gli verrà riconosciuta, all’inizio si disse contrario. Per due motivi. Il primo era che il terrorismo non appartiene alle tradizioni afgane. Il secondo più pragmatico: l’atto terroristico causa inevitabilmente vittime civili e i Talebani non hanno alcun interesse a inimicarsi la popolazione sul cui appoggio si sostiene la resistenza. Ma alla fine dovette cedere alle esigenze militari.

Questa tragica farsa della missione Resolute Support (che significa supporto per risolvere i problemi dell’Afghanistan) deve finire. Ma la tragedia afgana non può finire, o almeno cominciare a finire, prima che le truppe straniere se ne vadano dal Paese, come vuole ormai la maggioranza della popolazione anche non talebana o antitalebana (anche il Solidarity Party of Afghanistan che appoggia il governo fantoccio di Ashraf Ghani si dichiara contrario alla permanenza delle truppe straniere nel Paese).

Il solo modo per ‘salvare l’Afghanistan’ è “lasciare che gli afgani si salvino da soli” come, intervistato dalla Rai, disse ormai parecchi anni fa il generale russo che aveva comandato le truppe sovietiche in Afghanistan (adesso ci tocca prendere lezioni anche dai generali ex sovietici).

Lasciando l’Afghanistan faremmo un favore non solo agli afgani ma anche a noi stessi. Perché i Talebani combattono l’Isis e per quanto anche i 1.000 guerriglieri del Califfato presenti attualmente in Afghanistan, in prevalenza foreign fighters, siano a loro volta dei combattenti forti, coraggiosi e determinati non potrebbero resistere a lungo a quelli talebani che sono molti di più e conoscono meglio il territorio.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2018

Mia personalissima nota. Ma è mai possibile, per dio, che non si capisca, o si faccia finta di non capire, che se una resistenza contro forze tanto superiormente armate dura da più di 16 anni ciò vuol dire che ha l'appoggio di buona parte della popolazione?

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Mi è venuta una ‘pazza idea’. Mi è venuta osservando in questi anni o mesi Gentiloni, Letta, Padoan, Calenda, Maroni, Tremonti, Brunetta, Meloni, Di Maio, Di Battista. Persone, per capacità, esperienza o perché portatrici di idee inedite, politicamente decenti, naturalmente per il campionato italiano perché se, come nel calcio, ci fosse la possibilità di rivolgersi all’estero, acquisteremmo sul mercato Angela Merkel, che ci costerebbe sicuramente meno della cifra sborsata dal Paris Saint Germain al Barca per Neymar, le affideremmo il governo per dieci anni e poi, finito il contratto, la rimanderemmo a casa sua.

L’idea è la seguente. I cittadini eleggono direttamente il Presidente della Repubblica. Come negli States. Ma a differenza degli Stati Uniti costui non farebbe il premier, si limiterebbe a nominarlo. Come ora in Italia, ma con la differenza che il Primo ministro avrebbe totale libertà di scegliersi i suoi ministri, dal mondo politico e dalla società civile, senza stare a badare alla loro provenienza ideologica ma solo alla loro capacità, competenza, creatività. Sarebbe un ‘governo dei migliori’ o, se si preferisce, dei ‘meno peggio’. Costoro potrebbero ‘fare squadra’ senza dover essere costantemente impegnati in ‘baruffe chiozzotte’ che, attualmente, servono solo per smarcarsi, per trovare una collocazione e una visibilità. Il governo dei ‘meno peggio’ sarebbe, nel suo operare con una buona coesione, facilitato dal fatto che le categorie ‘destra’/’sinistra’, vecchie di due secoli e mezzo, non hanno più senso e sono praticamente indistinguibili. Come si vede in questa abominevole, ma anche chiarificatrice, campagna elettorale dove tutti i partiti propongono le stesse cose anche se fingono che siano diverse. Perché tutti sanno quali sono le cose prioritarie da fare nel nostro Paese.

Verrebbe eliminato il Parlamento. Un’Assemblea, oltre che estremamente costosa, inutile perché, come sappiamo tutti benissimo, deputati e senatori sono nominati dai segretari di partito o dai loro più stretti sgherri e a loro obbediscono oppure passano disinvoltamente da una formazione all’altra non per convinzioni ideali ma per pura convenienza personale o addirittura per denaro. E’ il ‘mercato delle vacche’ cui assistiamo da qualche decennio e che negli ultimi tempi ha assunto ritmi parossistici (L’assenza del “vincolo di mandato”, stabilita dalla nostra Costituzione, art.67, fu decisa in un epoca completamente diversa, di grandi passioni ideali, per cui nessuno si sarebbe sognato di passare da un giorno all’altro, poniamo, dalla Dc al Pci, casomai si staccavano interi gruppi in dissenso dal proprio partito formandone uno nuovo, come avvenne per il Manifesto dopo le vicende di Praga).

