Umiliare i vinti sembra una specialità degli occidentali o comunque di coloro che si riconoscono in questa cultura. L’altro giorno a Beit Lahia una quarantina di guerriglieri di Hamas che si erano arresi sono stati prima fatti inginocchiare e poi stesi al suolo nudi e bendati. Non è una novità.
Agli inizi della guerra contro l’Iraq nella prigione di Abu Ghraib le televisioni di tutto il mondo (adesso si è diventati più cauti su queste scene, anzi si cerca di sorvolare) filmarono un prigioniero iracheno, a quattro zampe, nudo, con una soldatessa americana a cavalcioni, filmarono anche l’oscena piramide con cui gli americani costrinsero i prigionieri, sempre regolarmente nudi, a formarla arrampicandosi l’uno sull’altro.
Nel 2001 dopo l’aggressione occidentale all’Afghanistan i guerriglieri talebani, prigionieri, dopo essere stati esposti alle televisioni scatenate di tutto il mondo imploravano i loro custodi : “piuttosto uccideteci, ma non umiliateci”. E i loro custodi, che erano pur sempre degli afghani, cercavano di incoraggiarli: “dai, si tratta solo di due minuti poi te ne torni in prigione” (si sa che nella cultura afghano-talebana è proibito raffigurare la persona umana, del Mullah Omar esiste una sola fotografia). In seguito i prigionieri furono sedati e muniti di ridicoli pannoloni per affrontare la traversata. Arrivati a Guantanamo furono messi in gabbie all’aperto illuminate dai riflettori ventiquattr’ore su ventiquattro, perciò dovevano “fare i loro bisogni” come si dice pudicamente, cioè cacare e pisciare davanti a tutti. Se c’era bisogno di spostarli li si metteva su una carriola per renderli ancora più ridicoli.
Questa storia delle gabbie è un’ossessione yankee. Dopo la guerra il grande poeta Ezra Pound, che era stato mallevadore di tanti letterati americani, ma che era colpevole di essere rimasto in Italia durante il Fascismo fu messo, a Tombolo, in una gabbia illuminata giorno e notte. La cosa umiliò a tal punto il grande Ezra che, ritiratosi in seguito a Rapallo, si calò in un mutismo assoluto che tenne per dieci anni.
Al processo di Norimberga i gerarchi nazisti dovevano indossare in aula pantaloni senza cintura e senza elastico per cui quando deponevano dovevano tenersi su le braghe risultando così grotteschi.
Quando fu catturato Osama Bin Laden si scrisse che si era protetto dietro una delle sue mogli. Fake naturalmente, ma parve invece normale che catturato “il nemico pubblico numero uno” lo si gettasse sbrigativamente in mare. In realtà si volevano nascondere i tanti segreti che Bin Laden portava con se, compreso l’ambiguo ruolo che aveva avuto nei primi anni dell’occupazione occidentale e che avrebbe potuto svelare i veri motivi dell’attacco alle torri gemelle. Quando fu preso Al-Baghdadi i giornali scrissero che al momento della cattura si era messo a piangere. Fake naturalmente.
Questo sadismo, basato sull’umiliazione è estraneo a culture diverse dalle nostre. Possono compiere atti efferati, feroci, come l’aggressione di Hamas il 7 ottobre ha ampiamente dimostrato, ma non conoscono e non praticano il sadismo dell’umiliazione.
Si può uccidere, in guerra, un uomo, ma non umiliarlo. L’umiliazione è più grave dell’omicidio perché una persona, uomo o donna che sia, se la porta dietro per tutta la vita.
Il sadico è un vigliacco. Intendo il sadico non nel senso visionario e quasi poetico di Lautréamont, ma il sadismo brutale e volgare alla De Sade. Scrive lo stesso De Sade che uno dei peggiori carnefici delle “ 120 giornate” “si sarebbe spaventato davanti a un bambino un po’ deciso”.
Il nucleo forte dell’umiliazione è il ridicolo perché una persona di cui tutti possono ridere non è più nemmeno una persona, non è più nulla.
