Nella prima udienza del processo che si tiene al Cairo contro Morsi, il deposto presidente ha dichiarato: “Facciamola finita con questa farsa, è stato un colpo di Stato. Sono altri quelli che dovreste processare”. E al giudice che lo chiamava 'imputato' ha detto: “Io sono il dottor Mohamed Morsi Isa al-Ayyat. Ricordati che sono il tuo presidente, secondo la Costituzione l'unico legittimo”. Mi pare che le parole del leader dei Fratelli Musulmani fotografino quanto è successo in Egitto negli ultimi due anni. Morsi era stato eletto presidente il 24 giugno 2012 col 51% delle preferenze nelle prime elezioni libere dopo i trent'anni della dittatura di Mubarak. E' stato rovesciato poco più di un anno dopo dal capo dell'esercito, il generale Al Sisi, dopo alcune manifestazioni popolari che, come scrivono i giornali occidentali per metterci una pezza, avevano “un ampio consenso che andava dai salafiti ai laici ai comunisti”. Da quando in qua in una democrazia il consenso si misura dalle manifestazioni in piazza e non dal risultato delle schede elettorali?
Morsi è accusato di “aver incitato” la polizia a uccidere otto dimostranti durante una di queste manifestazioni. Accusa assai difficile da provare. In compenso in due successive manifestazioni pro Morsi (incarcerato insieme a qualche centinaio di dirigenti dei Fratelli) svoltesi al Cairo, sono stati uccisi, a seconda delle stime, dai 600 ai 2000 dimostranti.
Il paradosso dei paradossi è che ora al potere c'è un generale, Al Sisi, di quell'esercito, lautamente finanziato dagli americani, che per trent'anni ha sostenuto il dittatore Mubarak. E se Morsi aveva ottenuto la maggioranza dei consensi era proprio perché i Fratelli sono stati l'unica forza che per trent'anni si è opposta a Mubarak, mentre i laici, i comunisti, i salafiti e compagnia cantante se ne stavano ben al coperto.
La vera colpa dei Fratelli Musulmani è appunto di essere musulmani (anche se nel periodo del suo breve governo Morsi non ha emanato nessuna legge tipo shariah). Ed è per questo che i Paesi occidentali, sempre pronti a ficcare il naso in casa altrui quando gli fa comodo, nel caso dell'Egitto si comportano come le tre scimmiette dell'apologo: non guardano, non vedono, non sentono, gli va bene tutto, il colpo di Stato, la ridittatura dell'esercito, i generali tagliagole (l'unico comunicato, in perfetto stile liberal, di denuncia contro questa serie di illegalità anticostituzionali e antidemocratiche è stato dell'Emirato islamico d'Afghanistan del Mullah Omar).
Si ripete quindi la situazione dell'Algeria 1991 quando, dopo decenni di una sanguinaria dittatura militare, le prime elezioni libere furono vinte con larga maggioranza dal Fis (Fronte islamico di salvezza). I generali algerini, con l'appoggio dell'intero Occidente, le annullarono con la motivazione che il Fis avrebbe instaurato una dittatura. In nome di una dittatura del tutto presunta si ribadiva quella precedente. Ma a Morsi, che ha governato per un anno senza violare la Costituzione, non si puo' fare nemmeno questo processo alle intenzioni, la sola accusa che gli si puo' muovere è di essere stato, per inesperienza di governo, inefficiente (se il criterio dovesse essere questo noi italiani dovremmo allora abbattere, con la violenza, una classe dirigente al potere non da un anno ma da trenta). Ma Morsi non è amico degli americani, è musulmano, forse integralista. E allora 'Ecrasez l'infame!'. Ma gli infami, in Egitto e fuori, sono altri.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2013
Dal libro di Bruno Vespa apprendiamo che Berlusconi gli ha confidato che il presidente Napolitano «sarebbe ancora in tempo» a concedergli la grazia. Per la verità per un provvedimento del genere Napolitano, in questo momento, sarebbe totalmente fuori tempo. Non massimo, ma minimo. Perchè la grazia puo' essere concessa a un condannato solo dopo che abbia espiato almeno una parte della pena e Berlusconi non solo non ha fatto ancora un solo giorno ai servizi sociali, ma non ha nemmeno iniziato il lungo iter che dovrebbe portare il Giudice di Sorveglianza a decidere se il Cavaliere è meritevole dell'affido ai servizi sociali e quindi a concederglieli. Dati i tempi del Tribunale, si prevede che la decisione del Giudice di Sorveglianza arriverà fra la primavera e l'inizio dell'estate. Prima di allora di grazia non si potrà parlare. In ogni caso Berlusconi, anche quando dovesse arrivare il tempo opportuno, non vuole chiederla o farla chiedere dai suoi familiari o dai suoi avvocati. Qualcuno dovrebbe spiegargli che la richiesta di grazia non significa affatto un'ammissione di colpa ma solo l'accettazione delle Istituzioni dello Stato e cioè del potere del Presidente della Repubblica di concedere o meno questo particolare e singolare (nel senso che riguarda una singola persona) atto di clemenza. Ma nella potestà del Presidente della Repubblica c'è anche quella, sempre che il detenuto abbia almeno iniziato a scontare la pena, di concedere la grazia 'motu proprio' senza che il condannato o i suoi familiari o gli avvocati ne abbiano fatto richiesta. E' l'ultimo retaggio dell'antico potere regio. Certo il Capo dello Stato deve farsi fornire, a norma di legge, un dossier dagli organi competenti (Giudice di Sorveglianza, Ministro della Giustizia) per poter valutare se il detenuto è meritevole dell'atto di clemenza, ma anche se questi organi dessero un parere sfavorevole il Presidente puo' non tenerne conto e concedere ugualmente la grazia. Ma la grazia cancella solo la pena principale, non quelle accessorie, nel caso di Berlusconi l'interdizione dai pubblici uffici che la Corte d'Appello di Milano ha stabilito in due anni e che la Cassazione non potrà che confermare visto che è stata proprio la Cassazione a chiedere che l'interdizione fosse fissata in un arco temporale da uno a tre anni, disposizione a cui la Corte d'Appello ha ottemperato. Ma l'interdizione dai pubblici uffici è proprio quello che Berlusconi non vuole. Come si è visto, e si vede, nella furibonda battaglia che si è accesa in Parlamento sulla sua decadenza da senatore, battaglia inutile e pleonastica perchè quale che sia l'interpretazione sulla retroattività o meno della legge Severino, fa stato la decisione della Magistratura che ha condannato Berlusconi all'interdizione dai pubblici uffici che comporta automaticamente la sua decadenza da senatore di cui il Parlamento non potrà che prendere atto. La grazia servirebbe quindi molto poco all'ex premier.