Questa nuova Costituzione eliminerebbe via via anche i partiti, il vero cancro della democrazia liberale, il killer della meritocrazia. Perché nessuno avrebbe più interesse a infeudarsi in questi apparati mafiosi dato che i posti di rilievo verrebbero conferiti, senza interferenze di partito, direttamente e liberamente dal Premier e dal suo Governo non dovendo ricorrere ad alcun manuale Cencelli.

Per le Regioni e i Comuni verrebbe mantenuto l’attuale meccanismo elettorale, ma anche qui il Presidente della Regione o il sindaco, liberati dai diktat dei partiti, potrebbero scegliere i propri assessori senza alcuna pregiudiziale ideologica.

Resterebbero naturalmente i Referendum, sia propositivi che abrogativi, con forza di legge.

E se il Governo non funziona? Il Presidente della Repubblica cambia il Primo ministro che a sua volta darebbe vita liberamente a una nuova formazione, eliminando quelli che si sono dimostrati incapaci e mantenendo, della precedente, quelli che si sono rivelati validi.

E se non funziona il Presidente della Repubblica, se le sue scelte non convincono? Se ne elegge un altro.

Insomma, per disperazione, mi sono creato la mia Costituzione. ‘Pazza idea’? Chissà…

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 26 gennaio 2018

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Parlando alla kermesse del Movimento animalista, Silvio Berlusconi ha definito “criminale” la sentenza di condanna che gli impedisce di fare il premier. “Criminale” non è la sentenza, ma questa affermazione. Nessun cittadino di uno Stato può esprimersi in questi termini nei confronti di una sentenza definitiva della Magistratura di questo stesso Stato. Perché vuol dire che non crede alla legittimità della Magistratura, delle leggi, votate o confermate dal Parlamento, sulle quali è chiamata a prendere le sue decisioni, delle Istituzioni e dello stesso Stato che le ricomprende. Un soggetto del genere è, concettualmente, un terrorista e dovrebbe, come coerentemente fecero al loro tempo i brigatisti, darsi alla clandestinità. Invece Silvio Berlusconi pretende di fare il Presidente del Consiglio di uno Stato a cui non crede, che non rispetta, che considera “criminale”.

Sempre in quell’occasione Berlusconi ha affermato che i Cinque Stelle “non hanno valori né princìpi”. Per la verità almeno un valore, espresso in un modo anche troppo ossessivo, nelle parole e nei fatti, i Cinque Stelle ce l’hanno, ed è quello della “legalità”. Capiamo perfettamente perché, in questo senso, un tale valore sia particolarmente ostico per Berlusconi. Vorremmo anche sapere a quali valori si ispira un uomo che è stato dichiarato “delinquente naturale” da un Tribunale della Repubblica italiana, che ha usufruito di nove prescrizioni per i più diversi reati (e in almeno tre casi la Cassazione, quest’organo “criminale”, ha accertato che Berlusconi quei reati li aveva effettivamente commessi, anche se, per il tempo intercorso, non erano più perseguibili), che ha tre processi in corso. Io richiamo spesso, probabilmente con una certa sorpresa di qualche lettore, la figura di Renato Vallanzasca. Perché Vallanzasca non ha mai contestato il diritto dello Stato a punirlo per i suoi crimini, a differenza di Berlusconi e dei terroristi. Vallanzasca ha un’etica, sia pur malavitosa. Berlusconi è solo un malavitoso.

Vorremmo anche sapere che valori umani ha un personaggio che, approfittando delle condizioni di inferiorità della sua vittima, ha truffato una minorenne orfana, in circostanze drammatiche, di entrambi i genitori, come ha accertato la Corte di Appello di Roma che ha assolto Giovanni Ruggeri (Gli affari del Presidente-Avvoltoi sulla preda, Kaos Edizioni), L’Espresso e me che quella truffa avevamo pubblicamente denunciato (sentenza del 2.5.08). E che, in un’occasione più recente, mostrando un altrettale cinismo, ha gettato una minorenne nelle braccia di una puttana.

Berlusconi ha anche definito i Cinque Stelle “una setta”. E’ comico che un partito che prende più di otto milioni di voti sia definito “una setta” da un altro che, se va bene, ne prende la metà.

Purtroppo non c’è niente da ridere. A chi agisce con metodi criminali bisognerebbe rispondere con modi altrettanto e, se possibile, più criminali (“A brigante, brigante e mezzo” diceva Sandro Pertini, come richiamai, ormai tanti anni fa, al Palavobis). Svegliatevi ragazzi italiani, perché se costui riprende, in un modo o nell’altro, il Potere, vi troverete a vivere invece che in uno Stato sicuramente con gravi difetti ma ancora legale, in uno Stato criminale e, per sopravviverci, a farvi, a vostra volta, criminali.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 23 gennaio 2018