Tutti i nostri nemici sono diventati dei terroristi, si tratti di Hamas o di Putin o dei Talebani (anche se ultimamente sui Talebani la visione è un po’ cambiata). Quindi sono cadute tutte le leggi di guerra che per “i terroristi” non valgono. Non c’è più il fair-play che pure è esistito sino alla fine della seconda guerra mondiale. Al nemico si concedeva spesso, se si era battuto valorosamente, “l’onore delle armi” e c’era una differenza etica fra il fucilarlo con il volto davanti al plotone di esecuzione o fucilarlo alla schiena.
Dal punto di vista etico la vittoria nella seconda guerra mondiale non ci ha fatto bene, soprattutto agli americani. Quando ci fu lo sconcio di piazzale Loreto con i corpi di Mussolini, degli altri gerarchi e della Petacci appesi per i piedi (alla Petacci fu però legata la gonna perché non si vedessero le pudenda, ipocrisia tipicamente cattolica e italiana) il comandante americano della piazza intimò ai capi dell’insurrezione: “togliete subito quei corpi, noi americani abbiamo un luogo apposito che si chiama obitorio”. E Sandro Pertini esclamò: “l’insurrezione si è disonorata”. Poi posti i corpi a terra, per non farsi mancar nulla, le donne pisciarono sui cadaveri.
Oggi tutto è cambiato da quei tempi in cui esistevano ancora delle regole. Anche nel privato. Perché si violentano delle ragazze in gruppo e si trasmettono poi i filmati sui social agli amichetti? L’obiettivo non è tanto avere un rapporto sessuale, per quanto efferato e distorto, oggi che col permissivismo non dovrebbero esserci problemi nei rapporti tra i ragazzi e le ragazze? Perché l’obiettivo vero è umiliarla, farle pagare non si sa quale colpa ancestrale, quindi ridicolizzarla e renderla, appunto, una “non persona”.
Oggi quindi il sadismo governa il mondo agli alti e ai bassi livelli. E non fa bene né ai primi né ai secondi.
Il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2023
“Non è stato il sonno, ma il Sogno della Ragione ad aver partorito mostri” (m.f)
Secondo il recente Rapporto Censis l’attuale generazione, quindi i giovani, è no stress, cioè “mette al primo posto il valore del tempo libero”. È una tendenza in atto da tempo e ne avevamo dato conto in un pezzo dedicato al Luddite Club, un gruppo di giovani americani che si rifiuta testardamente di lavorare. Ma a parte questi estremismi, segni di questa tendenza erano già venuti a galla: dimissioni volontarie, il rifiuto di fare anche un solo minuto in più di straordinario, quando sono a casa non rompermi. Il Censis definisce sonnambuli questi giovani, perché indifferenti a tutto. Polito, che da quando si è messo a fare l’editorialista non capisce più nulla, afferma che i giovani non hanno poi di che lamentarsi: “L’Italia di oggi non è mai stata più sana, mai così occupata, mai più libera” (Corriere della Sera, 3/12/23). Polito non capisce che le esigenze dei giovani di oggi, e non solo dei giovani, per quanto questo possa apparir strano, non sono economiche ma esistenziali. Manca il sogno, la possibilità di poter sognare qualcosa. Mancano ideali. La generazione del Sessantotto, per quanto cogliona perché cavalcava un’ideologia, il marxismo-leninismo, che sarebbe morta di lì a vent’anni con il collasso dell’Urss, questi ideali, almeno nei suoi esponenti migliori, quindi per fare un esempio Mario Capanna e non i Paolo Mieli che stavano in quell’accozzaglia in attesa di incistarsi nel sistema con un atteggiamento rapinatorio peggiore di quello dei “padroni delle ferriere”, ce li avevano. Pensavano seriamente di poter cambiare il mondo. E poiché il mondo non è cambiato affatto, ma anzi è peggiorato in tutti i settori, si possono capire i “giovani sonnambuli” di oggi.
