Questa 'stroncatura', a suo modo preveggente, di Giuliano Amato è stata scritta nel gennaio del 2007 sul mensile 'Giudizio Universale'.
La prima volta che vidi Giuliano Amato fu a un dibattito televisivo agli inizi degli anni Ottanta. Accesi la Tv proprio mentre diceva: «Io parlo uno splendido italiano». Poichè eravamo ancora molto lontani dall'era delle volgarità berlusconiane mi colpi' la prosopopea di questo professorino allora totalmente sconosciuto ai più e ai meno perchè, benchè ordinario dal 1975 di Diritto costituzionale comparato alla Sapienza, non aveva pubblicato nulla, com'è ormai usanza dei nostri docenti universitari, da Panebianco a Della Loggia. Questa alta considerazione di sé la si ritrova in una recente minibiografia autorizzata dove Amato si fa descrivere cosi': «Uomo politico, noto per la sua leggendaria intelligenza e raro acume nell'esaminare gli eventi». In realtà è uno straordinario specialista di surfing politico. Parte come «psiuppino», cioè all'estrema sinistra, al di là dello stesso Pci, ma quando il Psi riformista comincia la sua scalata al potere entra nelle sue file e, nel 1983, si fa eleggere deputato. Prima è oppositore di Craxi ma allorchè il segretario del Psi, divenuto premier, gli offre il posto di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ne diventa uno dei più fedeli 'consigliori'. Quando il Psi, sotto le mazzate di Mani pulite, crolla, non si schiera con Craxi ma nemmeno contro. Semplicemente diserta e si rifugia nella villa di Ansedonia a giocare a tennis con Giuseppe Tamburrano, e a curare gli 'amati studi' dove continua a non produrre assolutamente nulla. Dopo una lucrosa parentesi come presidente dell'Antitrust sarà pronto per diventare uno dei più eccellenti e potenti riciclati della Seconda Repubblica, essendo stato uno dei disastrosi protagonisti della Prima.
E' uno Svicolone nato, come il pavido leone di un famoso cartoon. Ma più che a un leone, per quanto imbelle, somiglia a un'anguilla. I suoi ragionamenti sono cosi' sottili, ma cosi' sottili da essere prudentemente impalpabili e quasi invisibili. Esilaranti sono i suoi rapporti col lider màximo del Psi come lui stesso li ha raccontati in un'intervista, a Craxi morto. Quando Amato era d'accordo col Capo esprimeva il suo incondizionato assenso, quando non lo era restava muto. Ha chiosato Rino Formica, un altro socialista che ha pero' avuto la decenza di ritirarsi a vita privata: «Quel passaggio sul silenzio-dissenso è assolutamente strepitoso...Se Amato era d'accordo esprimeva liberamente il suo consenso. Se invece affiorava un'increspatura, non dico un dissenso, ma anche una piccola perplessità, un dubbio, un trasalimento, Amato che faceva? Non si agitava, non parlava, si esprimeva in silenzio. Ma non un silenzio qualunque. No, un silenzio operoso. E Craxi capiva: se Giuliano sta zitto vuol dire che dissente. Metafisica pura».
Come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Craxi (1983-1987) e come ministro del Tesoro dal 1987 al 1989 nei governi Goria e De Mita, Giuliano Amato è stato protagonista in prima persona del sacco delle casse dello Stato perpetrato negli anni Ottanta, che ci ha regalato quasi due milioni di miliardi di debito pubblico in vecchie lire che ancora ci pesano sul groppone e per i quali l'Unione europea continua a strigliarci chiedendoci sempre nuovi sacrifici. Ma è sempre lo stesso Amato, lui même, divenuto nel 1992 premier, perchè Craxi è azzoppato dalle inchieste giudiziarie, che, per rattoppare in qualche modo la bancarotta che ha contribuito a creare, si introduce nottetempo, come un ladro che risalga da una fogna, nelle banche per prelevare i quattrini dai conti correnti dei cittadini, fatto inaudito nella storia di uno Stato di diritto. Il suo «raro acume nell'esaminare gli eventi» non gli servirà per percepire cio' che individui dotati di una intelligenza meno «leggendaria» hanno già capito da un pezzo, e cioè che la Prima Repubblica è sull'orlo di un crollo da cui lo stesso Amato, almeno per il momento, sarà travolto.
