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La probabile aggressione americana alla Siria non ha alcuna legittimità. Nè giuridica nè morale. Fino a una ventina di anni fa valeva il principio di diritto internazionale della «non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano». Gli americani lo hanno cancellato. Prima in Serbia, nel 1999, per la questione del Kosovo. Qui erano a confronto due ragioni: quella degli indipendentisti albanesi del Kosovo, diventati maggioranza nella regione, e quella dei serbi a conservare la sovranità su un territorio che era da sempre, storicamente e giuridicamente, loro. Ma gli americani decisero che, a loro insindacabile giudizio, i torti stavano solo dalla parte dei serbi e bombardarono per 72 giorni una grande capitale europea come Belgrado. Poi è stata la volta dell'Iraq (2003). Caduto il pretesto che Saddam possedeva armi chimiche si è affermato che era imprescindibile portarvi la democrazia, operazione costata dai 650 ai 750 mila morti iracheni (e non è finita perchè lo scardinamento degli equilibri in Iraq ha portato a una sanguinosa guerra civile fra sunniti e sciiti che causa centinaia di morti alla settimana). Quindi c'è stata la Libia (2011). Oggi tocca alla Siria. Domani, chissà, all'Iran. Nessuna di queste operazioni aveva l'avallo dell'Onu. Ma l'Onu, se ci si passa il volgare fiorentino, «va su e giù come la pelle dei coglioni». Se c'è il suo avallo l'operazione è legittima, se non c'è si procede lo stesso. In Siria Assad ha accettato gli ispettori dell'Onu che devono indagare se ha effettivamente utilizzato armi chimiche contro i ribelli. Se ne dovrebbero aspettare le conclusioni. Ma gli americani hanno fretta: «Le prove le abbiamo noi e le abbiamo fornite agli alleati». I quali dovrebbero stare perlomeno all'erta visto il grottesco precedente iracheno.

Cio' che è intollerabile non è la politica di potenza imperiale-l'hann fatta tutti, ogni volta che hanno potuto-ma la pretesa degli americani di darle delle giustificazioni morali. Il loro grimaldello per scardinare ogni principio di diritto internazionale e poter aggredire i Paesi che non stanno nella loro sfera di influenza è la difesa dei 'diritti umani'. Ma andiamo. Uno dei loro principali alleati in questa ennesima aggressione è l'Arabia Saudita vero campione dei 'diritti umani', in particolare quelli delle donne. E mi piacerebbe sapere da dove mai deriva questa 'superiorità morale' di cui gli americani si sentono investiti. Nel campo dell'uso delle 'armi di distruzione di massa' non hanno rivali. Hanno gettato la bomba atomica su Hiroshima. E tre giorni dopo, nonostante fossero ben consapevoli dei suoi effetti devastanti, su Nagasaki. Sono loro, insieme alla Francia e all'allora Urss, ad aver fornito le armi chimiche a Saddam in funzione antiraniana e anticurda. E se poi non le hanno trovate è perchè Saddam le aveva già esaurite 'gasando' in un colpo solo i cinquemila abitanti del villaggio di Halabya, nel complice e vergognoso silenzio di tutta la stampa occidentale perchè allora Saddam era un nostro alleato.

Il segretario di stato John Kerry, di cui quel pseudonero e pseudodemocratico di Obama è il ventriloquo, ha definito «un'oscenità morale» l'uso di armi chimiche, peraltro ancora tutto da provare, da parte dell'esercito di Assad e ha detto di aver pianto mentre vedeva un padre che cercava di salvare i propri figli. Perchè non piange sulle migliaia di bambini e bambine assassinati in Afghanistan dai dissenati raid aerei della Nato e su quelli nati storpi, ciechi e deformi per l'uso indiscriminato delle bombe all'uranio impoverito?