In alcuni Paesi europei, Germania, Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svizzera, ci si è accorti di questa inversione di tendenza nel rapporto fra lavoro e “tempo liberato”, che non è il famigerato “tempo libero” che è ancora un tempo di consumo, ma un tempo da dedicare a se stessi, alla qualità della vita, alla riflessione. Del resto Papa Wojtyla aveva ammonito che almeno la domenica fosse dedicata al “riposo operoso” (per altro ci sarà pure una ragione se anche Domineddio “il settimo giorno si riposò”). Nei Paesi di cui abbiamo detto hanno capito l’antifona e si lavora solo quattro giorni alla settimana, dal lunedì al giovedì, non perché siano particolarmente filantropi ma hanno constatato che se si è riposati si produce meglio e di più (tutto in questo mondo gira intorno all’economia).
Se non c’è più nulla da sognare che cosa resta a un giovane? Può accontentarsi di ciò che ha senza distruggersi inseguendo, lavorando come una bestia, il sogno americano “dall’ago al milione” (“il lavoro nobilita l’uomo ma lo rende simile alla bestia”). Può rifugiarsi nei sentimenti, che sfuggono alle leggi dell’economia (amore quindi e non odio che può dirigersi solo verso qualcosa che si disprezza, e i “giovani sonnambuli” come non hanno nulla da apprezzare, non hanno nemmeno nulla da disprezzare). Del resto è Camus ad affermare che “anche un giovane povero può crescere felice col sole e il mare”. E chi non ha nemmeno il mare, dove si consumano gli amori più intensi? È fottuto.
Il Fatto Quotidiano, 8 dicembre 2023
Il debito pubblico americano, al 4 marzo 2023, ammontava a 31 mila miliardi di dollari. Ad agosto era già salito a 32 mila miliardi. A marzo Biden ha approvato 6.8 mila miliardi di dollari per progetti di green economy. Ovviamente questa immissione di denaro nel sistema non avviene stampando moneta ma nella forma del credito. Così si crea l’apparente prosperità di un Paese, pronto ai più generosi impegni.
Sarebbe bene far notare che le grandi crisi finanziarie dell’ultimo secolo, quella di Wall Street del 1929 e quella della Lehman Brothers del 2008, sono nate negli Stati Uniti e si sono poi propagate nell’universo mondo e in particolare in Europa. La differenza tra le due crisi sta nel fatto che nel 1929 il mondo non era ancora completamente globalizzato e quindi l’Europa si poté in qualche modo difendere. In Italia Mussolini creò l’IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, che fu un’intelligente risposta alla crisi (solo con la Repubblica l’IRI diventerà un baraccone partitocratico) e prese altre misure efficaci per tamponare la falla aperta dagli Stati Uniti. In ogni caso le due crisi hanno un denominatore comune: l’immissione sul mercato di enormi crediti.
Il debito della Cina, globalmente inteso, ammonta a quasi 52 mila miliardi di dollari. Insomma tutti sono indebitati con tutti. E non sarà il Brics col tentativo di creare una moneta alternativa al dollaro a cambiare la situazione, perché il problema non è il dollaro ma il credito. Ora se noi facciamo 100 il denaro circolante, nelle sue infinite forme, con l’un percento di questo 100 si possono comprare tutti i beni e i servizi del mondo. Cosa rappresenta allora l’altro 99 percento? Un enorme credito, anzi debito (se c’è un creditore deve esserci simmetricamente un debitore) verso il futuro, un futuro talmente dilatato nel tempo da renderlo di fatto inesistente. In ogni caso questo futuro immaginario, dilatato a dimensioni mostruose dalla nostra fantasia e dalla nostra follia, un giorno ci ricadrà addosso come drammatico presente. E alla velocità parossistica, sempre crescente cui stiamo andando, il momento, anzi l’attimo (perché tutto crollerà in un attimo) del Big Bang è sempre più vicino.
Il Fatto Quotidiano, 6 dicembre 2023