Molto disinvolto con i quattrini altrui, Giuliano Amato è attentissimo ai suoi. Guido Gerosa mi ha raccontato che durante le temperie di Tangentopoli Craxi invio' Amato a Milano per mettere un po' d'ordine fra i compagni. Il 'Dottor Sottile' invito' a cena i parlamentari lombardi, fra cui Gerosa, nel solito lussosissimo e costosissimo ristorante che i socialisti frequentavano all'epoca della 'Milano da bere', tanto pagava il partito, cioè il contribuente con i soldi che il Psi, insieme agli altri, gli taglieggiava. Ma alla fine di questa cena, fra la costernazione generale, annuncio': «Si fa alla romana». Le casse del Psi, saccheggiate da Craxi & co., erano vuote. Sarebbe quindi toccato al proconsole Amato pagare di tasca sua. E non era cosa.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2013
Il Consiglio superiore della magistratura ha aperto un'istruttoria per l'eventuale trasferimento d'ufficio di Antonio Esposito, il presidente della sezione della Cassazione che ha confermato le condanne per frode fiscale inflitte a Silvio Berlusconi dai Tribunali di merito di primo e secondo grado. Esposito aveva anticipato in un'intervista al Mattino le motivazioni della sentenza della Cassazione. Per lo stesso motivo il Procuratore generale della Cassazione ha aperto un fascicolo sul conto di Esposito per un'eventuale azione disciplinare.
Sono lontani i tempi felici in cui il magistrato si esprimeva solo 'per atti e documenti' e, per evitare equivoci, frequentava pochissime persone. La sua era una vita solitaria. Oggi i magistrati esternano a tutto campo e spesso fanno trasparire le loro opinioni politiche. E questa è già una distorsione. Dice: ma l'articolo 21 della Costituzione garantisce a tutti i cittadini il diritto alla libertà di espressione. Ma ci sono cariche e funzioni che impongono, implicitamente, dei limiti a questo diritto. Il Capo dello Stato non puo' esprimersi a favore di questo o quel partito perchè ha il dovere di essere un arbitro imparziale. Cosi' il magistrato, che è anch'esso un arbitro, non solo deve essere imparziale ma deve anche apparirlo per conservare la propria credibilità non solo nei confronti di coloro che va a inquisire o a giudicare ma di tutta la cittadinanza. In ogni caso un giudice che anticipa le motivazioni di una sentenza che ha contribuito a stendere non si era visto mai. Antonio Esposito è un cretino o, nella migliore delle ipotesi, un ingenuo («Quel giornalista ci teneva tanto a quell'intervista». E lo credo bene). Col suo comportamento il dottor Esposito non solo ha offerto un'insperata offa ai berlusconiani («Visto? Il collegio era prevenuto») ma ha rischiato di compromettere il certosino, faticoso e straordinario lavoro prima del Pubblico ministero De Pasquale e poi dei sei giudici di merito che in primo e secondo grado hanno inchiodato Berlusconi alle sue responsabilità con documentazioni e argomenti inopugnabili.
Il Fatto ha cercato di difendere Esposito. Marco Travaglio, riferendosi ad alcune sue affermazioni, fatte sia pur in occasioni conviviali e prima di sapere che avrebbe dovuto sentenziare sul Cavaliere («Se mi capita sotto Berlusconi gli faccio un mazzo cosi'»), ha scritto che è naturale che un magistrato non possa provare simpatia per un personaggio che, un giorno si' e l'altro pure, spara a palle quadre sulla Magistratura, «cancro della democrazia», sui magistrati, «antropologicamente pazzi» e immancabilmente, se prendono provvedimenti a lui sfavorevoli, 'toghe rosse' che prostituiscono la legge a fini politici. E anche queste inopportune affermazioni sono state cavalcate dal Giornale e dai berlusconiani per tentare di inficiare le sentenze dei Tribunali di Milano. Un magistrato, se vuole esser tale, deve essere cauto anche nel privato. Antonio Esposito è indifendibile.