Massimo Fini

Il Gazzettino, 30 agosto 2013

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Per gli occidentali le elezioni sono il sacro perno della democrazia. Quando le vinciamo noi o i nostri amici. Se invece le vincono gli altri non valgono più. E' storia vecchia e quanto sta accadendo in Egitto ne è la riprova. Il precedente più noto è l'Algeria. Nel 1991 le prime elezioni 'libere', dopo trent'anni di una sanguinaria dittatura militare, furono vinte dal Fis (Fronte islamico di salvezza) con una schiacciante maggioranza del 47% (aveva già vinto le amministrative dell'anno prima col 54%). Ma si stimava che al ballottaggio avrebbe raggiunto i due terzi dei consensi con l'apporto dei partiti islamici minori. Allora i generali tagliagole, con l'appoggio dell'intero Occidente, annullarono le elezioni sostenendo che il Fis avrebbe instaurato una dittatura. In nome di una dittatura del tutto ipotetica si ribadiva quella precedente. Tutti i principali dirigenti del Fis furono messi in galera o assassinati. Cosa succede in un Paese quando la stragrande maggioranza della popolazione si vede derubata del voto? Una guerra civile. I gruppi più decidi del Fis costituirono il Gia (Gruppo islamico armato) che diede vita a una guerriglia durata anni e costata 200 mila morti, in maggioranza civili. Ma non erano tutti addebitabili al Gia. Anzi. Mohamed Samraoui, numero due dell'antiterrorismo, riparato in Francia, in un libro del 2003 ('Cronache di un anno di sangue') ha rivelato come molte stragi attribuite al Gia fossero opera di reparti speciali dell'esercito, camuffati da estremisti islamici, per indirizzare l'odio della popolazione sui guerriglieri.

In Egitto le prime elezioni libere, dopo decenni di dittature militari, sono state vinte dai Fratelli Musulmani e il loro leader, Morsi, è diventato premier. Dopo un anno ci sono state alcune sommosse di piazza che chiedevano la cacciata di Morsi e dei Fratelli. Ciò che si rimprovera a Morsi non è di avere instaurato una dittatura o di aver varato leggi liberticide in salsa islamica, ma l'inefficienza. A questa stregua, in Occidente, qualsiasi governo potrebbe essere legittimamente abbattuto con la violenza di piazza. I generali tagliagole egiziani, proprio quelli che, con l'appoggio degli americani, avevano sostenuto la dittatura di Mubarak, han preso pretesto da queste manifestazioni per cancellare l'esito delle elezioni, arrestare Morsi con i suoi principali collaboratori, ribadire la propria dittatura e dare il via a una repressione che marcia al ritmo di un migliaio di morti la settimana, cosa che nemmeno Assad potrebbe permettersi. E il democratico Occidente? A botta calda dopo il primo massacro ferragostano (600 morti) Emma Bonino, il nostro ministro degli Esteri, si è detta "preoccupata per la violazione dei diritti umani". Gli americani non hanno proferito verbo. Hollande e Merkel si sono rimessi alla Ue che ha deciso di non decidere.

Di fronte a questa vergognosa ipocrisia dell'Occidente ci piace dar conto del comunicato diramato dall'Emirato isalmico d'Afghanistan del Mullah Omar: "Nel condannare con fermezza l'azione disumana e non etica delle forze di sicurezza affinché si arresti lo spargimento di sangue di donne, bambini e anziani innocenti pensiamo che i militari e il governo egiziani debbano preparare il cammino per il ritorno del presidente costituzionalmente eletto in modo da impedire alla situazione di andare ulteriormente fuori controllo".

