0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Prendiamo spunto dalla vicenda penale di Berlusconi, ma attribuiamola ad un altro soggetto. Poniamo a un rapinatore che è stato condannato il primo agosto 2013 dal Tribunale di Milano a quattro anni di reclusione per aver svaligiato una banca a mano armata. Tre anni gli vengono condonati per l'indulto. Deve scontarne solo uno. Poichè agosto è mese di ferie per i Tribunali le cose vanno per le lunghe, comunque entro il 15 settembre il rapinatore, che ha più di 70 anni e non puo' essere messo in carcere, deve scegliere fra i 'servizi sociali' e i 'domiciliari'. Ma un po' per la neghittosità del Giudice di Sorveglianza che dovrebbe valutare se il condannato è disposto a farsi 'rieducare' ed è quindi meritevole dei 'servizi sociali' e un po' per la riottosità di costui che rifiuta quell' umiliazione (in fondo è solo un onesto rapinatore, non ha ucciso nè ferito nessuno) a gennaio la procedura non è ancora cominciata. Poniamo inizi ora. La magistratura di Sorveglianza ci mette circa sei mesi per concludere la valutazione. Nella migliore delle ipotesi il nostro rapinatore comincerà a scontare la pena esattamente un anno dopo la condanna. In tutto questo tempo, essendo a piede libero, puo' compiere una decina di rapine.

Ho sempre scritto che il vero problema della giustizia italiana è la lunghezza delle procedure. Il vizio ha origini storiche. Mentre gli anglosassoni hanno preso dal diritto romano, un diritto contadino, pragmatico e veloce, scontando la possibilità di qualche errore, noi abbiamo preso dal diritto bizantino, dalle Pandette di Gaio e Giustiniano, una splendida cattedrale gotica che, attraverso una serie di pesi e contrappesi, di controlli sui controlli, esclude l'errore. Ma poi, in concreto, non è cosi'. Perchè in un processo che si trascina per anni gli avvenimenti diventano sfocati, le carte ingiallite, i testimoni non ricordano più bene e qualche imputato se è messo al sicuro (come Amanda Knox, riparata negli States). Inoltre dopo Mani Pulite il Codice è stato inzeppato, per salvare lorsignori, di leggi cosiddette 'garantiste' che allungano ultriormente la già abnorme durata dei processi. Queste leggi sono fintamente 'garantiste' perchè danneggiano l'innocente, che ha interesse a essere giudicato al più presto, e avantaggiano il colpevole che ha l'interesse opposto: essere giudicato il più tardi possibile o, attraverso la prescrizione, mai.

Nel frattempo in Italia sono state varate pene sempre più severe, feroci, anche per reati risibili (come contro i writers) ma non siamo in grado di applicarle. Una pena non deve essere particolarmente severa nè, tantomeno, 'esemplare'. Ma deve essere certa. Ed è proprio questo che manca in Italia e favorisce ogni tipo di delinquenza (quante volte abbiamo sentito parlare di delitti commessi da pluripregiudicati?).

Torniamo a Berlusconi. In qualsiasi Paese del mondo uno nelle sue condizioni sarebbe sparito dalla scena politica, mentre da noi continua a determinarla. Ma lasciamo perdere, siamo in Italia. Pero' al cittadino comune fa un po' specie vedere che un tale condannato per una colossale frode fiscale puo' evoluire come vuole a sei mesi dalla condanna, mentre lui, il cittadino comune, viene tartassato da ogni parte e strangolato, senza pietà, da Equitalia.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 3 gennaio 2014

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

Nella conferenza stampa di fine anno un giornalista d'area radicale ha chiesto al presidente del Consiglio se l'Italia non fosse troppo morbida con l'Iran. Letta ha risposto in diplomatichese ma una cosa interessante l'ha detta: “L'Italia puo' essere un buon mediatore con l'Iran perchè entrambi veniamo da grandi culture millenarie e possiamo quindi intenderci”. L'Iran è infatti l'antica Persia. E le vestigia di questa cultura si possono trovare nella plurimillenaria città di Isfahan o a Qom (non a Teheran che, come Tel Aviv, è di costruzione recente). Ma a parte questo, eppero' in sua stretta correlazione, gli iraniani, almeno a partire da un certo livello sociale, sono delle persone colte che non si limitano a sapere a memoria i versetti del Corano. Me ne resi conto quando stavo da quelle parti: la piccola borghesia di Teheran non solo conosceva i nostri maggiori (Dante, Petrarca, Boccaccio) ma in quel periodo (siamo negli anni '80, in pieno khomeinismo) leggeva Moravia e Calvino. Noi della loro cultura letteraria conosciamo, quando va bene, solo Omar Khayyam. E' questa supponenza della 'cultura superiore' (che Letta, gli va dato atto, ha dimostrato di non avere) che infastidisce, soprattutto nel momento in cui questa cultura dovrebbe fare un po' i conti con se stessa e con la lunga striscia di sangue e di violenze, militari, politiche, economiche, che ha alle spalle e non solo alle spalle. Io non riesco a capire su quali basi giuridiche e morali capi di Stato (Obama, Hollande, Cameron) che sono seduti su giganteschi arsenali atomici si possano permettere di impedire all'Iran di farsi il nucleare civile perchè da qui potrebbe, in teoria, arrivare all'Atomica (passare dal 20% di arricchimento dell'uranio, che è quanto serve per il nucleare ad usi civili e medici, al 90% della Bomba è cosa che richiede anni). L'Iran, si dice, fa parte dell' 'asse del Male'. E perchè mai? L'Iran khomeinista non ha mai aggredito nessuno, semmai è stato aggredito, dall'Iraq di Saddam Hussein che gli occidentali hanno sostenuto finchè gli faceva comodo, scippando a Teheran una vittoria che si era legittimamente conquistata sul campo di battaglia. L'Iran, si dice ancora, fomenta il terrorismo internazionale. Non se ne ha alcuna prova. Mentre è certo che il Mossad ha assassinato, in Iran, quattro scienziati che si stavano occupando del nucleare (immaginiamoci cosa sarebbe successo a parti invertite). L'Iran è una Teocrazia. Embè? Non tutti i Paesi sono obbligati a essere delle Democrazie. In ogni caso la teocrazia se non è una democrazia non è nemmeno il governo di un solo uomo, è un regime molto più articolato che non puo' essere messo sullo stesso piano delle dittature dei Somoza, dei Pinochet, dello stesso Saddam che l'Occidente, americani in testa, ha vergognosamente sostenuto e a volte imposto (vero mr. Kissinger?).