C'è un ultima questione. Poniamo pure che Napolitano gli conceda la grazia. Berlusconi ha una condanna, in primo grado, per concussione e prostituzione minorile, un procedimento aperto per corruzione (caso De Gregorio) e probabilmente un altro inizierà a Bari (caso Tarantini/escort). Se anche in uno di questi processi venisse condannato in via definitiva che farà il Capo dello Stato? Gli darà una nuova grazia? Anni fa c'era una bella vignetta di Giovanni Mosca dove si vedeva un tasso con in groppa un tasso più piccolo e il classico omino chiedeva all'altro: «Che cos'è?». «E' il tasso col sovratasso, un animale che esiste solo in Italia». Ecco, la grazia con la sovragrazia potrebbe esistere solo da noi.
Massimo Fini
Il Gazzettino, 8 novembre 2013
Non è possibile instaurare alcun parallelismo, come fanno invece tutti gli ex Pdl, ma non solo loro, fra le sette telefonate che Silvio Berlusconi fece da Parigi ai funzionari della Questura di Milano perché violassero le procedure nei confronti della minorenne Ruby, sotto interrogatorio per un furto, e l'unica telefonata del ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, ai funzionari del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, per segnalare il caso delle gravi condizioni di salute di Giulia Ligresti, figlia di una sua cara amica. Per la semplice, buona e lapalissiana ragione che mentre da quelle pressioni Berlusconi voleva ricavare un vantaggio, e cioè che Ruby non spifferasse quanto succedeva nelle notti di Arcore, dal suo intervento la Cancellieri non riceveva alcun vantaggio, se non sentimentale. Inoltre Berlusconi non si limito' a fare pressioni ma detto' precise indicazioni sul percorso che i funzionari della Questura milanese dovevano seguire affidando la ragazza Ruby a Nicole Minetti. E che in questo intervento non ci fosse nulla di “generoso” e umanitario, come affermo' in seguito il manigoldo, ma al contrario denunciasse la sua spietatezza, lo dice proprio l'affido della ragazza a un tipetto poco raccomandabile come la Minetti che comunque se ne sbarazzo' subito consegnandola a una prostituta ufficiale, la cui casa era l'ultimo posto dove doveva finire una minorenne. Infine, come ha sottolineato il Presidente emerito della Corte Costituzionale, Valerio Onida, “la Cancellieri ha sollecitato l'attenzione dell'amministrazione a cui è preposta su un problema di sua competenza”, mentre il presidente del Consiglio (Berlusconi in questo caso) non ha alcuna competenza sugli interrogatori della polizia che si tengano in questa o quella questura. Punto.
Non mi è piaciuto per niente l'articolo in cui Marco Travaglio (Il Fatto, 3/11) fa a fette Anna Maria Cancellieri paragonando il suo caso a quello di Berlusconi. So benissimo anch'io che la legge è uguale per tutti e che ogni detenuto deve avere uguali attenzioni da parte dell'amministrazione penitenziaria. Ma vorrei ricordare a Marco cio' che mi disse una volta Don Giussani: “L'errore è una verità impazzita”. Portare un principio alle sue conseguenze più estreme, in nome di un'assoluta astrazione della legge, da verità si fa errore, perché diventa una cosa disumana. Probabilmente anche il giudice che anni fa condanno' a un paio di anni di reclusione un tale che aveva rubato sei mele in punta di diritto aveva ragione, ma dal punto di vista umano aveva torto. Inoltre mettendo sullo stesso piano cio' che vale cento con cio' che vale al massimo uno si perde ogni gerarchia dei valori, oltre a permettere ai manigoldi di pescare nel torbido.
A parte le questioni di diritto che rendono incommensurabili il caso Berlusconi e il caso Cancellieri, non si puo' mettere sullo stesso piatto il cinismo di Berlusconi con l'atto, certamente poco opportuno dal punto di vista dello 'iure', compiuto dalla Cancellieri per una debolezza affettiva. Per questo, una volta tanto non sto con Marco Travaglio. Sto con Anna Maria Cancellieri.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 5 novembre 2013