A furia di calpestare, in nome della realpolik, i loro sacri principi, agli Occidentali tocca farsi impartire lezioni di etica istituzionnale, e non solo, anche dai Talebani.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 24 agosto 2013

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Dai e ridai ci sono finalmente arrivati. L'ambizione della scienza moderna e della medicina tecnologica è di farci sapere, con largo anticipo, la data della nostra morte. Adesso, a quanto pare, ci siamo. Gli autorevoli scienziati dell'Università di Lancaster hanno messo a punto uno studio sulle cellule endoteliali, "il serbatoio di tutte le potenziali cellule staminali" come scrive Edoardo Boncinelli sul Corriere della Sera. Da questo esame si può misurare, con buona approssimazione, la loro durata e quindi la durata della nostra vita. Per ora la cosa riguarda il ristretto cerchio degli adepti che ci stanno lavorando, ma nel giro di due o tre anni, assicurano gli scienziati di Lancaster, il metodo sarà perfezionato, riproducibile su larga scala e a dispozione di tutti.

Ma che bella festa. Noi uomini, fra gli animali del Creato, siamo i soli ad avere lucida consapevolezza della nostra fine, ma Madre Natura, pietosamente, ha fatto in modo che non si sappia quando arriverà. In 'De senectute' Cicerone dice, una volta tanto giustamente, che "non c'è uomo, per quanto vecchio e malandato che non pensi di poter vivere almeno ancora un anno". Toglierci queste illusioni è devastante (la pena di morte, sia detto per incidens, è inaccettabile non perché si uccide un uomo - durante le guerre, le insurrezioni, le rivoluzioni se ne fanno fuori a decine, a centinaia di migliaia, a volte a milioni - ma perché è una tortura dato che il condannato è l'unico a sapere l'ora precisa della sua morte). Se si dicesse a un ragazzo di trent'anni che morirà ad ottanta, costui vivrebbe cinquant'anni di angoscia, un'angoscia crescente e insopportabile man mano che si avvicina la data fatidica.

Una volta a 'Sottovoce' Gigi Marzullo mi chiese: "Se sapesse di avere ancora poche ore di vita come le impiegherebbe?" "Mi sparerei" risposi. E al cosiddetto 'Questionario di Proust' che viene sottoposto a intellettuali, a scrittori, ad artisti, a personaggi di vario genere, alla domanda "Di che morte preferirebbe morire?" risposi: "Violenta". Perché la morte violenta è affidata al Caso, sfugge alle certezze di quella biologica e frega i sinistri vaticinii degli scienziati della morte. Ha detto l'entusiasta Boncinelli a Fahrenheit, la bella trasmissione di Radio 3: "Sapere la data della nostra morte ci consentirebbe di assaporare ogni giorno che manca a quel fatidico appuntamento". Se fossimo tantino saggi noi dovremmo vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, ma senza sapere che lo è. Dice Friedrich Nietzsche: "Amleto, chi lo capisce? Non è il dubbio ma la certezza che uccide".

I Greci, che avevano una concezione tragica dell'esistenza, pensavano che al Fato non si può sfuggire. Molti loro Miti sono centrati su questa fatalità (da Fato, appunto). Ma non si sono mai sognati di credere che fosse individuabile l'ora in cui la mannaia sarebbe caduta. I Latini, che erano un po' più solari, lasciano ampi margini di incertezza ai vaticinii dei loro àuguri. "Ibis redibis non morieris in bello" profetizza la Sibilla Cumana ad un soldato che le era andato a chiedere se sarebbe tornato vivo dalla guerra. Tutto dipende da dove si mette la virgola, se dopo 'redibis' o prima. In un caso la frase suona: "Andrai ritornerai, non morirai in guerra". Nell'altro: "Andrai, non ritornerai ('redibis non') morirai in guerra".

La scienza moderna invece rifiuta le incertezze, il dubbio, il Caso. I profeti di sventura di oggi, gli scienziati, non si limitano a dirci che moriremo - questo lo sappiamo tutti, anche troppo bene, non abbiamo bisogno di loro - ma pretendono anche di fissare il quando. A costoro auguro di sperimentare innanzitutto su di sé il loro metodo demenziale. E di morire, di paura, molto prima della data, scientificamente accertata, dei propri mostruosi vaticinii.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 22 agosto 2013