L'Iran, a differenza di Israele, ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, ha accettato le ispezioni dell'Aiea e, nelle trattative in corso, si dimostra disponibile a subirne altre ancora più intrusive e capillari, purchè sia salvaguardato il suo elementare e sacrosanto diritto a farsi il nucleare per usi civili.

Cosa vogliamo ancora? Forse se la smettessimo di considerarci il Bene anche il Male sarebbe meno aggressivo e diffidente nei nostri confronti.

Massimo Fini

Il Fatto Quotidiano, 28 dicembre 2013

0
0
0
s2sdefault
powered by social2s

In Sud Sudan, Stato nato due anni fa dalla secessione dal Sudan, è in corso una guerra civile fra l'esercito leale al presidente Salva Kiir, di etnia Dinka, che dispone di carri armati, e i ribelli che fanno capo all'ex vicepresidente Riek Machar, di etnia Nuer, che rispondono a colpi di kalashnikov. I morti sono migliaia.

I Nuer sono un popolo nilotico, di staordinaria bellezza, che vive nelle paludi e nelle vaste savane del Sudan meridionale e che negli anni Trenta, quando l'antropologo inglese Evans-Pritchard lo studio' stando a lungo sul posto, costituivano una di quelle 'società acefale' o 'anarchie ordinate' non rare un tempo nel Continente Nero. Pritchcard infatti cosi' li descrive: «E' impossibile vivere fra i Nuer e immaginare dei governanti che li governino. Il Nuer è il prodotto di un'educazione dura ed egalitaria, profondamente democratico e facilmente portato alla violenza. Il suo spirito turbolento trova ogni restrizione irritabile, nessuno riconosce un superiore sopra di sè. La ricchezza non fa differenza. Un uomo che ha molto bestiame viene invidiato, ma non trattato differentemente da chi ne possiede poco. La nascita non fa differenza. Ogni Nuer considera di valere quanto il suo vicino». I Nuer non avevano contatti con altri popoli (al Nuer, per vivere, bastava l'orgoglio di essere un Nuer) tranne che con i contigui Dinka. Poichè sono un popolo guerriero ogni quattro o cinque anni facevano delle razzie fra i Dinka i quali li ripagavano rubandogli il bestiame. Per questa faccenda avevano creato anche un mito fondativo: in origine il Dio aveva dato una vacca al Nuer e un vitello al Dinka, ma di notte il Dinka, imitando la voce del Nuer, si era preso la vacca e il Nuer, scoperto il furto, si era fatto resituire la vacca a colpi di zagaglia. Questo era l'equilibrio che avevano trovato. Tanto che quando nel 1880 arrivarono gli inglesi e vollero impedire le razzie dei Nuer i primi a lamentarsene furono i Dinka. Durante le razzie i Nuer uccidevano qualche Dinka (pochi perchè quelli se la davano a gambe) e altri li facevano prigionieri. Il prigioniero veniva trattato con grande rispetto, il suo carceriere non poteva nemmeno ordinargli di portargli un bicchiere d'acqua. Dopo un periodo di quarantena il Dinka veniva integrato e diventava un Nuer a tutti gli effetti. Racconta ancora Pritchcard: «Se chiedevi a qualcuno 'Senti, ma quello là è un Nuer-Nuer o un Nuer-Dinka?' Si rifiutava di risponderti».

Com'è che da questa realtà a suo modo straordinaria (libertà e uguaglianza messe insieme, una bella lezione per le supponenti democrazie occidentali) si è arrivati a quella odierna? Le ragioni sono sostanzialmente due. L'erezione a Stato nel 1956, del territorio del Sudan con la conseguente radicalizzazione in senso integralista-musulmano del Sudan del Nord che ha cercato di imporre, con i mezzi che ha uno Stato, il suo cupo credo alle popolazioni animiste del Sud che hanno reagito con una guerra civile durata quarant'anni e combattuta non certo a colpi di zagaglia (tutti vendono armi a tutti, non olet).

La penetrazione occidentale, simboleggiata dagli abiti dei suoi leader, Kiir e Mochar, vestiti in giacca e cravatta, il primo addirittura con in testa un cappello da cowboy, ha distrutto l'armonia, gli equilibri, la mentalità, la cultura su cui vivevano, da millenni, queste popolazioni tribali. E cosi' al posto delle innocenti e liberatorie scaramucce di un tempo oggi abbiamo mille morti al giorno.

Massimo Fini

Il Gazzettino, 27 dicembre 2013