In prospettiva credo che nella ventilata riforma della Giustizia vada inserita una norma che vieta al magistrato di entrare in politica prima che siano trascorsi cinque anni da quando ha lasciato la toga. Perchè un magistrato che passa direttamente dalla sua funzione alla politica getta inevitabilmente un'ombra sulle sue attività pregresse. Basta pensare ai guasti provocati da De Magistris e Ingroia che han dato fiato, e non del tutto a torto almeno in questo caso, alle trombe berlusconiane che sostengono che i Pm inquisiscono i Potenti per precostituirsi un piedistallo di popolarità da utilizzare ai fini di una futura carriera politica.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2013
Il 30 agosto, quando Barack Obama aveva cominciato a far rullare i tamburi, scrissi su questo giornale: «La probabile aggressione americana alla Siria non ha alcuna legittimità, nè giuridica nè morale.» Credo di essere stato uno dei pochissimi, in Occidente, a prendere, fin dall'inizio, questa posizione. Non per un pacifismo 'a prescindere'. Io non sono pacifista. Ci sono guerre, tutte quelle per liberare il proprio Paese dall'occupazione dello straniero, che sono sacrosante. Altre, per un territorio conteso, come fu quella delle Falkland, che hanno una logica. Del resto nel 1989 ho scritto un libro intitolato 'Elogio della guerra', anche se, per la verità, mi riferivo alle care, vecchie, oneste guerre di una volta quando il coraggio e la valentia degli uomini contava più della sofisticata tecnologia delle macchine. Cio' che contesto agli americani (come a qualsiasi altra Potenza) è il diritto di ergersi a 'gendarmi del mondo', a giudici di cio' che è giusto o ingiusto all'interno di altri Paesi. E' quello che ho chiamato 'Il vizio oscuro dell'Occidente', la sua convinzione di appartenere a una 'cultura superiore' (che è la moderna declinazione del razzismo, essendo quello classico diventato impresentabile dopo Hitler). Ogni Paese ha un suo equilibrio interno, determinato dalla sua storia oltre che dalla sua cultura. Alterare questo equilibrio, anche con la violenza delle armi, spetta solo alle popolazioni interessate. E il verdetto finale va lasciato al campo di battaglia fra chi, all'interno, combatte un regime e chi lo difende, non a gente che arriva da diecimila chilometri di distanza e ha l'arrogante pretesa di dividere i combattenti in chi sta dalla parte della ragione e chi del torto.
Molti Stati che inizialmente avevano appoggiato acriticamente l'intervento militare americano, vuoi per sudditanza psicologica, vuoi per qualche loro sporco interesse, stan facendo ora una precipitosa marcia indietro. E chissà se qualcuno ha finalmente capito che il grimaldello dei 'diritti umani', che gioca sull'emotività, è uno strumento troppo comodo per fornire il pretesto per aggredire regimi che, per una ragione o per l'altra, non garbano all'Occidente. Barack Obama, insignito 'a priori' chissà perchè del Nobel della Pace, nella questione siriana ha commesso un'infinità di errori. Prima ha segnato arbitrariamente una 'linea rossa': l'uso di armi chimiche da parte di Assad contro i ribelli. «Quella linea- si è giustificato dopo-non l'ho tracciata io, l'ha tracciata il mondo». Ma il mondo non sono solo gli Stati Uniti, ci sono altri 190 e più Paesi. Poi ha giurato, senza prove, che quelle armi Assad le aveva usate. In seguito di fronte ai dubbi crescenti ha affermato che comunque l'arsenale chimico di Assad costituisce «un pericolo per l'America» (sembra di rivedere, sotto forma della favola esopiana del lupo e dell'agnello, l'escalation di Bush contro Saddam). Si è poi smentito ammettendo che il regime di Damasco non ha gli strumenti per portare un attacco di tal genere negli Stati Uniti. Ora che Mosca e Damasco hanno proposto di distruggere, sotto controllo internazionale, gli arsenali chimici siriani, Obama si trova in un cul de sac. Se attacca ugualmente dimostra che cio' che guida la politica estera americana è solo la protervia. Se, dopo tanto rullar di tamburi, rinuncia, si rende definitivamente ridicolo. Il che sarà un bene. Non per lui, ma per la pace nel mondo.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 13 settembre 2013